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Oscar Romero, l’impegno per la giustizia fino al martirio


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Lucandrea Massaro - pubblicato il 22/04/13

Intervista allo storico Roberto Morozzo della Rocca che del presule ha scritto una biografia

E' notizia di questi giorni una possibile accelerazione nella causa di beatificazione del vescovo Oscar Romero, ucciso dalle bande paramilitari al soldo dei regimi dittatoriali di El Salvador nel 1980. A dirlo è il postulatore della causa, monsignor Vincenzo Paglia (Vatican Insider, 22 aprile).

Ma chi era Oscar Romero? Eletto ad icona della Chiesa a fianco al popolo e strattonato da chi vorrebbe farne un simbolo politico magari per mettere in imbarazzo la Santa Sede. Ad una analisi dei fatti, delle testimonianze e dei diari di Romero si scopre che – come spesso accade – la realtà è più semplice e assai più appassionante.

Aleteia ha intervistato il professor Roberto Morozzo della Rocca, ordinario di Storia contemporanea a Roma Tre, che nel 2005 ha scritto una biografia del presule di El Salvador: “Primero Dios. Vita di Oscar Romero” per i tipi di Mondadori.

Professor Morozzo, sono passati 33 anni dall'uccisione di Oscar Romero, ancora oggi la sua è una figura non facilmente inquadrabile come mai?

Roberto Morozzo della Rocca: Il problema della non inquadrabilità è connessa  al rapporto tra fede e politica che è molto complicato. Il teologo Yves Congar diceva che “il rapporto tra fede e politica è simile al dogma cristologico delle due nature. Nessuna confusione nessuna separazione” ed è esattamente questo il tema di Romero. Egli intervenne certamente nella vita pubblica del suo Paese divenendo la prima voce critica dentro e fuori di El Salvador, assumendo un ruolo pubblico. Ma lui lo faceva non per ritagliarsi un ruolo politico, anzi ripeteva che ciò accadeva “suo malgrado”. Romero era costretto dal fatto che nessuno era dalla parte del popolo, la sua era una voce morale. La sua principale preoccupazione era quella di non voler vedere scorrere il sangue. Lui faceva quello che tanti grandi uomini di religione hanno fatto prima di lui. E' l'esempio di tanti papi dell'antichità che sono stati anche “defensor civitatis” come Gregorio III.  Romero era un uomo di pace. Il suo discorso era contro la violenza da ogni parte, ma diceva anche che la maggiore violenza veniva commessa dalla dittatura militare. Per questo è stato strumentalizzato dalla politica specie a sinistra, che ha volutamente confuso i piani: Romero non era un uomo “di sinistra”, ma faceva da supplente alla mancanza di difensori della giustizia nel suo Paese. Nei suoi diari, o con i suoi confidenti, diceva che c'era del buono e del cattivo da entrambe le parti politiche e che bisognava trarre il meglio da ciascuno.

E' vero che Romero ebbe delle incomprensioni con Giovanni Paolo II, che pesano sul giudizio che la Chiesa ne dà oggi? Che rapporto con Bergoglio? Il papa argentino capisce meglio degli europei l'apparente contraddizione rappresentata dal vescovo di El Salvador?

Roberto Morozzo della Rocca: Nel maggio del '79 Romero venne a Roma in udienza da papa Giovanni Paolo II per parlare con lui. C'era in Vaticano una proposta di rimozione di Romero portata avanti dall'arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Antonio Quarracino, che proponeva di esautorare il presule. Giovanni Paolo II volle parlare con Romero, perché riteneva che non fosse necessario e gli chiese soprattutto di “mantenere l'unità dei vescovi”, come lui aveva fatto in Polonia per combattere il regime comunista. Ma Wojtila conosceva poco l'episcopato salvadoregno e la situazione del Paese. Ma non ci fu nessuna reprimenda. Romero uscì dall'incontro perplesso – come confiderà agli amici -, perché era abituato con Paolo VI che invece lo esortava e lo incoraggiava ad andare avanti. Il discorso col nuovo papa fu più articolato, ma dai colloqui che Romero ebbe in Curia, scoprì anche che il clima era migliorato e c'era più fiducia nei suoi confronti. Ci fu poi un secondo incontro nel Gennaio dell'80, poco prima dell'assassinio: in questo incontro Romero trovò nel papa una accoglienza fraterna e tra di loro si creò un forte feeling. Nei giorni successivi Romero parlò della sua grande gioia per l'appoggio del papa. E' possibile che possa essere stato proprio questo uno dei motivi che hanno accelerato la decisione dell'oligarchia di ucciderlo, perché ormai la speranza che sarebbe stato rimosso era venuta meno e l'appoggio del papa era divenuto certo. Semplicemente il papa voleva capire meglio, perché non conosceva né Romero, né la situazione di El Salvador. La “leggenda nera” è dovuta a questa fase interlocutoria, ma non è basata né sui fatti, né sulle valutazioni dello stesso Romero come emerge dalle omelie e dai diari. Bergoglio conosce bene la situazione dell'America Latina, conosce bene le violenze della dittatura e quella della sinistra. Lui ha conosciuto di persona questo dramma e quindi ha gli strumenti per collocare il pensiero e l'azione di Romero nel giusto contesto.

I rapporti tra la Chiesa cattolica e le dittature sudamericane furono molto critici, spesso frontali, eppure c'è sempre qualcuno che – semplificando – accusa di connivenze. E' possibile tracciare un bilancio di quegli anni?

Roberto Morozzo della Rocca: Tutte le Chiese cristiane subiscono l'influenza culturale delle società dove vivono. In America Latina c'è stata una terribile polarizzazione: i militari e le guerriglie. E' molto difficile mantenere la lucidità. Vescovi, clero e laici si sono molto schierati dall'una e dall'altra parte. “Evolucionados” erano coloro che cercavano di tenersi lontani dalla violenza dell'una e dell'altra parte, Romero era uno di loro, che cercava di costruire la pace. Era una posizione difficile in cui si rischiava la vita. Romero diceva “non facciamoci trascinare da questa polarizzazione ma perseguiamo la giustizia”. Tutti gli uomini di religione sono dentro le loro società, il Vangelo non è una cultura a sé è un fatto spirituale, non è un manuale per la vita pubblica e sociale, da quello si trae ispirazione per la propria azione. Gli uomini sono naturalmente trascinati a parteggiare, solo di fronte all'eucarestia c'è unità.

Cosa la affascina da storico di questo presule martirizzato mentre dice messa?

Roberto Morozzo della Rocca: Mi affascina di lui la sua scelta consapevole del martirio. Lo sapeva già nelle settimane precedenti che quella della sua morte era una possibilità concreta. Anche la Santa Sede lo capì ed infatti cercò di portarlo a Roma per qualche tempo, per difenderlo. Ma lui non voleva andarsene, voleva restare col suo popolo. Rinunciò anche all'autista preoccupato che potesse finire ucciso al suo posto durante un attentato. E' facile parlarne con la retorica dell'eroe o del profeta, ma Romero l'ha vissuto realmente sulla sua pelle, ne ha portato fino in fondo le conseguenze. Poteva sfuggire alla morte ma percepiva che quello era il suo posto, e la sua responsabilità.

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