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Dio vuole che lo difenda? E come?

FILES-PALESTINIAN-TATTOO-RELIGION

AFP PHOTO / THOMAS COEX

(FILES) This file photo taken on April 28, 2016 shows Christian Palestinian tattoo artist Walid Ayash (R) drawing a tattoo depicting a crucified Jesus Christ on the arm of a Coptic Egyptian pilgrim, at his studio in the West Bank town of Bethlehem. Thousands of Christian Orthodox worshippers from around the world visit the Holy land to celebrate Easter. During the Holy Week Ayash tattoos up to a hundred pilgrims per day, who are mainly Christians coming from the Middle East. / AFP PHOTO / THOMAS COEX

Teresa Compte - pubblicato il 26/07/16

Senza spirito polemico

Gesù gli rispose: ‘Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto’. Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: ‘Così rispondi al sommo sacerdote?’. Gli rispose Gesù: ‘Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?‘” (Gv 18, 20-23)

Così risponde Gesù davanti a un giudizio ingiusto: andando incontro. La risposta di Gesù non si può intendere come una provocazione. Al contrario. Gesù ha preso sul serio i suoi interlocutori, anche quelli che gli hanno teso delle trappole. Non è stato un incauto, ma non ha nemmeno agito sulla difensiva. Non era un polemico. Il suo passaggio per questa vita, quella che ha vissuto, è stato caratterizzato dal proposito incrollabile di fare il bene e di restituire il bene quando riceveva il male.

Se essere cristiani è incontrare personalmente Gesù Cristo in un rapporto di fiducia amorevole che ci porta a continuare a imitare il modo in cui Egli ha vissuto, non c’è dubbio sul modo in cui siamo chiamati a comportarci.

E non importano le circostanze. Non c’è altro modo cristiano di relazionarsi al mondo in cui viviamo che non passi per il modo in cui ha vissuto, ed è morto, Gesù.

A volte crediamo che di fronte alle contrarietà e alle sfide, ma molto più di fronte alle accuse, il nostro Dio ci chieda di prendere la spada, anche se solo in senso figurato. Lo ha fatto Pietro nel Getsemani, e cosa ha fatto Gesù? Lo ha rimproverato.

Lo stile di vita e gli insegnamenti di Gesù non sono mai stati un elemento d’ordine. Non è venuto a giustificare il mondo in cui ha vissuto. Non è venuto neanche a condannarlo, ma a dargli una Parola, quella del Padre. Non sarà così che il nostro Dio vuole essere testimoniato?

Me lo chiedo ogni volta che ascolto chiedere con ardore la presenza pubblica dei cattolici e della Chiesa nella nostra società. E me lo chiedo, soprattutto, quando il mondo, a ragione o senza, ci sfida, a volte fino a farci arrossire.

Confesso che una delle cose che ho imparato maggiormente dal pontificato di Benedetto XVI è proprio il rifiutare i metodi e gli atteggiamenti difensivi. In questo, come in altre cose, credo che egli e Paolo VI condividano convinzioni e atteggiamenti.

Ricordo perfettamente il discorso di Benedetto XVI agli Scrittori del Collegio de La Civiltà Cattolica, pronunciato nel febbraio 2006. In quell’intervento il papa ha parlato di fedeltà, chiarezza e difesa delle verità di fede cristiana, ma lo ha fatto sottolineando un’espressione che dieci anni dopo continua a risuonare in me: “Senza spirito polemico”.

Quando l’ho letta mi sono ricordato la mitezza, la chiarezza, la fiducia e la prudenza a cui invitava la prima enciclica di papa Paolo VI, la Ecclesiam Suam.

Cosa succederebbe se anziché condannare andassimo incontro? Cosa succederebbe se anziché interpretare chiedessimo prima? Se anziché lanciare anatemi imparassimo l’arte dell’accoglienza?

Tendere la mano e domandare perché non è debolezza. Oseremmo forse definire debole Gesù Cristo, il Figlio di Dio, quando ha risposto al sommo sacerdote “Perché mi percuoti?”

Confesso che queste domande mi colpiscono ogni volta che credo di scoprire che una parte della mia famiglia, che è la Chiesa, mi chiede di rispondere in modo coraggioso a provocazioni che a volte non sono altro che lamentele espresse con rabbia, altre volte sono reazioni viscerali a condotte incomprese, altre volte ancora non sono altro che collere infantili e altre, tuttavia, sono il modo per richiamare l’attenzione di una madre della quale si sono perse le tracce.

Quando accade questo mi ricordo di Montini e di Ratzinger e mi chiedo: “Dio vuole che lo difenda? E se è così, come vuole che lo difenda?” E allora mi ricordo di Gesù davanti al sommo sacerdote e mi chiedo: “Perché mi percuoti?”

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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