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Non c’è Pasqua senza Quaresima

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Flickr.com/ Creative Commons/ ©Claudio Vizzoni

Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 25/01/17

Un libro sul senso della Quaresima ci accompagna alla riscoperta delle fondamenta della nostra fede

È uscito in libreria ieri “Per fortuna c’è la Quaresima! Riflessioni inattuali” (Àncora edizioni) di donFabio Bartoli. Un libro sul senso della Quaresima, che ci accompagna in un percorso di riscoperta dei cardini del Cristianesimo. È un testo sotto forma epistolare che l’autore dedica a “Marco”, un ragazzo intelligente e brillante, che dopo la laurea si è un po’ allontanato dalla chiesa. Marco è emblema di noi tutti, chi più chi meno in un momento o nell’altro della vita si è distaccato dalla fede e dalla comunità parrocchiale. Per questo l’autore scrive ad uno (Marco) per rispondere a ciascuno di noi (lettori), a chi si domanda il significato dei gesti che la Chiesa raccomanda soprattutto nel tempo quaresimale.

“MARCO” E LE DOMANDE/ACCUSE ALLA CHIESA

Nel libro don Fabio Bartoli riflette e risponde alle domande che l’amico gli pone: se Cristo ha annunciato al mondo la gioia e ci ha salvato, perché allora la Chiesa ci invita al pentimento? E poi: Se Cristo ci ha liberati perché, soprattutto in Quaresima, dobbiamo privarci di qualcosa e punire il nostro corpo?

«Caro Marco, in realtà quello che mi proponi è un viaggio al centro del mistero più fitto del cristianesimo, il mistero del male, e siccome ti voglio bene e capisco il tuo turbamento, che non è poi così diverso dal mio, accetto di fare con te questa fatica. Però anche tu devi farla accanto a me. Il percorso che ti propongo non è né breve né facile, quello che ti chiedo è di starmi vicino, di sospendere il giudizio fino alla fine. Anche se ci sono un paio di passaggi che forse non capirai subito, dammi credito di un po’ di fiducia e ti accorgerai che tutto acquista un senso. (…) Poiché spero che questo libro non lo leggerà solo «Marco», avverto gli altri venti lettori che il suo è un nome di fantasia, scelto per assonanza con le Lettere a Malcolm di C.S. Lewis, uno dei classici della spiritualità contemporanea. Però Marco esiste davvero, anzi a ben vedere è più di una persona. In lui vedo tanti uomini e donne in ricerca, così affamati di senso da venire a cercarlo «perfino nella Chiesa cattolica», come mi diceva uno di loro. Amici che vengono a consigliarsi con me, chiedendomi un aiuto per vivere una vita interiore in questo tempo così confuso. A tutti i Marchi del mondo dedico con tanto affetto questo mio lavoro. Don Fabio»

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NON ESISTE PASQUA SENZA QUARESIMA

«Caro Marco, il bello del carnevale è che finisce. Chi vorrebbe vivere in una perpetua allegria, in un forzato divertimento, che finirebbe assai presto con il rovesciarsi in un incubo di egoismo?»

Immaginare una vita di continua festa e baldoria può sembrare divertente all’inizio, ma poi si trasforma in qualcosa di spaventoso. Togliere dalla realtà il male, la morte, il senso del peccato, la colpa, non è possibile. Oggi l’uomo, come scrive l’autore, tenta di farlo, ma proprio per questo motivo non è in grado di essere felice sul serio:

«Vorremmo nascondere il male e dimenticarlo, perché in fondo pensiamo che sia invincibile, perché dubitiamo che le persone possano realmente cambiare, perché in realtà non crediamo che sia possibile un autentico pentimento. E il paradosso è che proprio perché dimentichiamo il male non siamo più capaci di fare festa davvero! La festa è la redenzione, lo scampato pericolo, la liberazione; ma allora perché ci sia festa deve esserci anche la concreta possibilità di una perdizione, di un fallimento esistenziale. Non ci può essere per noi alcuna Pasqua senza Quaresima!»

LA QUARESIMA CI RICORDA CHE IL MALE PUÒ ESSERE VINTO

Durante la Quaresima la Chiesa ci invita a pentirci, a guardare i nostri sbagli, le nostre mancanze, a prendere coscienza del nostro peccato per “rientrare in noi stessi”. Divenire consapevoli del male causato da noi, senza scaricare la colpa sempre su qualcun altro, è il modo per essere liberi.

