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Siamo fatti per le cose grandi. E abbiamo bisogno degli altri

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Saverio Sgroi - La sfida educativa - pubblicato il 24/09/14

La felicità è capire che la libertà è un mezzo per arrivare a qualcosa di più grande

Trovandomi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano ascolto il dialoghetto tra nonna e nipotino davanti a uno dei capolavori di Caravaggio: il titolo è “Canestra di frutta”.
– Nonna, perché questa mela è bucata?
– Non è bucata, è bacata. Le mele di una volta avevano il baco perché erano naturali, senza la roba chimica che ci mettono oggi. Avevano il baco, ma sapevano di mela.
– E oggi di che sanno?
– Di niente.


Proprio alcuni giorni fa mi è tornato alla mente questo simpatico racconto di cui avete appena letto l’inizio. Protagonisti una nonna ed il suo nipotino, in visita alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. I due, davanti alla Canestra di frutta di Caravaggio, danno vita a questo interessante dialogo. Chi volesse, può leggerlo interamente qui. Ma sono convinto che già dalle parole che avete letto, avrete comunque colto il senso dello scambio di battute tra nonna e nipote: un dialogo che, attraverso la metafora della mela bacata, ci descrive uno spaccato abbastanza realistico del mondo odierno e del clima che respirano soprattutto i nostri ragazzi.

Il messaggio che arriva loro è che se non sei bello, affascinante, visibile, ricco, non conti nulla; se non sei perfetto sei sfigato. Sembra che l’uomo abbia smarrito le chiavi per interpretare correttamente il linguaggio della bellezza, della bontà, della verità; e che non sia più in grado di assaporare il gusto genuino delle mele bacate, perché incantato da altre mele belle fuori ma spesso insipide dentro…

Ricordate il consiglio che, in Notte prima degli esami, il prof. Martinelli – un grande Giorgio Faletti – diede al povero Luca Molinari dopo una bruciante delusione amorosa? L’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa… L’importante è quello che provi mentre corri.

Una frase che, in un mondo che sembra aver fatto delle emozioni un vero e proprio culto, ti trasmette lo stesso fascino ammaliante delle sirene di Ulisse. Ma che, come il suono delle creature mitologiche dell’Odissea, nasconde un’amara verità: la stessa che scopri quando, dopo molti anni passati ad inseguire le emozioni, ti volti indietro e ti chiedi dove stai portando la nave della tua vita…

Se già Seneca scriveva duemila anni fa che non esiste vento a favore per il marinaio che non sa dove andare, come si può immaginare una vita felice senza una meta che dia senso al nostro peregrinare?

Mai come oggi ci fanno paura – ed a giovani ancora di più, perché la trasmettiamo loro – parole come progetto, che richiede tempo e fatica; impegno, che equivale a sforzo e a volte sofferenza; fedeltà, che presuppone la volontà di fare scelte definitive, per sempre. Ci fanno paura perché temiamo che ci tolgano la libertà. Eppure le stesse parole è come se fossero scritte nel nostro DNA, le desideriamo, intuiamo che da esse probabilmente passa la nostra felicità: chi di noi non vorrebbe scrivere un progetto grande con la propria vita? Oppure impegnarsi in qualcosa che valga veramente la pena? E ancora, quando ci innamoriamo, il nostro cuore non vorrebbe stare per sempre con la persona amata?
E allora come è possibile che parole come progetto, impegno, fedeltà, per sempre, ci trasmettano la paura di perdere la nostra libertà?

Forse il problema sta proprio nell’idea che ci siamo fatti della libertà. Già, che cosa è la libertà? «La libertà non è un fine, è un mezzo – scriveva Nicolás Gómez Dávila – chi la scambia per un fine, quando la ottiene non sa che farsene».
Forse il segreto di una vita felice sta nel tornare a convincerci che la libertà è un mezzo, uno strumento per qualcosa che è più grande della libertà stessa. Se non fosse così, la nostra libertà si esaurirebbe semplicemente nella possibilità di scegliere. Eppure sappiamo per esperienza che la felicità non dipende solo dal fatto che possiamo scegliere, ma soprattutto da ciò che scegliamo. Ce lo hanno insegnato i grandi uomini della storia, ma ce lo dice anche l’esperienza quotidiana: siamo più felici quando ci teniamo una cosa bella solo per noi oppure quando la condividiamo con chi ci sta a cuore, anche se ciò può voler dire perdere un po’ della nostra libertà? Stiamo meglio quando raggiungiamo col nostro sforzo un obiettivo impegnativo – un esame, un lavoro, un risultato sportivo – oppure quando ci viene dato un risultato già pronto senza che da parte nostra ci sia stato un coinvolgimento personale? Eppure, forse, per raggiungere questo obiettivo abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa. Abbiamo dovuto perdere un po’ della nostra libertà. Come è possibile?

Ecco il punto è proprio questo: un progetto, un impegno, un legame, forse non limitano la nostra libertà ma le danno pieno compimento, la realizzano pienamente perché sono quella materia prima che le dà un senso.

Happiness only real when shared, ci ricordava qualche anno fa il protagonista del bellissimo film Into the wild, che aveva speso gli ultimi mesi della sua vita ad inseguire invano una libertà assoluta e svincolata da ogni legame con altre persone: una libertà svuotata.

Vivere con l’illusione di una libertà vuota e fine a sé stessa, presto o tardi finisce per darci la sensazione di girare a vuoto, di non trovare una direzione, di vivere un’esistenza che ci sfugge tra le mani.

Quando cammino su queste
Dannate nuvole
Vedo le cose che sfuggono
Dalla mia mente
Niente dura, niente dura
E questo lo sai
Però
Non ti ci abitui mai

Quando cammino in questa
Valle di lacrime
Vedo che tutto si deve
Abbandonare
Niente dura, niente dura
E questo lo sai
Però
Non ti ci abitui mai
Chissà perchè?

Chissà perché, si chiede Vasco Rossi nel suo ultimo singolo. Appunto, chissà perché non finiamo di abituarci all’idea che niente nella vita abbia un senso, che la vita stessa non abbia un senso…
I ragazzi, si sa, guardano a chi è più grande di loro. E si aspettano speranza, fiducia, ottimismo, incoraggiamento; altrimenti si rinchiudono nel loro guscio, perché i grandi gli mettono dentro la paura per un futuro che non è quello che sognano.

Sarebbe il peggior servizio che possiamo fare ai ragazzi, quello di spingerli a chiudere in un cassetto i loro sogni, e con essi, l’autentica libertà. Perché la libertà ci è data per spendere la nostra vita in qualcosa di grande, e sempre assieme a qualcun altro con cui condividerla, ossia dividerla-con: è impossibile tenerla tutta per noi, solo per noi, ce lo rivela l’etimologia della parola stessa. E condividere la vita, impegnando la nostra libertà, significa mettere in mezzo sempre qualcun altro che la riempia di senso, nonostante i suoi limiti e le sue imperfezioni; come la mela bacata. Vi lascio con queste bellissime parole di un grande uomo: «La persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri».

Non vi dirò chi le ha dette. Scopritelo voi!

Qui l’originale

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