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Oscar 2015: il trionfo delle storie personali a sfondo spirituale

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© New Regency Pictures, Worldview Entertainment / 20th Century Fox

Cinemanet - pubblicato il 27/02/15

Com'è andata l'edizione di quest'anno?

Ecco un riassunto della cerimonia degli Oscar di quest'anno, dominati più da racconti modesti che da superproduzioni. L'autore è l'esperto in cinema spirituale Peio Sánchez, collaboratore abituale di Cinemanet.

Non ci troviamo in un periodo di grandi temi, ma in un momento in cui le storie individuali, i racconti anche minimi, aspirano ad essere riconosciuti come referente: un attore in declino (miglior film e miglior regia: Birdman e González Iñárritu), una professoressa affetta da Alzheimer (Julianne Moore, miglior attrice protagonista in Still Alice), uno scienziato famoso con delle limitazioni (Eddie Redmayne, miglior attore in La teoria del tutto), una novizia di fronte al suo passato (Ida, miglior film straniero), un robot buono e compassionevole (Big Hero 6), il modello di ospitalità e cortesia di un concierge di hotel (quattro Oscar tecnici a Grand Budapest Hotel) o la storia reale di Edward Snowden, la spia sorta dal freddo della vigilanza digitale (Citizenfour, premio per il miglior documentario).

Trionfo per il cinema messicano di González Iñárritu con Birdman, la storia di un attore immerso in una crisi da post-successo in cui il personaggio finisce per confondersi con la persona. Con una realizzazione rischiosa Iñárritu, sempre interessato a favole sulla crisi di identità, ci presenta questo avvertimento per chi naviga nella realtà virtuale.

Sorprende che la storia di una novizia, Ida, del polacco Pawel Pawlikowski sia arrivata così in alto di questi tempi. È una storia dalla componente spirituale in ascesa. Una giovane monaca ha dei dubbi sulla sua vocazione, e la sua comunità la invita a tornare alla vita per affrontare il suo passato e quello che si porta dentro. In questo ritorno alle origini l'accompagna la zia, un giudice comunista in crisi. La perdita dell'innocenza originaria scopre un passato di dolore e morte. Le esperienze di amicizia e sessualità la svuotano. L'ambiente fuori dal convento la asfissia, e in fondo emerge la ricerca del cammino spirituale. È una parabola sulla crisi di identità sociale dell'area post-comunista, in cui le basi spirituali sono all'inizio e alla fine.

I due film i cui attori hanno vinto la statuetta come migliori protagonisti sono altrettanto interessanti. Quando Alice, una splendida Julianne Moore, inizia ad avere problemi di memoria, il mondo felice di questa professoressa conosciuta a livello internazionale vacilla, ma lei decide di affrontare la malattia e il senso di colpa per la possibile trasmissione ai suoi figli. Sarà la figlia Lydia ad accompagnare in un'esperienza di amore filiale la madre riconoscendola come colei è stata anche se sembra essere ormai svanita. È un appello al recupero dell'amore fondante. Suggestivo, anche se più commerciale, La teoria del tutto, con il meritato premio di Eddie Redmayne, che interpretando Stephen Hawking riesce a dare al suo volto l'espressione del personaggio. È una storia d'amore davvero umana in cui l'ateismo dello scienziato incontra la spiritualità di sostegno della moglie, che si prende cura di lui e alla quale si deve il libro che ha ispirato il copione. C'è un amore che cerca di superare i limiti. La forza spirituale di Jane sarà il contrappunto alla costanza nella lotta del fisico con disabilità, e malgrado il fallimento matrimoniale si insiste sulla fedeltà all'esperienza d'amore. Forse più agiografica che reale, la pellicola almeno presenta buone intenzioni.

È stato denunciato a ragione un palmarès monocolore a livello di genere e razza, troppo maschile e bianco. In Selma, l'eloquente storia di Martin Luther King Jr., si presenta in modo convincente la non violenza, sostenuta in chiave cristiana, come alternativa al cambiamento sociale. Il film ha ricevuto la statuetta di consolazione per la migliore canzone originale, Glory. Non sono state molte le donne premiate. Tra queste, spicca la regista Laura Poitras, che con Citizenfour si è portata a casa il premio per il miglior documentario. Si tratta di una denuncia alla vigilanza digitale delle agenzie di intelligence che distrugge l'intimità e porta al massimo controllo mai immaginato dai regimi dittatoriali. Dagli Stati alle imprese, l'individuo è sottoposto al controllo totale della propria vita a favore della sicurezza e del consumo.

Tra i candidati meno premiati va ricordato Boyhood, opera di cinema più europeo che hollywoodiano del maestro Richard Linklater in cui si racconta la lunga adolescenza di un ragazzo per il quale la figura paterna e quella materna si sfocano e malgrado tutto cresce in saggezza in mezzo all'improvvisazione. Il film ha ottenuto l'Oscar per la miglior attrice non protagonista, attribuito a Patricia Arquette per il personaggio di Olivia, la madre di Mason, il giovane protagonista. Va ricordata anche l'ode all'amabilità come risorsa di umanità che è Gran Budapest Hotel, che ha ottenuto i premi per la colonna sonora originale, la scenografia, i costumi e il trucco.

Più dimenticati, film come l'interculturale e interreligioso Timbuctu di Sissako o il documentario di Wenders Il sale della terra sul senso dell'immagine come denuncia.

In definitiva, più che grandi produzioni un po' di cinema d'autore, il cinema latinoamericano si fa spazio e i grandi temi passano per la parabola delle storie individuali. Dal punto di vista spirituale, la ricerca compare in modo significativo. Le questioni di fondo della crisi di senso e identità o il superamento dei limiti e dei fallimenti si impongono sulle lotte cosmiche del bene contro il male o i grandi modelli. Epoca di racconti minimalisti per aprire qualche breccia nell'oscurità.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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