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Breve pausa dalla paura per una ragazzina irachena negli USA

katrina

Courtesy of the Knights of Columbus

John Burger - Aleteia - pubblicato il 22/10/15

Portata nel Connecticut dai Cavalieri di Colombo per cure mediche, Katreena torna a casa dalla sua famiglia

Il suo nome ricorda un famoso uragano che ha colpito New Orleans. È un’esile quindicenne, non parla molto l’inglese ma ha imparato frasi come “Oh my God!” (Oh, mio Dio!), e preferisce la pizza agli hamburger americani.

E ora è tornata a casa, in Iraq.

A causa delle ovvie preoccupazioni per la sicurezza di una cristiana che vive in un luogo che sta sperimentando quello che papa Francesco ritiene un genocidio, ci è stato chiesto di identificarla solo con il nome di Battesimo, Katreena, e di parlare della sua casa come dell’“area intorno a Mosul e alla Piana di Ninive”. Katreena e sua madre Rajaa hanno incontrato alcuni giornalisti martedì alla residenza di St. Joseph, una casa per anziani e malati nel nord dello Stato del Connecticut gestita dalle Piccole Sorelle dei Poveri.

Come il famoso uragano, lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria – l’ISIS – ha sconvolto la vita di Katreena e Rajaa e di altre centinaia di migliaia di persone nei due Paesi. A differenza di quanti risiedevano nella zona colpita dall’uragano nel 2005, però, Katreena e la sua famiglia, che comprende il padre e tre fratelli più piccoli, hanno poche speranze di tornare nel villaggio dove vivevano in pace.

Da quando lo hanno lasciato nell’estate 2014, hanno vissuto a Erbil, la capitale curda del nord dell’Iraq, che ha ospitato migliaia di sfollati interni, soprattutto cristiani provenienti da Mosul e dalla Piana di Ninive.

È stata la fuga dall’ISIS che ha portato Katreena negli Stati Uniti. Era stata ferita a un piede, e la ferita si era infettata durante il viaggio verso Erbil, che ha comportato lunghe camminate. Ora la ragazzina cammina con le stampelle.

Una clinica medica di Erbil gestita dall’Università di Santa Elisabetta per l’Assistenza Sanitaria e l’Azione Sociale di Bratislava, in Slovacchia, ha verificato che Katreena non avrebbe potuto ricevere l’assistenza di cui aveva bisogno. I Cavalieri di Colombo sostengono la clinica come parte della loro assistenza alle comunità cristiane irachene e siriane, e quindi la clinica si è rivolta a loro per ottenere aiuto.

“Abbiamo collaborato con la clinica per assicurare un visto medico per portare Katreena e la madre qui per una valutazione e la successiva cura”, ha affermato Andrew Walther, vicepresidente per le comunicazioni dei Cavalieri di Colombo. Da settembre Katreena è stata curata alConnecticut Children’s Medical Center di Hartford, e lei e la madre vivevano alla residenza di St. Joseph.

“Un ospedale iracheno aveva diagnosticato alla ragazzina un problema al rene e progettava di operarla per rimuoverlo. Mentre si recavano in ospedale per l’intervento hanno ricevuto la chiamata che annunciava che potevano venire qui per le cure. Se fosse stata sottoposta all’intervento, i medici ci dicono che probabilmente sarebbe morta viste le condizioni del suo piede e quelle della sua salute in generale”, ha aggiunto Walther. “Portandola qui siamo riusciti a offrirle un tipo di cura che può continuare in Iraq”.

Anche se ora la sua salute è più stabile, la famiglia di Katreena affronta un futuro incerto mentre lei e Rajaa tornano a Erbil, e anche se la capitale del Kurdistan è relativamente sicura, Katreena butta lì frasi come “Non sappiamo quando l’ISIS comparirà a Erbil”.

Il padre di Katreena è un poliziotto, e l’ISIS ha minacciato di tagliargli la testa se la sua famiglia tornerà nella cittadina natale, ha riferito Rajaa. “Ci hanno detto che hanno dato alle fiamme la nostra casa, che lì non abbiamo più niente”.

Tutto questo è accaduto dopo che i membri dell’ISIS hanno dipinto sulla casa la “nun”, una lettera araba che indica la parola “nazareno”, cristiano. La famiglia di Katreena appartiene alla Chiesa cattolica caldea.

“Non ci sono speranze. Abbiamo paura”, ha detto Rajaa. “È per questo che mio marito vuole lasciare l’Iraq. Anche se un’organizzazione ci aiutasse, non vogliamo stare qui. Finché ci sarà l’ISIS non c’è speranza”.

Visto che non ci sono molte speranze di ottenere un visto, la famiglia dovrà rimanere lì. Tutti i cristiani, ha riferito Rajaa, vogliono lasciare il Paese.

Nelle cinque settimane in cui Katreena e la madre sono state a St. Joseph, si sono donate alle suore e agli anziani di cui queste si prendono cura.

“Questa situazione ha dato ai residenti la sensazione di avere come una nipote accanto”, ha detto suor Genevieve Nugent, direttrice della struttura. “Per noi e per lo staff era come la nostra sorellina. Dice che deve tornare a casa perché la sua famiglia deve spostarsi nuovamente, teme che verranno separati, e se devono morire vuole morire con loro”.

“Abbiamo sempre pregato per il Medio Oriente”, ha aggiunto la religiosa, “ma ora ha un volto”.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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