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Il sacerdote che racconta il Vangelo attraverso le vignette

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© Giovanni Berti

Credere - pubblicato il 19/08/16

«Gesù stesso aveva un gran senso della provocazione umoristica»

di Giovanni Gazzola

«Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un sorriso». La citazione di Madre Teresa è una delle preferite di don Giovanni Berti, «don Gioba», come ama firmarsi. 49 anni compiuti il 2 luglio, da poco più di un anno è parroco a Moniga del Garda: «Siamo in duemila d’inverno e ventimila in estate, quando i campeggi si riempiono di turisti», spiega. Il suo soprannome, don Gioba, è il motivo per cui siamo andati a trovarlo: è, infatti, il nome del blog di vignette, preghiere e riflessioni che don Giovanni ha aperto nel 2007. Ogni settimana, pubblica una vignetta, il brano di Vangelo della domenica, un commento. Un modo originale di parlare di Gesù: «Le vignette sono il mio linguaggio preferito sin da quando ero un ragazzo timidissimo», racconta. «Mi piace vedere il lato ironico e a volte buffo della vita, è un modo per affrontare le situazioni, per trovare la capacità di comprenderle e starci dentro, come quando fai una fotografia in diagonale. E poi Gesù amava usare le immagini, parlava in parabole, e aveva un gran senso della provocazione umoristica: “Ma come, sono passati un levita e un sacerdote e si è fermato solo un samaritano a soccorrere il povero incappato nei briganti?”».

Dal punto di vista di Dio

Il nocciolo è questo: il Vangelo aiuta a guardare la vita sorridendo seriamente, anche in mezzo ai problemi; e un sorriso aiuta a comprendere che il Vangelo ha un messaggio sempre attuale e nuovo, che non può mai essere catalogato nel già visto e sentito. «Un conto è “farsi prossimo” e un conto è dire “avanti il prossimo”. Noi cristiani, a volte, travisiamo le parole del Vangelo, le utilizziamo per fare il contrario di quello che Gesù ci aveva chiesto. Magari abitiamo in condomini pieni e non sappiamo nulla di quello che succede nell’appartamento accanto. Tra l’indifferenza e l’invadenza si può anche coltivare la possibilità della giusta prossimità». Anche una vignetta, nella civiltà dell’immagine, può aiutare a cogliere in modo immediato che non c’è Vangelo senza vita e non c’è vita senza Vangelo: «Sono convinto che il Vangelo, che raccoglie l’esperienza dei primi cristiani, sia più per questa vita che per l’aldilà: mi aiuta a leggere la realtà e la mia stessa vita con il punto di vista di Dio, e a costruire già qui il suo Regno di amore. Sono cristiano e sono contento di esserlo, non perché ho l’esclusiva su Dio ma perché mi è stato fatto dono di un punto di vista che mi fa leggere la realtà con un senso meraviglioso, nuovo, unico».


Non a caso, quando gli chiedi di raccontarti, a parole, le vignette che ha amato di più, tra quelle che ha disegnato negli anni, allarga un sorriso mite e risponde parlando della Risurrezione: «Amo la vignetta in cui ci sono tre donne con gli occhialini in 3D. Una chiede: “Cosa c’entrano questi occhialini”, e l’altra risponde: “Perché è stato lui a dirci che sarebbe risorto in tre dì”. È una innocente boutade, che vuole provocarci a guardare la Risurrezione come a qualcosa di nuovo, di non ancora visto. Poi ce n’è un’altra, in cui le donne entrano nel sepolcro e invece dell’Angelo trovano un tablet che rivela che Gesù è risorto. Un’altra provocazione, simile, a rompere l’iconografia classica, a pensare come oggi la Risurrezione ci interpella come un fatto inatteso, a pensare al vero messaggio del Risorto e al ruolo decisivo delle donne nell’aver colto l’essenziale del cristianesimo. L’essenziale è amare e, anche, rendersi amabili, ponendosi con un sorriso e aiutando gli altri a volerci bene da cristiani. Ci provo sempre, anche se a volte non ci riesco, come con il signore che ho fatto inviperire perché gli ho strisciato un po’ la portiera dell’auto».

Senza ignorare le fatiche

Anche per don Gioba, comunque, la vita non è quella – come si legge nel suo blog – «dove c’è solo la bella famiglia come quella della pubblicità con i sorrisi di plastica. La famiglia di Gesù è partita abitando in una stalla, tra gli animali, e poi scappando in territorio straniero». Le famiglie reali, quelle che don Gioba incontra da parroco, affrontano come tutte la fatica di vivere. Mentre si rivelano «sempre accoglienti», quello che gli chiedono è soprattutto «un aiuto a migliorare la qualità delle relazioni. Se le relazioni sono forti, se sono intessute di ascolto, poi insieme si riescono ad affrontare anche i problemi più duri. Alle volte, persino, certe situazioni di difficoltà tirano fuori da noi il meglio, perché impariamo ad andare all’essenziale». Se poi, a un certo punto, la vita diventa imprevedibilmente brutale, e le parole mancano, ci potrà ancora essere una vignetta ad aiutarci, almeno un po’, a intravvedere l’essenziale.

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