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Testimonianze olimpiche. 7 storie per commuoversi

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Catholic Link - pubblicato il 09/08/16

Sebastian Campos

Lo sport e quello che provoca nell’uomo è così grande che anche nella Bibbia ci sono esempi che usano l’esercizio fisico perché possiamo comprendere meglio la vita spirituale. Lo stesso San Giovanni Paolo II ha usato un esempio sportivo per aiutarci a comprendere che “la vita può essere paragonata a una singolare maratona, che tutti siamo chiamati a percorrere, ognuno con modalità e ritmi diversi. Ci attende però un traguardo comune ed è l’incontro con Cristo” (Giovanni Paolo II, messaggio agli atleti partecipanti alla Maratona di Roma, 2000).

La nostra vita è come un’Olimpiade, un periodo di preparazione e allenamento per quando arriverà il momento di essere messi alla prova. Giovanni Paolo II, parafrasando San Paolo, che un paio di volte ha parlato degli atleti per spiegare concetti relativi alla vita spirituale, ha detto che “’ogni atleta è temperante in tutto’ (1 Cor 9,25). In effetti, senza equilibrio, autodisciplina, sobrietà e capacità di interagire onestamente con gli altri, lo sportivo non è in grado di comprendere appieno il senso di un’attività fisica destinata ad irrobustire, oltre che il corpo, la mente e il cuore” (San Giovanni Paolo II, messaggio alla Società Sportiva Lazio, 2000).

Lo sport è un esempio in molti aspetti, e le storie degli sportivi, nobili, dediti e virtuosi ci parlano anche della vita spirituale e delle cose che viviamo ogni giorno. Lo sforzo, la perseveranza, la sconfitta, la critica e lo scoraggiamento sono cose che affrontiamo più spesso di quanto vorremmo.


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Nella storia dei Giochi Olimpici abbiamo selezionato alcune testimonianze, non solo di record e imprese che sfidano i limiti umani, ma di nobiltà, passione e virtù, quelle che siamo chiamati a vivere tutti, sportivi e gente comune come me e voi.

Ecco 7 testimonianze toccanti.

1. Ha lasciato i Giochi Olimpici per amore per il padre

Joana Bolling ha 20 anni e gioca a handball. È una sportiva come il padre, che era giocatore di basket. Fa parte della squadra argentina e in questi mesi si è preparata per partecipare alle Olimpiadi di Rio. Il padre, però, si è ammalato gravemente di insufficienza renale, e aveva bisogno di un donatore. Joana, nonostante l’opposizione del padre, ha deciso senza esitazioni di essere la donatrice, mettendo in secondo piano la sua carriera sportiva e le Olimpiadi per salvare la vita del genitore.

Joana ci offre una lezione sulle decisioni e le priorità. La tua famiglia è più importante della tua carriera e del tuo sviluppo personale?

2. Terminare sì o sì

La maratoneta svizzera Gabriela Andersen ha dimostrato perfettamente lo spirito olimpico quando nel 1984 , sotto 30ºC a Los Angeles (Stati Uniti), ha fatto alzare uno stadio intero per accoglierla con un’ovazione.

Non ha vinto, ma ha dimostrato determinazione e perseveranza. È arrivata allo stadio disidratata, spaventata e con la metà del corpo paralizzata. L’organizzazione si è mobilitata rapidamente per offrirle aiuto al suo arrivo allo stadio, ma lei sapeva che se ne avesse usufruito sarebbe stata squalificata, per cui, senza accettare l’ausilio che le era stato offerto, è arrivata al traguardo seppure tra enormi difficoltà.

Anni dopo ha detto: “Era la mia unica opportunità di terminare una maratona in uno stadio olimpico”.

La testimonianza di Gabriela ci interpella. Quando tutto ci crolla addosso, siamo disposti ad andare avanti e a terminare la corsa?


3. Contro ogni pronostico e ogni resoconto medico

Se una persona soffre di gravi malattie nell’infanzia, ha poche possibilità di battere qualche record a livello di impegno fisico. Non è il caso di Wilma Rudolph, 20ma di 22 fratelli e che da bambina ha sofferto di varie malattie gravi, tra le quali la poliomielite, che l’ha fatta rimanere vari anni con una gamba paralizzata quando era piccola.

