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Papa Francesco, un caso di coscienza?

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Simone Sereni - Aleteia Team - pubblicato il 11/10/13

Lo stile di predicazione di papa Bergoglio continua a sorprendere e a far discutere. Da giorni sotto esame un passaggio della lettera scritta a Eugenio Scalfari

Dialogo tra credenti e non credenti è il titolo di “un volume che raccoglie gli articoli di Eugenio Scalfari su papa Francesco, la risposta del pontefice, una scelta di interventi di filosofi, teologi e intellettuali sul tema e l’intervista finale del nostro fondatore a Bergoglio”. L’11 ottobre sarà in edicola con La Repubblica. Insomma, il quotidiano di riferimento del mondo laico si coccola i suoi scoop mentre ancora si discute dei modi e dei contenuti della lettera di risposta di papa Bergoglio al suo fondatore. In particolare, continua a far parlare il passaggio sul primato della coscienza.

Nella lettera aperta di risposta a Eugenio Scalfari, papa Francesco ha infatti affermato: “La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire a essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire” (La Repubblica, 11 settembre). Un passaggio che ha suscitato perplessità e anche esplicito scandalo in una parte del mondo cattolico o comunque vicino alla Chiesa. In buona sostanza papa Francesco viene accusato di flirtare indebitamente e ingenuamente col mondo, in aperta discontinuità con Benedetto XVI, tanto che Giuliano Ferrara ha parlato apertamente anche di “relativismus”.

Andrea Monda, proprio sul quotidiano diretto dall’Elefantino, è una delle ultime penne a cimentarsi nella curiosa disciplina della difesa di “un papa scandaloso”. E proprio “sul tema dell’importanza della coscienza”, Monda sottolinea che “Francesco non è un pioniere ma è sulla strada tracciata da Benedetto, un papa agostiniano e newmaniano che ha fatto della coscienza un baluardo del suo magistero”. E ricorda che sia Francesco che Benedetto “sono in perfetta continuità con il Concilio” citando Gaudium et Spes 16: “L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell’uomo e secondo questa legge egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria” (Il Foglio, 9 ottobre).

Enzo Bianchi, che cita sempre Gaudium et Spes per dire che il papa non ha detto nulla di nuovo, suggerisce che la coscienza “non è un richiamo esterno a una legge ‘già fatta’, da applicare in modo meccanico, ma è una voce che chiede creatività, regalità, profezia nel discernere situazioni nuove sempre illuminate dal principio fondamentale dell'amore" (Jesus, ottobre 2013). E se la “difesa” del priore di Bose può suonare come un atto d’ufficio, meno scontata quella di Luca Diotallevi “spin doctor del cardinale Camillo Ruini”, intervistato da Ignazio Ingrao su Panorama (2 ottobre). Diotallevi dice che è “profondamente sbagliato” dare a papa Francesco “del relativista”; e ribadisce che il papa afferma “il primato della coscienza in senso moderno e in questa prospettiva è molto più vicino a Benedetto XVI di quanto appaia”.

D'altra parte, affermare il primato della coscienza, soprattutto per un non credente, non significa però che la coscienza sia infallibile. Lo scriveva proprio l’allora cardinale Ratzinger nel 1991 in “Elogio della coscienza” (Il Sabato, marzo 1991) tracciando così la strada della Veritatis splendor di Giovanni Paolo II (1993): “Nondimeno l'errore della coscienza può essere il frutto di una ignoranza invincibile, cioè di un'ignoranza di cui il soggetto non è consapevole e da cui non può uscire da solo. Nel caso in cui tale ignoranza invincibile non sia colpevole, ci ricorda il Concilio, la coscienza non perde la sua dignità, perché essa, pur orientandoci di fatto in modo difforme dall'ordine morale oggettivo, non cessa di parlare in nome di quella verità sul bene che il soggetto è chiamato a ricercare sinceramente”.

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