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Disturbi dei comportamenti alimentari: a rischio 2 milioni di adolescenti italiani

adolescenti che rifiutano il cibo (anoressia, bulimia) – it

© DR

Chiara Santomiero - Aleteia Team - pubblicato il 03/12/13

Anoressia e bulimia ma anche ortoressia e binge eating: alla base c'è sempre un meccanismo di compensazione patologica

In Italia 2 milioni di giovani soffrono di Disturbi del comportamento alimentare (Dca) che si manifestano nel 40% dei casi fra i 15 e i 19 anni, ma sono presenti anche già a 8-12 anni. I dati sono stati presentati dalla Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima), il cui presidente Piernicola Garofalo ha accettato di rispondere alle domande di Aleteia.

I dati che avete segnalato devono allarmare?

Garofalo: Il nostro obiettivo non è allarmare, ma far prendere coscienza. I numeri che abbiamo indicato non riguardano i ragazzi malati ma quelli potenzialmente a rischio. Infatti l’affinamento dei mezzi diagnostici ci permette di riconoscere “per strada” alcuni segni premonitori di comportamenti che sfoceranno in disturbi alimentari seri. Noi vorremmo richiamare tutti a puntare sulla prevenzione per impedire al maggior numero possibile di coloro che mostrano comportamenti a rischio di arrivare davvero alla malattia che va considerata alla stessa stregua di una dipendenza.

In che senso?

Garofalo: Oggi ci troviamo di fronte a comportamenti ulteriori rispetto a quelli “classici” dell’anoressia o della bulimia. C’è un’attenzione al cibo, cioè all’ortoressia, al mangiare in modo corretto che è un bene se contenuto nei giusti limiti ma oltre, quando diventa eccessivo, ossessivo, può aprire la porta a disturbi patologici. Lo stesso vale per la bigoressia, cioè per l’attenzione alla forma e all’attività fisica: si tratta di un principio salutare finché non travalica nell’esasperazione dell’attività motoria, della corsa per esempio. Un altro comportamento di moda tra gli adolescenti è il binge eating, l’abbuffata, mangiare senza riuscire a saziarsi, indipendentemente dallo stimolo della fame e in genere in solitudine. Alla base di tutti questi disordini il meccanismo è sempre lo stesso: una compensazione di tipo patologico. L’esposizione a determinati fattori di rischio porta il soggetto, a seconda della condizione individuale, a un disturbo o a un altro.

Può fare un esempio?

Garofalo: Spesso i bambini di figli separati presentano disturbi alimentari perché il cibo è un meccanismo di compensazione. Questa è anche la ragione per cui l’età in cui si presentano questi comportamenti si sta abbassando: c’è una maggiore precocità di esposizione alla conflittualità delle relazioni rispetto a un tempo. Tuttavia non accade per tutti i figli di coppie separate, dipende dalle condizioni individuali: l’aspetto psicologico-relazionale funziona come la causa di innesco di una reazione. Laddove il sistema complessivo tiene poco perché impatta con una maggiore fragilità, l’innesco finisce per scardinare, proprio come accade per le dipendenze da sostanze o da altro.

Ci sono altri fattori di rischio oltre quello psicologico?

Garofalo: Ci può essere una condizione di familiarità: oggi ci troviamo di fronte già ai figli di genitori che hanno sofferto a loro volta di disturbi alimentari e questo può essere un fattore di rischio. Un altro fattore è di natura genetica: esistono famiglie nelle quali questo disturbo ricorre più frequentemente. Noi non siamo in grado di sapere quanto sia determinante la genetica rispetto all’ambiente però si tratta in entrambi i casi di fattori di rischio.

I disturbi alimentari colpiscono di più le ragazze?

Garofalo: Una volta avrei risposto che si trattava di una patologia “tipicamente” femminile. Adesso possiamo dire solo “prevalentemente” femminile. Le ragazze sono più esposte, prima di tutto perché hanno una attenzione al corpo e all’immagine, una sensibilità all’apparire e all’essere desiderabili, che gli adolescenti maschi non hanno. In più nelle donne c’è un’evidenza fisica di questi disturbi legata al flusso mestruale e al peso corporeo che fa percepire la malattia. Tuttavia i anche i maschi cominciano a presentare le stesse problematiche e il fenomeno sta montando sempre di più verso l’età adulta.

Che cosa bisogna raccomandare ai genitori?

Garofalo: I genitori, così come gli insegnanti, devono avere orecchie tese e occhi vigili. Ci sono segnali ai quali prestare attenzione: se per esempio i ragazzi sono eccessivamente esigenti rispetto al cibo, scansano una serie di alimenti, protestano in maniera esagerata perché la carne presenta un po’ di grasso. In ambito scolastico un segno può essere quello di non consumare i pasti insieme agli altri compagni, a fare del cibo una specie di fatto privatistico. Non bisogna drammatizzare ma prestare attenzione, così come a escussioni ponderali eccessive o acquisizioni di peso troppo rapide; ci sono ragazzine che giurano e spergiurano di mangiare sempre allo stesso modo ma di essere ingrassate di cinque chili in un mese: non è possibile, è segno che ci si sta alimentando male. In generale, agli ambienti sportivi, alle palestre, alle scuola di danza in particolare va richiesto di non veicolare messaggi diseducativi esasperando le prestazioni fisiche e l’agonismo.

E’ difficile tenere un equilibrio tra il rischio di disturbi alimentari e la tendenza al sovrappeso e all’obesità che affligge molti bambini occidentali…

Garofalo: L’obesità è figlia della società contemporanea, della poltrona al posto della sedia di legno e della mancanza della strada in cui giocare, tutti elementi che comportavano dispendio calorico e impedivano l’accumulo di peso. L’obesità è frutto di stili di vita non corretti e infatti si contrasta cambiando gli orari dei pasti e la tipologia di cibo, non con le diete. Queste, al contrario, potrebbero aprire la porta a comportamenti disturbanti. Per combattere l’obesità basta cambiare ciò che sta “intorno” all’individuo, al bambino: per combattere i disturbi alimentari bisogna invece aiutarlo a cambiare ciò che è “dentro” di lui.

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