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Come smettere di fare la vittima

perdono amore uova misericordia

Ellen Mol

padre Carlos Padilla - pubblicato il 31/08/16

A volte mettiamo al centro il nostro dolore, invece che Dio

Il risentimento fa male all’anima, e i ricordi mi riempiono di tristezza.

Ha detto una volta Miriam Subirana: “Il problema non risiede tanto in ciò che ha fatto chi ci ha attaccati, bensì nell’interpretazione che abbiamo dato a quanto accaduto. Per superare questa situazione dobbiamo evitare che i ricordi abbiano la meglio su di noi. Dobbiamo relegarli al posto a cui appartengono: al passato. Il passato è andato via, e ciò che abbiamo è il momento presente. Non perdiamolo alimentando i rimpianti su ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, o su ciò che è successo e non sarebbe dovuto avvenire.

Il risentimento apre le ferite. Mi porta a vivere in funzione di esso. Mi tiene legato al passato. Il fatto di non poter cambiare nulla mi continua a pesare, ha un forte potere su di me che mi limita e non mi rende in grado di crescere. Continuo a sentirlo.

Per colpa mia continuo tuttora a soffrire. Perché rivivo quel dolore. Torno a pensare a ciò che è successo, mi concentro sulle mie ferite. Tutto ciò mi assorbe tanta energia che potrei usare per vivere l’oggi! Mi sento impotente.

Avrei dovuto dire e fare qualcosa di diverso. Ma finisco per dare – ad una persona o a una situazione – potere su di me. E questo mi toglie la libertà, mi rende schiavo. Sono legato a ciò che mi fa male. Provo rabbia e rancore. Mi separo da Dio, perché mi concentro così tanto su ciò che ho subito che Dio perde la sua centralità nella mia vita.


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Sì, quando sono arrabbiato mi allontano da Dio. Penso che ciò che ho passato sia imperdonabile. Che gli altri non si meritino il mio perdono. È come se dicessi che Dio mi perdona solo quando me lo merito.

Con il tempo, a volte, ingigantisco l’offesa subita. La rendo più grande, rivivendola con la mente e con il cuore. Non riesco a vedere la verità e la mia responsabilità in ciò che è accaduto, sono come cieco.

Il risentimento ha a che vedere con la menzogna. Il perdono, invece, con la verità. Assumo il ruolo della vittima, e sento in questo modo che io sono il buono, e gli altri i cattivi. Al centro metto il mio dolore, invece che Dio.

Una volta che la verità viene travisata, non è il più il fatto accaduto a contare, bensì l’interpretazione che io do del fatto stesso. Mi fa male quello che penso. Vedo ogni cosa dal mio punto di vista. E ogni volta che ci penso, la ferita si riapre. Mi controlla. Mi fa male. Do la colpa agli altri della mia infelicità, di ciò che mi va male.

Sono sempre vittima del rancore. Quando provo risentimento non riesco a guardare gli altri negli occhi, è capitato a tutti di sentirsi così qualche volta. È un tappo che non mi permette di amare ed essere felice, non mi permette di ricevere amore.


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Soltanto il perdono può liberarmi.

Perdonare significa fare in modo che quanto successo non abbia più potere su di me, relegarlo al passato. E se non voglio perdonare per amore, dovrei almeno farlo per egoismo. Perché senza perdono non riesco ad essere felice.

Ecco perché è così importante imparare a perdonare le offese subite nel corso della propria vita.

E come faccio a perdonare?

Perdonare non vuol dire che ciò che ha fatto l’altro vada bene. Bisogna riconoscere il danno che mi ha procurato, il dolore che ho provato. Devo guardarmi con onestà e dire ad alta voce che mi sento ferito. Già questo è un atto liberatorio.

Riconosco la mia immaturità e accetto i miei sentimenti, che non sono puri. Sento la rabbia, e la rabbia mi fa amare il meno chi mi ha fatto male. Il mio amore verso chi mi ha ferito diminuisce. Devo accettarlo.


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Ecco perché, affinché io possa perdonare, devo riconoscere prima di tutto che ho dei motivi per essere arrabbiato e triste. Quindi, ho dei motivi per perdonare.

E non dico: “Ti perdono, ma non farlo più”. Il mio perdono non è condizionato dall’approccio che avranno gli altri da questo momento in poi. Se il mio prossimo dovesse ripetere il suo errore, io dovrei perdonarlo di nuovo. Perdonare senza condizioni.

Nel caso in cui non si tratti di mia moglie, quando cioè è qualcun altro ad avermi fatto del male – qualcuno che non è così vicino a me – perdonare non vuol dire dover diventare amici a tutti i costi. Il perdono mi aiuta a pregare per quella persona, a guardarla con misericordia.

Nello stesso tempo, quando qualcuno mi chiede perdono, non devo far finta che tutto vada bene. Accettare che qualcuno mi chieda perdono non vuol dire negare la verità. Né vuol dire negare la mia rabbia o il mio dolore. Prendo nota del fatto che io mi senta ferito, e poi perdono.

Ma non perdono per pietà. Né finisco col giustificare chi mi ha ferito. È un perdono tra pari. Lui mi ha fatto del male, e io lo perdono. Lo perdono, ma non per pietà.  Es un perdón de igual a igual. Él lo ha hecho mal y yo le perdono. Le perdono sin lástima. Forse avrei fatto la stessa cosa, se fossi stato al suo posto. Non devo cadere nel paternalismo, non posso ritenermi superiore. Non voglio continuare a ricordare quanto successo.

A volte non potrò perdonare per comprensione, perché non riesco a comprendere, perché il dolore che provo nel mio cuore è grande. Quanto successo potrebbe sembrarmi imperdonabile. Devo dunque perdonare a prescindere da ciò che penso e provo riguardo a ciò che ha fatto l’altra persona.

Il perdono porta guarigione. Sana il cuore rotto. Rende libera l’anima che si sente in trappola. E priva quanto accaduto del potere che ha su di me. Mi permette di mettere Dio nuovamente al centro.

Disse Nelson Mandela: “Se non li avessi perdonati, sarei ancora loro prigioniero”. Il perdono mi rende libero. È liberatorio e fonte di gioia.

La mancanza di perdono mi amareggia. E le persone amareggiate invecchiano prima. Il perdono è un modo per cominciare di nuovo a vivere. Perdonando riesco a guardare con innocenza gli altri, la vita stessa. Sciolgo i nodi che mi legavano a ciò che mi fece così male, al passato.

Quando perdono smetto di essere contemporaneamente giudice e vittima. Riesco a vedere la vita per ciò che è. Riesco a concentrarmi sulla pace, non più sull’offesa ricevuta o sulla ferita che mi è stata inflitta. L’unico modo per far cicatrizzare questa ferita è amando, perdonando. Tutti ne abbiamo bisogno.

Perdonare non è esattamente parte della nostra natura, non è un istinto naturale. Il perdono ci è stato dato da Dio. È una grazia. Dice un proverbio: “Se vuoi essere felice per un minuto, vendicati. Se vuoi essere felice per tutta la vita, perdona”.

Il perdono mi dona uno sguardo più puro sulla vita stessa. Uno sguardo nuovo. Ho bisogno di perdonare del continuo, per il mio bene. Perdonare sempre la stessa persona e sempre per lo stesso motivo. Così dovrebbe essere nel matrimonio. Con i figli. Questo è quello che mi chiede Gesù: di perdonare settanta volte sette.

Non passi un solo giorno con la rabbia nel vostro cuore. È un ideale, un cammino lungo che vale la pena seguire.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]

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