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Una coppia sulla via del perdono

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©Charles Plumey Faye

Marie de Ménibus - pubblicato il 31/07/17

Un racconto intimo. Il libro “Grâce à toi, du secret au pardon” [“Grazie a te. Dal segreto al perdono”, N.d.T.] racconta la prova di una coppia quando il passato nascosto di uno salta fuori. Lorène d’Elissagaray s’è appoggiata alla propria fede per attraversare questa prova. L’abbiamo incontrata per Aleteia For Her, e torna con noi su quest’avventura coniugale che ha cambiato le loro vite.

Questa storia di coppia potrebbe essere la nostra, potrebbe essere la vostra. È la storia di un segreto pesante rivelato tardi. Ma soprattutto è una bella e grande avventura umana: quella del perdono offerto e ricevuto. Testimonianza scritta a quattro mani da Lorène e Jaean Renaud d’Elissagaray, “Grâce à toi, du secret au pardon”, è stato stampato dalle edizioni Salvator nel 2016 e racconta come, nove anni dopo il loro incontro, il passato di Jean-Renaud sia tornato a galla con la rivelazione del suo figlio cileno. A sbrindellare la coppia non è stata tanto l’esistenza di questo ragazzino, concepito prima del loro matrimonio, bensì il veleno del segreto. Lorène s’è appoggiata sulla sua fede per attraversare questa prova. Eccola che torna con noi su questo sentiero del perdono.

Dopo sei anni di matrimonio, ha sperimentato il bisogno di consultare un’accompagnatrice spirituale. Perché?

Senza cause scatenanti, sono diventata estremamente gelosa. Un dubbio si è installato in me, insidiosamente. Ho allora pensato che mio marito mi nascondesse qualcosa. Più ero sospettosa, più Jean-Renaud si snervava. Allora mi sono detta che forse era il mio sguardo su di lui a non essere giusto, che magari dovessi modificare quello invece di prendermela con lui. Allora ho fatto un cammino con un’accompagnatrice spirituale benevola, psicologa di formazione. Era importante che fosse tale, perché potesse fare la sua parte nella mia rilettura della mia vita (la mia storia, le mie reazioni, le mie scelte importanti, i miei limiti, i miei fallimenti…) tra ciò che afferiva all’ambito spirituale e quanto andava trattato sotto l’aspetto di una spiegazione psicologica. Con lei ho capito tante cose, soprattutto riguardo ad avvenimenti che risalivano alla mia infanzia e che mi avevano resa fragile.

Che cosa le ha dato il ritiro nel foyer de charité La Flatière sul tema “rileggere la propria vita attraverso la fede”?

Quella settimana ha approfondito il lavoro avviato con la psicologa, e mi ha introdotta nelle preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Molte cose si erano così pacificate, in me, ma restava questo nodo di fondo – e anche delle reazioni inappropriate. Così tanto che sono tornata a trovare la psicologa, che allora mi ha detto: «Ad ogni modo, tu non mollerai finché non sarai arrivata in fondo al tuo cammino di verità». A quella frase, qualcosa scattò. L’accompagnatrice mi conferiva che il cuore del problema non era stato scoperto, che le reazioni appropriate continuavano, che l’appagamento non era totale, e mi ha quindi incoraggiata a continuare il mio cammino di verità. Un anno dopo, ho coinvolto Renaud in un weekend sulla comunicazione in coppia, organizzato da amici con – tra gli altri – Nadine Grandjean, consulente di coppia e di famiglia dalla fede cristiana. Il weekend si suddivideva in insegnamenti e domande da farsi in coppia. La domenica, durante un esercizio a due, bisognava domandarsi se ci fossero tra di noi delle zone d’ombra o dei non-detti, non mi ricordo l’espressione esatta. Davanti a questa domanda secca, Jean Renaud non poteva più tergiversare. Mi ha buttato là che c’era qualcosa che non mi aveva mai detto, né a me né ad altri, e che da troppo tempo portava quella croce. Quel primo passo mi ha commossa – sapevo che questo passo era difficile per lui – ma anche molto sollevata: non ero scema, qualcosa c’era! Pensai a una sofferenza d’infanzia, ma non ho osato avanzare l’ipotesi. In seguito al mio rilancio, un mese dopo mi ha proposto di vederci alla Basilica di Montmartre, davanti al Santissimo. Voleva iscrivere questa relazione nel quadro della nostra fede e del sacramento del nostro matrimonio – prendeva Dio e chiamava Gesù a testimonianza. Prima di confidarsi, ha voluto che pregassimo insieme… Ma poi non si è confidato. Non fu che una settimana più tardi, dopo aver ricevuto un “vivo richiamo all’ordine”, disse – in sostanza una mail di suo figlio che gli chiedeva di poterlo incontrare – che si è deciso a dirmi tutto.

Perché era così importante che suo marito le confidasse il suo segreto nell’oratorio della vostra parrocchia?

