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Papa Francesco non è un profeta ben visto neanche nella sua terra

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ANDREAS SOLARO

Manuel Bru - Aleteia - pubblicato il 06/07/15

Il papa è più profeta fuori dalla sua terra (fuori dalla Chiesa) che in casa propria. Perché?

Perché Ezechiele è un profeta? Perché San Paolo è un profeta? Perché Gesù è “il profeta” per antonomasia? Perché i profeti sono scomodi? Dov’è la loro forza? Perché anche tu sei profeta?

La missione del profeta è chiara in Ezechiele, e si ripete nel corso di tutta la storia della Salvezza: “Ascoltino o non ascoltino – perché sono una genìa di ribelli – sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”.

Il profeta non è una persona che vende o che ottiene, né un imbroglione, ma un testimone. In questa società del successo, il profeta è quindi un pazzo, un fallito. In base alla fede, inoltre, oltre ad essere autentico e coraggioso è un servo fedele, che potrà dire “Sono un servo inutile, ho fatto solo ciò che dovevo fare”.

Il profeta ripone la propria fiducia solo in Dio. Tutto il resto, e tutti gli altri, possono deludere, ma Dio non delude mai. Il profeta, come recita il salmo 122, ha gli occhi posti sul suo Signore, e per questo può tollerare gli “scherni dei gaudenti” e il “disprezzo dei superbi”.

Per questa ragione, il profeta sa, come San Paolo, che gli basta la grazia di Dio. Quanti profeti cristiani nel corso dei secoli avranno potuto esclamare con le parole di Paolo: “Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”(2 Cor 12, 10)…

Come ci riferisce il Vangelo di Marco (6, 1-6), è per questo che i compaesani di Gesù non gli danno credito. Come con i profeti prima e dopo Gesù, si sono posti con il Figlio di Dio tutte le domande di rigore di quelli che non vogliono sentire la verità e dicono: “E questo chi crede di essere?”

Sicuramente per questo non osiamo rispondere alla nostra chiamata ad “essere profeti” che riceviamo nel Battesimo, quando veniamo costituiti in Cristo sacerdoti, re e profeti:

Sacerdoti perché tutti siamo un “ponte” tra Dio e gli uomini attraverso la preghiera per gli altri e l’amore e per il prossimo;

Profeti perché tutti siamo chiamati a dare testimonianza di Cristo con le parole e con le opere, e a trasformare e migliorare questo mondo in cammino verso il Regno di Dio, Regno di giustizia, di amore e di pace;

Re perché l’unico titolo di un cristiano è quello di figlio di Dio, che ci rende liberi da ogni vassallaggio di fronte a qualsiasi re terreno, e quindi “re” per fraternità con l’“unico Re”, Cristo Gesù.

Parlando di profeti, confesso che molti di noi sono preoccupati per l’ondata di disaffezione interna con cui si critica papa Francesco. Come il Signore, il papa è più profeta fuori dalla sua terra (fuori dalla Chiesa) che a casa propria. Perché?

In primo luogo perché quando, guidata dallo Spirito Santo, la Chiesa ha scelto un papa latinoamericano, ha mostrato chiaramente che prende decisamente sul serio l’uguaglianza dei suoi figli.

Per questo molti non hanno ancora assimilato la provenienza e lo stile personale del papa. Nessuno degli ultimi pontefici è stato un papa elitista, ma in questo caso è impossibile mascherarlo.

In secondo luogo, papa Francesco non ha peli sulla lingua: mette in discussione tutti i dogmi della mentalità individualista regnante, come l’idolatria dell’economia di mercato. E dà testimonianza di una semplicità tale da mettere in scacco sia onorevoli ecclesiastici che credono che continuiamo a vivere nel Rinascimento che rispettabili cristiani che credono di peccare solo contro il sesto comandamento.

In terzo luogo, il papa “profeta” Francesco è rifiutato per la sindrome del fratello maggiore della parabola del figliol prodigo, ovvero per il suo impegno a tendere la mano a tutti coloro che sono lontani dalla Chiesa e a mostrare loro il volto della sua misericordia che vuole curare le loro ferite.

Come recita infatti l’inizio della costituzioneGaudium et spes del Concilio Vaticano II, “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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