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Chi chiede aiuto per risanare le ferite dell’aborto?

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La vigna di Rachele - pubblicato il 16/09/15

Stare accanto a chi ha perso un figlio

di Monika Rodman Montanaro

La Vigna di Rachele , apostolato internazionale che accompagna le donne, uomini e coppie che in passato hanno fatto esperienza dell’aborto volontario o terapeutico, quest’estate ha compiuto 5 anni di attività in Italia. Aleteia ha già pubblicato un articolo che descrive come queste persone vengono accompagnate per poter ritrovare la speranza e riprendere (o intraprendere per la prima volta) un cammino cristiano, anch’esso spesso “abortito” insieme al figlio non accolto. Qui la responsabile nazionale traccia un profilo delle persone che si rivolgono all’apostolato chiedendo un aiuto nell’elaborazione del lutto e nel percorso di riconciliazione.

Anna”, nata nel sud ma cresciuta a Bologna, dove lavorava stabilmente in una ditta, è stata una delle prime a contattarci dopo aver scoperto il sito internet che ha riacceso in lei una scintilla di speranza:Sono una ragazza di 30 anni e ho tanto bisogno di parlare con qualcuno… So che è orrendo quello che ho fatto e l’ho fatto 3 volte, la prima volta a 19 anni, la seconda a 23 e la terza a 26. Dalla prima volta che l’ho fatto la mia vita è finita, ho un senso di disperazione dentro enorme che mi soffoca. Per tanto tempo è come se non avessi voluto vedere quello che avevo fatto ma mi porto la morte dentro. Non riesco a trovare le parole per dirti quello che sento, mi faccio schifo e penso che questa è la mia punizione per quello che ho fatto con irresponsabilità. Nella mia vita non c’è più un briciolo d’amore, il mio cuore è o disperato o di ghiaccio. Non riesco più ad amare nessuno, non ho più vita… A volte la mancanza dei miei bambini mi lascia senza fiato.”

In 5 anni sono arrivate dalle varie regioni del Paese centinaia di “Anna”, poche con 3 aborti alle spalle, ma tutte che esprimono un simile dolore paralizzante, a volte mai espresso, ma spesso già confessato a sacerdoti e/o psicoterapeuti senza essere stato lenito, anche dopo anni o decenni. Poche hanno meno di 30 anni. Una certa maturazione ci vuole per rivedere i capitoli più dolorosi della propria vita. Chi ha confessato l’aborto più di una volta in chiesa non di rado porta un ulteriore fardello: quello del rimprovero avuto per ciò che può essere stato giudicato scrupolosità o mancanza di fede. (Al clero suggeriremmo di intravedere nelle confessioni ripetute un bisogno di elaborare sul piano umano la ferita alla maternità che si vive con l’aborto, oltre al bisogno di riconciliare il peccato commesso.) Siamo lieti di vedere una lenta crescita nel numero di sacerdoti che suggeriscono alla penitente di contattare La Vigna di Rachele per avere un aiuto ad accogliere il perdono celebrato nel Sacramento, incoraggiandola ad intraprendere un percorso di elaborazione del lutto e a partecipare eventualmente al ritiro spirituale che porta l’approvazione ecclesiastica. La parola chiave è “percorso”. Esso integra e arricchisce la celebrazione del Sacramento, non la sostituisce.

Ci contattano anche uomini feriti loro stessi dall’aborto o che sanno di aver ferito la propria moglie o compagna. A volte sono soli ma sempre più spesso fanno la prima mossa nel nome della coppia. Quel gesto che doveva proteggere la vita di coppia minacciata da una gravidanza inattesa o difficile, poi si rivela come “terremoto”, “bomba” o “mina” nella relazione (tutte parole usate dalle coppie stesse). “Enrico” parla della separazione avvenuta dopo l’aborto del primo figlio: Credo che da parte di mia moglie ci siano ancora tanta rabbia e tante domande a cui devo delle risposte che con non poca difficoltà ancora devo dare (mi riferisco al tradimento) ed anche all’abbandono e allontanamento che c’è stato da parte mia. Io spero di trovare un giorno tutte le risposte e poter tornare ad essere una persona in grado di vivere a pieno la vita come facevo prima dell’aborto, di poter essere di nuovo un punto fermo per chiunque avrò accanto … e potermi accettare e convivere con l’idea che ho provocato io stesso la mia infelicità.”

Sono in aumento le richieste fatte dalle persone che hanno abortito molto di recente. In tali casi si offre un accompagnamento particolare, incoraggiando la partecipazione al ritiro spirituale solo più avanti. Ciò perché è impossibile fare un percorso approfondito se è ancora troppo presente lo choc iniziale della perdita.

Anche se le donne straniere hanno un tasso di abortività più alto, almeno due interruzioni di gravidanza su 3 vengono eseguite sulle italiane e più del 95% delle persone che chiedono un aiuto alla Vigna di Rachele sono italiane provenienti da ogni ceto sociale. La maggioranza lavora. A volte vivono ancora con le persone corresponsabili dell’aborto. Una delle tragedie è proprio la partecipazione della famiglia e del personale medico, che insieme alla donne hanno fallito nel compito di essere la prima “culla” della vita nascente. Perciò, sono benvenuti nella Vigna di Rachele anche membri del personale sanitario e parenti della donna, magari avendo loro stessi abortito in precedenza. Uno dei momenti più belli del ritiro è domenica pomeriggio quando vengono accolti gli ospiti per la funzione commemorativa in cui vengono onorati i bambini abortiti. Tale partecipazione aiuta a ricucire le relazioni familiari spesso danneggiate con l’aborto. Si considera l’aborto non come offesa generica “contro la vita”, ma come perdita traumatica del proprio figlio.

Chi ci contatta rappresenta una vasta gamma di pratica (o non pratica) della fede cattolica: dal diacono permanente con la moglie alla genovese mai battezzata. L’esperienza fatta nella Vigna di Rachele è per molti il primo incontro personale con Cristo, anche dopo aver magari seguito l’iter normale dei sacramenti.

Per chi partecipa al ritiro, il viaggio a Bologna diventa un vero e proprio pellegrinaggio in cui la fatica di mettersi in cammino diventa metafora della vita nuova cercata e del proprio “sì” all’invito di Gesù di riaprirsi alla relazione con Dio. La grazia di Dio rimane sempre dono gratuito e non merito nostro, ma quella grazia arriva non “senza bisogno che cambi qualcosa del nostro modo di vivere” (D. Bonhoeffer).

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