È una parrocchia che amiamo molto, che ha molto senso per noi, è un luogo intimo. E l’oratorio, perché spesso vado a pregare davanti al Santissimo Sacramento. All’epoca, dedicavo già un’ora a settimana all’adorazione. In breve, ci siamo ritrovati nell’oratorio, la tensione era enorme, sentivo che quella confidenza non sarebbe stata facile da accogliere ma pregavo per preparare il mio cuore e reagire nel modo più giusto possibile. Senza piaggeria, senza compatimenti, senza collera. Mi appoggiavo alla persona di Gesù perché mi desse i suoi occhi per guardare Jean Renaud, le sue orecchie per ascoltarlo, le sue parole per accoglierlo bene. Ma quando Jean Renaud mi ha detto dell’esistenza di suo figlio Vicente, nato 14 anni prima, la presenza del Santissimo Sacramento non ha attenuato la pugnalata che ho sentito nella schiena. Non fu l’esistenza del ragazzo ad annientarmi, ma il non-detto. Perché aver dubitato del mio amore? Mancanza di fiducia? Perché aver tanto insistito sulla nozione di verità e di trasparenza, prima di sposarci? Per contro, il Santissimo Sacramento mi ha offerto un barlume di speranza: alla fine, Jean Renaud era pienamente in verità.

Parla del sostegno di Gesù. La Vergine Maria è pure lei presente nel vostro cammino: in che modo?

Quando le mie crisi di gelosia hanno avuto inizio, sono andata alla libreria La Procure a compre due libri: “Essere liberi. Per essere veramente sé stessi” e “Trovare la mia fonte interiore”, del monaco Anselm Grün. Cercandoli nel negozio, mi sono bloccata davanti all’immagine di “Maria che scioglie i nodi”. Mi ha mandata in tilt: la Vergine poteva aiutarmi a sciogliere i miei nodi. Questa novena – la recitazione di un rosario abbinato a una preghiera variabile di giorno in giorno – mi ha accompagnata durante tutti questi anni di dubbi e di gelosia. E la cosa più incredibile è che sulla porta della mia stanza, al foyer de carità La Flatière, c’era scritto “Maria, Madre del Bell’amore”, le prime parole di una delle preghiere di questa novena. Mi sono sentita sostenuta da lei. Maria non ha mai cessato di accompagnarmi, per l’avvenire. Il suo sostegno è stato prezioso perché Jean Renaud mi aveva proibito di parlare di Vicente a chicchessia. Aveva paura della reazione dei suoi bambini, delle nostre famiglie. Voleva proteggerli. Ma per me proteggerli significava essere veri con loro, evitare il veleno inutile che un segreto di famiglia può far nascere nei cuori. Serbare il segreto è quindi stato insopportabile. Avevo l’impressione di portare la croce con lui, di essere divenuta sua complice. Fortunatamente, nell’arco di tre mesi è arrivata la luce.

Lei dice che il Signore vi ha messi ai piedi della vostra fede. Che vuol dire?

In certi punti di questo cammino, quando ho voluto accelerare le cose, ho sentito che il Signore mi metteva i bastoni tra le ruote. Nulla di tutto quanto io mettevo in cantiere perché Jean Renaud incontrasse suo figlio, o che mio suocero ne venisse a conoscenza, funzionava. Andavo troppo veloce, rispetto a quello che era capace di fare mio marito. Come un contraccolpo, questo silenzio imposto mi ha permesso di preparami dolcemente all’esistenza di suo figlio, di elaborare il lutto di un primo schema di famiglia ideale.

E poi altre volte avete ricevuto delle grazie…

Sì, misteriosamente ci sono state delle grazie: la bella reazione dei nostri figli, la personalità meravigliosa di Vicente, l’intesa spontanea tra loro, l’assenza totale di gelosia tra Lourdès, la madre di Vicente, e me, l’affetto e l’accoglienza della sua famiglia (suo suocero, le sue sorelle, sua nonna…). Ma pure l’accoglienza calorosa che la mia famiglia ha riservato a Jean Renaud. Tra i nostri amici stretti ci sono state meraviglie di benevolenza, delle persone che ci hanno portato nella loro preghiera. Fortuna che ci sono state queste grazie, perché il cammino del perdono, dell’amore e della fiducia è stato molto lungo. È stato necessario perdonare questo non-detto, il veleno inutile della mia gelosia e questi tre anni di silenzio forzato.

Che incidenza ha avuto questo segreto sulla vostra vita di coppia e sulla vostra fede?

Questa storia ci ha avvicinati, ci ha ancorati alle nostre fragilità, ci ha semplificati nei nostri rapporti. Tra di noi c’è più semplicità, più humour, più indulgenza e più tenerezza. Quest’esito luminoso ha solidificato la nostra relazione e ha pure vivificato la nostra famiglia: mia figlia ha smesso di puntare i piedi dall’oggi al domani, e mio figlio ha spiegato le ali della sua personalità. Sul piano della fede, questa storia mi ha davvero fatta crescere in una forma di abbandono. Ho imparato l’umiltà, ho toccato con mano la misericordia e l’importanza di tacere quando una persona attraversa delle difficoltà. Ho compreso che ero una creatura fragile, dipendente dal suo creatore – ma nel senso buono del termine: dipendente dal suo amore. E poi, ho percepito un’altra sfaccettatura del Signore: il suo senso dell’umorismo. Mi ha presa così in contropiede, specie quando Vicente mi ha chiesto di fargli da madrina alla cresima…


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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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