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Vuoi che Gesù ti insegni ad avere empatia per gli altri?

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© Sacca

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Opus Dei - pubblicato il 25/02/16

Per vivere la carità bisogna cominciare a vedere nell'altro qualcuno degno di considerazione e mettersi nei suoi panni

Abbiamo tutti sperimentato, in molte occasioni, che per recepire bene ciò che accade attorno a noi non basta soltanto elaborare dei dati oggettivi. Ad esempio, se qualcuno interpreta un pezzo musicale per degli amici, vorrebbe che questi si entusiasmino all’ascolto di quella melodia. Se invece gli amici si limitassero a dire che l’esecuzione è stata corretta, senza mostrare un minimo di coinvolgimento, si finirebbe preda dello scoraggiamento e della convinzione che in realtà non si ha affatto talento.

Quanti problemi si eviterebbero se comprendessimo meglio ciò che succede negli altri e quali sono le loro aspettative e ideali. “Più che dare, la carità è comprendere“. Per vivere la carità bisogna cominciare a vedere nell’altro qualcuno degno di considerazione e mettersi nei suoi panni. Oggi si parla spesso di empatia per riferirsi alla capacità di saper facilmente al posto degli altri, di farsi carico delle loro situazioni e di valutare i loro sentimenti. Insieme alla carità, quest’attitudine contribuisce a costruire la comunione e l’unione dei cuori. Come scrive San Pietro: “Abbiate tutti lo stesso pensare e lo stesso sentire”.

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Imparare da Cristo

Con la sua vita, Gesù ci insegna a vedere gli altri in un modo diverso, condividendo i loro sentimenti e sostenendoli nei momenti di delusione.

Sin dal principio, i discepoli hanno potuto testimoniare la sensibilità del Signore: la sua capacità di mettersi nei panni degli altri, la sua delicata comprensione di ciò che accade nel cuore dell’essere umano, la sua acutezza nel percepire il dolore degli altri. Arrivando a Nain, senza che sia stata pronunciata parola, si fece carico della tragedia della vedova che aveva perso il suo unico figlio; all’ascolto della supplica di Jairo e dei lamenti delle persone in lutto, seppe consolare il primo e placare i secondi; è conscio delle esigenze di chi lo segue e si preoccupa se non hanno di che nutrirsi; piange insieme a Marta e Maria davanti alla tomba di Lazzaro e si indigna per la durezza del cuore dei suoi quando invocano fuoco dal cielo per bruciare il villaggio dei samaritani che non li ha ricevuti.

Con la sua vita, Gesù ci insegna a vedere gli altri in un modo diverso, condividendo i loro sentimenti e sostenendoli nei momenti di delusione. Impariamo da Lui a interessarci della condizione interiore di chi è intorno a noi, e con l’aiuto della grazia superiamo progressivamente i difetti che ce lo impediscono. Come ad esempio la distrazione, l’impulsività o la freddezza. Non ci sono scuse per arrendersi. La vicinanza al cuore del Signore aiuterà a plasmarci in modo da avere i sentimenti di Gesù Cristo.

È meraviglioso scoprire come gli apostoli, nel calore del loro rapporto con il Signore, abbiano calmato il proprio modo di essere, spesso volubile, che in alcune occasioni li hanno resi antipatici nei confronti degli altri. Giovanni – talmente veemente da essere meritato, con suo fratello San Giacomo, il soprannome di figlio del tuono – successivamente diventerà ripieno della mansuetudine e insisterà sulla necessità di aprirsi al prossimo come ha fatto lo stesso Cristo: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”.

Modi di amare la verità

Nel tentativo di aiutare gli altri, la carità e la mansuetudine ci guidano verso le ragioni del cuore, che di solito aprono le porte dell’anima con maggior facilità di una argomentazione fredda e distante.

L’amore di Dio ci spinge a mantenere uno stile affabile, mostrando la bellezza della vita cristiana: “La vera virtù non è triste e antipatica, bensì piacevolmente allegra”. Sappiamo scoprire il positivo in ogni persona. Poter amare la verità significa riconoscere le tracce di Dio nei cuori, per quanto lacerati possano sembrare.

La carità fa in modo che, nel rapporto con amici, colleghi e parenti, il cristiano si mostri comprensivo verso chi è disorientato. A volte lo sono perché non hanno avuto l’opportunità di essere adeguatamente formati nella fede, oppure perché non hanno visto un esempio in carne e ossa dell’autentico messaggio del Vangelo.

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Sì continua, così, ad essere predisposti all’empatia anche quando gli altri sbagliano: ” Se mantiene, así, una disposición de empatía también cuando los otros están equivocados: “Non comprendo la violenza: non mi pare adatta né per convincere, né per conquistare; l’errore si supera con la preghiera, con la grazia di Dio, con lo studio; mai con la forza, sempre con la carità”. Dobbiamo dire la verità con una pazienza costante – veritatem facientes in caritate – sapendo stare dalla parte di chi forse è confuso, ma che in poco tempo potrà aprirsi all’azione della grazia.

Come segnala Papa Francesco, questa attitudine consiste molte volte nell'”allentare il passo, mettere da parte l’ansia per poter guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle cose urgenti per sostenere chi è caduto, sul ciglio della strada. A volte è come il padre del figliol prodigo, che mantiene la porta aperta in modo che, al suo ritorno, possa entrare senza difficoltà”.

“Chi può vacillare, senza che lo faccia anche io? Chi può inciampare, senza che io venga investito dal suo stesso dolore?” Quanto sincero affetto si scopre in questa affettuosa allusione di San Paolo ai cristiani di Corinto! È più facile che la verità si faccia spazio attraverso questo modo di condividere sentimenti, perché si stabilisce un flusso di emozioni – in cui è presente la fiducia – che rafforza la comunicazione. L’anima diventa quindi più ricettiva verso ciò che ascolta, specialmente se si tratta di un commento costruttivo che esorta a migliorare la propria vita spirituale.

QUI L’ARTICOLO COMPLETO

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]

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