«Non siamo più capaci di divertirci perché non siamo più capaci di pentirci, non riusciamo più a conoscere il bene perché cerchiamo di rimuovere il male. Sai, è come nelle favole: il mio amico Chesterton diceva che le favole non servono per ricordare ai bambini che esistono i draghi, i bambini lo sanno benissimo; le favole servono a insegnare ai bambini che i draghi possono essere sconfitti. Così è della Quaresima: gli uomini lo sanno benissimo che esiste il male, hanno tanti di quei demoni dentro che non possono proprio sbagliarsi su questo, ma la Quaresima serve a ricordarci che quei demoni possono essere vinti!»

Tendiamo, soprattutto in questo momento storico, a imputare la nostra colpa a qualcun altro, a lamentarci con il soggetto che noi riteniamo responsabile del nostro fallimento, della nostra incapacità. Anche nelle trasmissioni televisive e nei Reality Show succede la stessa cosa, si ripete la solita dinamica: Tizio ha fatto una cosa deplorevole, ma non è colpa sua bensì di Caio che lo ha provocato. “Hai voglia a cercare di illuderti o ingannarti, hai voglia a dare la colpa al mondo che è cattivo, alla famiglia che ti ha educato, alle cattive compagnie, a Saturno in trigono o a quel che ti pare; alla fine, se sei onesto con te stesso, non puoi che ammetterlo: io, io ho sbagliato, non un altro al posto mio. Io avrei potuto fare diversamente, io ho provocato dolore”. Questa vera libertà è motore potente per il cambiamento. Al contrario ci sentiamo impotenti e sgonfi, incapaci di far fronte alle nostre miserie. Scrive l’autore in proposito: “Chi lavora per toglierti il senso di responsabilità in realtà ti lascia solo e indifeso contro le spinte più distruttive del tuo inconscio, convincendoti che non c’è niente da fare, che alla fine dei conti sei irrimediabilmente cattivo, anche se non è colpa tua”.

«Caro Marco, hai ragione a parlare nella tua lettera di un aspetto nevrotico del pentimento, perché esiste anche una possibilità di vivere in un modo patologico questa lotta contro il male, però pentirsi in sé è sano e aggiungerei assolutamente necessario a una personalità equilibrata: nessuno può essere grande senza prendere coscienza della propria miseria. La grande poesia, la migliore filosofia, l’arte più bella sono figlie del pentimento e non sarebbero possibili in una società dove nessuno mai si pentisse. Una società simile, se mai potesse esistere, non sarebbe neppure una società di uomini».

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ALL’INFERNO DA SOLI, IN PARADISO IN COMUNITÀ

Nel “Post Scriptum” a conclusione del testo, don Fabio Bartoli chiarisce ulteriormente il senso della Quaresima e quindi della penitenza: chi si pente vive in comunione con l’altro che è davvero suo fratello, perché come lui fragile, incompleto, bisognoso dell’amore del Padre. Come quando qualcuno aprendoti il cuore ti racconta la sua esperienza, la condivide con te e tu pieno di gratitudine pensi: “è successo anche a me”, “se c’è l’ha fatta lui, con la grazia di Dio, posso farcela anche io”.

«Nessuna comunione è possibile tra gli uomini fintanto che restiamo schiavi del «salva te stesso!» scritto nella carne del peccato. Viceversa, l’uomo penitente, che attinge continuamente alla sovrabbondanza del Padre, può vivere senza calcolo, senza misurare le proprie forze, in un continuo slancio di generosità che crea lo spazio per la comunione. Si va all’inferno sempre da soli, mentre in paradiso non si può andare che in comunità. Ricordandoci il Padre, la Quaresima rende nuovamente possibile l’apertura del cuore verso la comunione; ricordandoci che non siamo autosufficienti, che non bastiamo a noi stessi, ci restituisce la possibilità di incontrarci come fratelli. Mentre il moralista e il libertino sono essenzialmente soli, perché alla fine dei conti tanto l’idolatria della libertà quanto lo sforzo di conquistare da sé la propria giustizia nascono da una ricerca di se stessi, l’uomo penitente è spontaneamente rivolto al prossimo. Egli sa che non può farcela da solo e quindi liberamente chiede aiuto, e in questa richiesta di aiuto trova accanto a sé altri compagni di penitenza che a buon diritto, essendo tutti rivolti verso il medesimo Padre, chiama fratelli».  

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