Nei Giochi olimpici di Roma del 1960 ha vinto 3 medaglie d’oro per gli Stati Uniti nei 100 metri, 200 metri e nella staffetta, e nel 1961 ha battuto il record del mondo dei 100 metri. Questi trionfi le hanno fatto guadagnare il soprannome “Gazzella Nera”.

Sicuramente vi hanno detto molte volte che non potete fare qualcosa. Vi viene voglia di seguire l’esempio di Wilma e di perseverare contro ogni pronostico?


4. Per dare un buon esempio

Con due costole fratturate e l’influenza, il peruviano Roberto Carcelén ha partecipato alla gara di sci di fondo ai Giochi Olimpici Invernali di Sochi nel 2014. Dieci giorni prima della gara si era procurato delle lesioni in Austria, per cui pochi si sono spiegati perché corresse se non aveva alcuna possibilità di ottenere un buon risultato. Ha infatti impiegato il doppio del tempo del vincitore. L’atleta ha risposto: “Mi è costato molto respirare, ho provato molto dolore, ma siamo qui, ho fatto quello che avevo promesso e magari servirà da esempio”.

Roberto ci insegna qualcosa di grande e ci invita a riflettere: facciamo le cose perché ne trarremo profitto o perché è davvero la cosa giusta da fare?

5. Quando il proposito è grande, il dolore viene messo da parte

Dopo che il suo primo salto le aveva provocato una dolorosa distorsione alla caviglia, la giovane statunitense Kerri Strug ha realizzato il suo secondo salto nelle gare di ginnastica artistica delle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Gli Stati Uniti avevano bisogno di un buon salto di Kerri per ottenere la medaglia d’oro. Anche se con la caviglia lesionata, ha preso la rincorsa e ha realizzato il salto. La sua impresa ha fatto guadagnare alla sua squadra 7 medaglie d’oro.

Quando sperimenti dolore (fisico o spirituale), come ha fatto Kerri, sei capace di riprovare un nuovo salto di fede?


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6. Cercare altre forme, perdere la paura per ciò che è nuovo

Fino al 1963 il salto in alto si realizzava da davanti, ovvero passando il petto sull’asta orizzontale. Dick Fosbury, 16 anni, innovò il tutto. Realizzò il suo salto dando le spalle all’asta, perché notò che così era più flessibile e riusciva ad arrivare più in alto. Lo definirono pazzo più che innovatore. Nel 1968 si classificò ai giochi universitari negli Stati Uniti e poi ai Giochi Olimpici del Messico dello stesso anno.

Davanti allo sguardo perplesso di tutti, ottenne l’oro e un record olimpico saltando 2,24 metri. Dopo quei Giochi si ritirò dall’atletica, ma questo tipo di salto oggi porta il suo nome, Fosbury Flop, e la scienza ha dimostrato che questa tecnica è la più efficiente al momento di saltare. Oggi è utilizzata da tutti i saltatori.

Guardando l’audacia del giovane Fosbury, quando le cose diventano difficili hai il coraggio di proporre le idee che ti vengono in mente ma che credi che gli altri criticheranno?


7. Se lo guardi dall’altro lato, un difetto può essere una virtù

Bob Kurland (Stati Uniti) era alto 2,10 metri. Visto che era alto aveva dei problemi di coordinamento, per cui i suoi genitori decisero di fargli fare dello sport e scelsero il basket. Era talmente alto che non venne nemmeno reclutato per la II Guerra Mondiale. Si fece notare come giocatore universitario e venne inviato a giocare in varie squadre della NBA ma non accettò, anche se lo fece per giocare nella squadra statunitense. Era così alto che per lui era facile prendere la palla e intimidire gli avversari.

Nelle Olimpiadi del 1948 aiutò la sua squadra a ottenere l’oro. La sua statura fece scalpore, e perfino le autorità del basket proposero di impedire alle persone così alte di giocare. Oggi le squadre di basket cercano giocatori alti, perché dopo Rob hanno notato i vantaggi di queste persone nel gioco. Bob si ripeté ai Giochi Olimpici successivi e fu il primo giocatore di basket a vincere due ori.

Ti hanno fatto sentire che le tue caratteristiche fisiche ti rendono una persona non appropriata? Guarda l’esempio di Bob!


Sebastian Campos è un missionario laico a tempo pieno e si dedica all’evangelizzazione dei giovani. Conferenziere e scrittore, è anche blogger su Catholic Link. Il suo sito web è www.sebacampos.com.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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