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Oroscopo e Capodanno: ogni anno una “favola cinese”?

Anno nuovo cinese – it

AFP PHOTO/Frederic J. BROWN

CHINA, BEIJING : A lion dancer peers out from his mask as dancers perform during the opening of the Ditan (Temple of the Earth) Park temple fair to ring in the Lunar New Year, 28 January 2006 in Beijing. The most important holiday in the Chinese calendar, the Lunar New Year, also known as Spring Festival, begins with the Year of the Dog on 29 January. AFP PHOTO/Frederic J. BROWN

Centro de Estudios Católicos - pubblicato il 27/02/14

Tornano alla mente le parole di Chesterton: “Quando si smette di crede in Dio si comincia a credere a tutto"

Ogni anno i media trasmettono la celebrazione del “capodanno cinese”, prodotto dell’astrologia orientale, con una serie di presunti vantaggi per coloro che sono nati sotto il segno dell’animale di turno. Sembra apparentemente strano che nella nostra era tecnologica questa notizia riceva tanta attenzione, ma come sappiamo non c'è nulla di nuovo sotto il sole.

Già durante la grandezza di Roma esistevano, in massa e provenienti da tutte le parti del mondo, una serie di indovini chiamati “aruspici” che dall’interpretazione delle viscere degli animali sacrificati facevano delle previsioni sul futuro. Era la Roma antica, quella degli dèi con passioni umane, delle migliaia di schiavi, dell’arena, di un mondo pre-scientifico e in cui si credeva nell’esistenza dei mostri.

Più di venti secoli dopo, sebbene oggi non sembri più molto igienico mettersi a frugare nelle viscere di un animale, e sebbene sia più evidente che non si può "leggere" molto, gli auguri si sono trasformati e continuano a vivere cibandosi dell’insicurezza che gli esseri umani hanno nel non sapere cosa accadrà nel corso della loro vita. Eppure esiste qualcosa di certo, qualcosa a cui la nostra “cultura del comfort” preferisce non guardare: l'unica certezza è che tutti, prima o poi, moriremo. Vale a dire che siamo di passaggio.

Così, a partire dalla nostra insicurezza esistenziale abbiamo potuto capire come alla fine di ogni anno, al quale si aggiunge il suddetto nuovo anno cinese (chiamato quest’anno "Anno del Cavallo"), la gente metta da parte i propri neuroni, e ascolti e legga con attenzione, come se la fede cattolica e il progresso scientifico non esistessero, le previsioni, le influenze delle stelle e le altre falsità astrologiche, sia orientali che occidentali, che li convertono in marionette del cosmo.

Questo ha molto a che fare con quello che disse una volta Chesterton: “Quando si smette di crede in Dio si comincia a credere a tutto”.

Perché i cattolici non credono nelle previsioni e altre panzane? Ci sono ragioni filosofiche, teologiche, bibliche e sicuramente di buon senso. Ma voglio provare con una ragione di altra natura: i cattolici non hanno bisogno di credere nelle previsioni, perché hanno già una promessa, una parola data, che è quella di Gesù.

“Chiunque viene a me ed ascolta le mie parole e le mette in pratica, io vi mostrerò a chi somiglia. Somiglia ad un uomo il quale, edificando una casa, ha scavato e scavato a fondo, ed ha posto le fondamenta sulla roccia; e venuta una piena, la fiumana ha investito quella casa e non ha potuto scrollarla perché era stata edificata bene. Ma chi ha udito e non ha messo in pratica, somiglia ad un uomo che ha edificato una casa sulla terra, senza fondamenta; la fiumana l’ha investita, e subito è crollata; e la rovina di quella casa è stata grande” (Luca 6, 47-49).

Quindi c'è una promessa che dice che, nonostante le vicissitudini di questa vita, dei problemi economici o di lavoro, di salute o di famiglia, l'uomo non è un burattino nelle mani del destino, perché Dio ha promesso a coloro che lo amano e osservano la sua parola, che “il loro destino è nelle tue mani” (Salmo 15:5 ). L’amore di Dio dissolve la paura per l'ineluttabilità del destino.

Così, credere negli influssi positivi dell’“Anno del cavallo”, o di qualsiasi oroscopo, finisce per essere, come nei tempi antichi, un esercizio di lettura delle viscere, delle proprie viscere. Non si riesce a trovare da soli un senso che trascenda la paura per la propria finitudine che permetterebbe di aprirsi a quel senso di definitivo che dà Dio.

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