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Le Americhe. Dalla “profezia” di Pio XI all’elezione di Francesco

Le Americhe. Le Collezioni del Museo Etnologico Vaticano

© Antoine Mekary / ALETEIA / MUSEI VATICANI, GOVERNATORATO SCV

Catalogo "Le americhe. Le collezioni del Museo Etnologico Vaticano" © Antoine Mekary / ALETEIA / MUSEI VATICANI, GOVERNATORATO SCV

Marinella Bandini - pubblicato il 26/05/16

In pieno colonialismo Pio XI volle una esposizione di opere dalle missioni. Oggi un figlio di quelle terre è Papa. Il catalogo su "Le Americhe" del Museo Etnologico Vaticano

Era il 1925 quando Pio XI decise di organizzare una grande esposizione in Vaticano con opere e oggetti provenienti dalle terre di missione, per far conoscere in Europa queste culture così lontane e diverse. Gettò così le basi del Museo Etnologico Vaticano (all’interno dei Musei Vaticani), che oggi apre le porte al pubblico con un nuovo allestimento. Non c’è espressione umana che il cristianesimo non possa abbracciare: dall’Alaska alla terra del Fuoco, dal porta-messale di Colombo alle maschere africane, dalle sculture dall’Oceania alle preziose ceramiche islamiche; dall’arte precolombiana alle ceramiche islamiche. C’è tutto questo e molto di più nella collezione voluta da Papa Achille Ratti. Un’operazione culturale in totale controtendenza, ancora in pieno colonialismo. Una profezia, l’ha definita il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci. E probabilmente non è un caso che, 90 anni dopo quell’intuizione di Pio XI, sulla Cattedra di Pietro sieda Papa Francesco, un Papa figlio di quelle terre di conquista e di missione.

Un Papa sudamericano, che non si stanca di invitare al dialogo tra culture, popoli, religioni: “I Musei Vaticani – ha avuto modo di dire – devono accogliere le nuove forme d’arte. Devono spalancare le porte alle persone di tutto il mondo. Essere uno strumento di dialogo tra le culture e le religioni, uno strumento di pace”. L’esistenza del Museo Etnologico è una testimonianza del “dialogo con le culture che la Chiesa ha intessuto nei secoli” ha sottolineato il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato e già nunzio apostolico in Messico, da cui provengono diverse opere. Un dialogo ininterrotto, come mostra il catalogo “Le Americhe. Le collezioni del Museo Etnologico Vaticano”, il primo di una serie dedicati al Museo Etnologico, in questo caso un excursus attraverso opere e oggetti provenienti dal “Nuovo Mondo”, raccolti in Vaticano dal XVI secolo fino ad oggi, che raccontano tradizioni, espressioni artistiche e vita quotidiana.

Su circa diecimila opere custodite, ne sono state selezionate 200 a titolo rappresentativo. Un lavoro curato daNicola Mapelli e Katherine Aigner. Un lavoro fatto di studio e ricerche sulle opere, ma anche e soprattutto di contatto con le terre e le persone che ne sono all’origine “per sentire la loro anima e portarla dentro al Museo. Incontrare le persone e i contesti in cui queste opere sono nate arricchisce la nostra conoscenza delle opere e da loro nuova vita”. I ricercatori hanno viaggiato attraverso il continente americano, visitandone gli angoli più remoti e incontrando le popolazioni indigene: in Colombia tra i discendenti dei Tairona; tra gli Yahgan della Terra del Fuoco, i Lakota Sioux del South Dakota, gli Yup’ik e gli Inupiat in Alaska, ma anche sulle tracce delle civiltà precolombiane, come gli Inca e i Maya. “Sono loro, e non gli oggetti, i veri protagonisti” del catalogo e del Museo. “La lotta di queste popolazioni per preservare le proprie culture è anche la nostra lotta” scrivono i ricercatori nella presentazione del catalogo. Pagine che vogliono dare voce a queste culture e farle conoscere alle migliaia di persone che ogni giorno varcano i portoni dei Musei Vaticani.

La grande scritta “1691” accoglie il visitatore nella nuova Esposizione Permanente e segna l’inizio della collezione, con oggetti del XVII secolo come il calendario runico, una xilografia raffigurante un rituale della popolazione Tairona o gli otto dipinti verticali (kakemono) raffiguranti divinità buddhiste. A destra, la sezione “Australia” con più di cento manufatti degli aborigeni. A sinistra, la sezione “Indonesia”. Il cortile esterno e una sala sono dedicati al complesso templare buddhista del Borobudur dell’Isola di Giava. Nelle vetrine di fronte, alcune caratteristiche produzioni come i tessuti batik, patrimonio dell’Unesco. Una coppia di imponenti leoni cinesi in cloisonné accoglie il visitatore nella nuova sezione “Asia”. Furono realizzati appositamente per l’esposizione del 1925. Si arriva infine alla sezione dedicata all’arte sincretica, che nasce dall’incontro della religione cattolica con la realtà e le dottrine locali. Così il Cristo indiano viene scolpito in padmasana (posizione del loto) o una Kannon (Avalokitesvara) giapponese è rappresentata come la Vergine Maria Madre misericordiosa.

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