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Santa Teresa di Lisieux ci aiuta a combattere la “tristezza natalizia”

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Russell Shaw - pubblicato il 12/12/16

Come ha fatto il Piccolo Fiore a gestire le problematiche di questo periodo? Con le lacrime e una conversione totale del cuore

Per molte persone, il periodo natalizio è decisamente provante. Non parlo di anime infelici che hanno buoni motivi per essere tristi – la perdita di persone care, la salute malferma, la solitudine –, ma di quelli che si sentono giù quando il Natale non offre tutta la gratificazione personale che stavano cercando. Definisco quello che sperimentano “tristezza natalizia”.

Pensando recentemente a questo fatto, ho ricordato un episodio riferito da Santa Teresa di Lisieux nella sua splendida autobiografia Storia di un’Anima, avvenuto la mattina del Natale 1886, quando Teresa aveva quasi 13 anni.

La sua famiglia aveva una tradizione per la vigilia di Natale. Si mettevano le scarpe dei bambini davanti al caminetto, e quando si tornava dalla Messa di mezzanotte le scarpe erano magicamente piene di doni. Quel Natale, tuttavia, il padre di Teresa era irritato per qualcosa, e lei lo sentì dire sulla storia delle scarpe: “Grazie a Dio è l’ultima volta che facciamo una cosa del genere!”

Teresa era una ragazzina buona e pia, ma come ammette lei stessa era anche estremamente sensibile. Scoppiava spesso a piangere, e quando le veniva detto di smettere piangeva ancor di più. Le parole del padre la punsero sul vivo. Quando salì di sopra per togliersi il cappello, la sorella maggiore Céline, cogliendo la situazione, le disse: “Non scendere. Prendere i regali dalle tue scarpe ti farà arrabbiare troppo”.

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Scrive: “Teresa non era più la stessa ragazza. Gesù l’aveva cambiata. Repressi le mie lacrime, scesi di sotto e presi le mie scarpe. Tirai fuori i miei regali ostentando grande gioia. Papà rise e Céline pensò di sognare… L’amore riempiva il mio cuore, avevo dimenticato me stessa e quindi ero felice”.

Cos’era successo? Teresa dice semplicemente che aveva ricevuto “la grazia di emergere dall’infanzia”.

La maggior parte di noi non è santa come Teresa di Lisieux, ma alcuni hanno avuto delle esperienze non molto diverse dalla sua. Un uomo che conosco ha scritto: “Da bambino pensavo al Natale come a un’occasione per ottenere delle cose. I miei genitori me lo avevano insegnato senza volerlo. Erano cresciuti entrambi in famiglie tutt’altro che benestanti, e i doni che venivano dati a Natale erano ben pochi. Ora, per compensare, elargivano regali a me e a mia sorella”.

“Quel modo di festeggiare il Natale mi ha colpito per anni. Visto che per me il Natale significava fondamentalmente l’accumulo di cose, non mi ha mai reso veramente felice. Poi un Natale ho capito qualcosa di più”.

“All’epoca ero ormai diventato genitore anch’io. Una delle mie figlie era stata malata per vari giorni, e man mano che si avvicinava il Natale peggiorava. Alla fine è scattato l’allarme. L’ho messa in macchina e l’ho portata al Pronto Soccorso più vicino”.

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“Abbiamo aspettato a lungo, ma alla fine un dottore l’ha visitata e ha scoperto che aveva un dente infettato che al dentista era in qualche modo sfuggito quando l’aveva vista la settimana precedente. Le hanno dato molti antibiotici e antidolorifici e l’hanno rimandata a casa, e presto riposava tranquilla e si sentiva meglio”.

“Quell’anno il mio Natale è stato quello. Anziché cercare di sentirmi meglio concentrandomi sullo scambio di cose, ho passato la giornata cercando di aiutare qualcun altro. E sapete una cosa? È stato bello. È stata una lezione che non ho dimenticato”.

Come avrebbe detto Santa Teresa, dimenticarsi di sé ha curato la sua tristezza natalizia.

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Russell Shawè autore o coautore di 21 libri e di numerosi articoli e recensioni. È membro del corpo docente della Pontificia Università della Santa Croce di Roma ed ex segretario per gli Affari Pubblici della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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