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Centrafrica, l’imam lancia un appello: «In nome di Dio e di tutto il Paese, deponete le armi»

centrafrique : rebelles seleka

© SIA KAMBOU / AFP

Isabelle Cousturie - Aleteia Francia - pubblicato il 09/08/17

Mentre la violenza si diffonde in più regioni del Paese, l’Onu lancia l’allarme sull’alto rischio di genocidio

Quanti sono implicati nelle violenze che insanguinano la Repubblica Centrafricana «risponderanno del sangue che oggi versano», ha dichiarato l’imam Oumar Kobine Layama, a nome della piattaforma delle confessioni religiose del Centrafrica. La piattaforma, creata nel 2012 e ufficializzata nel 2016, riunisce una quarantina di responsabili, tra cui il cardinal Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, e il pastore Nicolas Guerekoyame, presidente dell’alleanza evangelica centrafricana. L’imam, lo riporta l’agenzia Fides, è intervenuto in seguito alla pubblicazione di un nuovo rapporto Onu concernente la situazione di violenza che da più mesi infiamma differenti zone della Repubblica Centrafricana: diversi gruppi continuano a ricevere armi e munizioni dai Paesi vicini. Tra le zone più interessate, Bangassou, Zemio, Obo, Mobaye, Batangafo e altre ancora dove le tensioni sono sempre più forti.

L’imam Layama ha riaffermato una volta di più che la crisi in corso non è di natura religiosa ma politica. Ha dichiarato:

Io chiedo a quelli che sono implicati nelle violenze di non fornire occasione a quanti per ragioni politiche e interessi personali dichiarano che la crisi è religiosa.

Egli ha chiesto a tutti

di deporre le armi, in nome di Dio e nell’interesse del loro Paese,

annunciando alla fine una visita dei componenti della piattaforma religiosa nelle località in preda alla violenza.

Cattedrale assediata

A Bangassou 2mila abitanti musulmani sono rifugiati nella cattedrale, da mesi, a causa delle minacce di morte che pesano su di loro da parte di una milizia anti-balaka (a maggioranza cristiana) e sono difesi da militari marocchini della MINUSCA (Missione dell’Onu in Centrafrica). La metà del resto della popolazione è fuggita, rifugiandosi nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Alla fine di luglio, provocazioni ed episodi di violenza di rara gravità hanno portato alla morte di un casco blu.

Tutto ha avuto inizio il 21 luglio, quando degli anti-balaka hanno rapito una giovane musulmana incinta,

ha riferito il vescovo di Bangassou, mons. Juan José Aguirre Muños. Secondo un altro lancio di Fides in merito,

in risposta a questo rapimento, una quindicina di giovani musulmani estremisti hanno rapito due operatori umanitari della Caritas e le loro famiglie, vale a dire una trentina di persone all’incirca. La MINUSCA ha reagito liberando queste persone. Il gruppo ha replicato attaccando la cattedrale, che ha subito gravi danni materiali, poiché gli assedianti hanno tentato di incendiarla – fortunatamente senza successo.

Alto rischio di genocidio

Con più di mezzo milione di sfollati, il Paese rischia una crisi umanitaria di grandi dimensioni. L’Onu, per la seconda volta in sette mesi, non nasconde il timore di un genocidio e suona l’allarme:

I segni precursori del genocidio stanno emergendo, in Centrafrica, ove le violenze si moltiplicano.

È questa ala valutazione del segretario generale aggiunto dell’Onu per gli Affari umanitari, il britannico Stephen O’Brien, relazionando a Ginevra il resoconto dei suoi recenti viaggi nella regione.

Ora dobbiamo agire, non mortificare gli sforzi dell’Onu, e dobbiamo pregare di non dover poi vivere nel rimpianto di non aver agito.

Così il suo pensiero secondo quanto espresso in interviste nella Tribune de Genève.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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