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Cosa fa la Chiesa di fronte al conflitto indipendentista in Catalogna?

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PATRICK HERTZOG I AFP

Alfa y Omega - pubblicato il 03/11/17

Una Chiesa che riconcilia

La maggior parte delle istanze ecclesiali in Catalogna stanno inviando di fronte alla situazione attuale un messaggio basato sulla necessità di incontro, dialogo e riconciliazione tra le persone in un momento di grande rottura sociale. Lo ha fatto anche il cardinal Omella, e si constata in progetti come quello avviato dalla chiesa di Santa Anna, con azioni di presa di coscienza, gruppi di ascolto e preghiere condivise.

Una Chiesa vicina alla sofferenza delle persone, che condivide la strada e aiuta a cicatrizzare le ferite è il modello di presenza che il cardinale arcivescovo di Barcellona, Juan José Omella, ha stabilito a Barcellona in questi ultimi due mesi, nei quali è culminato il cosiddetto “processo” catalano, che ha avuto come ultimo episodio la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza e l’applicazione dell’articolo 155, con il controllo dell’autonomia da parte dello Stato.

La sua prima reazione si è prodotta da Roma, dove il porporato partecipava a un congresso sul futuro dell’Unione Europea: “In questo momento, come pastore di Barcellona, condivido il dolore e la sofferenza della gente. Il mio cuore piange con lei. Desidero e chiedo al Signore che ci aiuti a evitare il confronto e a costruire un futuro in pace. Dopo due anni alla guida della diocesi di Barcellona posso dire che amo profondamente Barcellona e la Catalogna. La gente è meravigliosa. E amo anche la Spagna e l’Europa a cui apparteniamo, dove da giovane ho ricevuto la mia formazione, in Francia e in Belgio”.

Il cardinale ha visto in varie occasioni Papa Francesco nel contesto dell’incontro sull’Europa e in un evento di Scholas Occurrentes, che ha organizzato di recente una delle sue attività a Tarragona.

In questo contesto, il cardinal Omella ha sottolineato che il Papa ha parlato di convivenza, quella che Scholas promuove tra “scuola privata e pubblica, tra migranti e nativi, tra tutte le razze”, e che è anche una goccia di speranza per il futuro della Catalogna. Il porporato crede che sia molto bello che istituzioni come Scholas Occurrentes creino legami di fraternità, comunione e incontro, e la considera anche “una risposta alla situazione attuale” della Catalogna. “La scommessa sul futuro viaggia su questa linea: incontro e dialogo”, ha aggiunto.

Al suo ritorno da Roma, in una conversazione con Alfa y Omega, il porporato ha ribadito che l’atteggiamento della Chiesa in questo momento dev’essere di vicinanza, condivisione e accompagnamento della gente, perché “ci sono sofferenza e inquietudine”.

“Bisogna recuperare un cammino di speranza nella fraternità, un lavoro che deve compiere tutta la società, e anche la Chiesa, perché nella nostra terra c’è posto per tutti e la Catalogna è sempre stata una terra accogliente, con gente venuta dall’Estremadura, dall’Aragona o dall’Andalusia e che ha aiutato a costruire un luogo prospero e pieno di speranza”.

Agenti di comunione

È proprio in questo compito che è impegnata la Chiesa, in modo discreto. Il vescovo eletto di Maiorca, fino a poco tempo fa ausiliare di Barcellona, Sebastià Taltavull, ha riconosciuto che nella Chiesa si sta parlando della situazione della Catalogna e che nelle sue omelie la affronta senza citarla, nel senso di invitare i fedeli ad essere “agenti di comunione e che questo sia al di sopra di ciò che può accadere a livello politico”.

“La gente ci ringrazia per questo ruolo di comunione e di preghiera. Ce lo dice alla fine delle Messe”, ha riconosciuto.

Taltavull ha spiegato che sia i vescovi che i sacerdoti devono essere “pastori di tutti”, indipendentemente dalla loro posizione su quanto accade in Catalogna. Un atteggiamento che lo stesso cardinale Omella ha portato al suo livello più elevato con i già noti incontri con il Governo centrale e i membri della Generalitat.

Per il porporato, quello che si vive in Catalogna con il nazionalismo non è molto lontano dal disincanto con cui si vive in alcuni luoghi il progetto comune dell’Unione Europea. La Catalogna, ha affermato, è un esempio della situazione che si vive nel Vecchio Continente.

Le cause che adduce sono la distanza tra le istituzioni europee, la sofferenza e le preccupazioni delle persone e le conseguenze della crisi economica, che “hanno aumentato la distanza tra ricchi e poveri, la disuguaglianza…”

La chiave è ora come ricostruire la speranza nel progetto europeo, che secondo il cardinal Omella passa per “la costruzione del futuro partendo dai poveri perché nessuno resti per strada, privo di protezione e abbandonato, perché è allora che sorgono i nazionalismi e gli atteggiamenti rivoluzionari”, e per “il ritorno ai valori che ci hanno costruito come popolo solidale, nella giustizia e nella pace, valori che derivano dal Vangelo”, che “vanno recuperati e non perduti”.

Questa via di recupero della speranza è applicabile anche alla Catalogna per “non sentirsi estranei o nemici e crescere insieme nell’amore, nell’affetto e nel rispetto”. “È l’amore del particolare e dell’universale. Amo la mia terra, la mia gente, le mie tradizioni, la mia lingua, che coniugo con l’universale, quello che ci unisce e ci rende una famiglia in un mondo globalizzato, che è l’espressione civile di quella che chiamiamo cattolicità della Chiesa”, ha spiegato.

Gruppi di dialogo a Barcellona

A Barcellona, insieme alla leadership del cardinale, altre entità hanno compiuto passi in questo senso per lavorare per la convivenza e la pace. È quello che si propone a Santa Anna, la chiesa che nel cuore di Barcellona opera come ospedale di campagna, guidata dal rettore Peio Sánchez. Questo giovedì ha ospitato un incontro intitolato “Atteggiamenti per la non violenza”, al quale sono intervenuti rappresentanti della Caritas e di altre istituzioni che lavorano per la convivenza e la pace.

“È il Vangelo che va avanti a tutto”, ha riconosciuto Peio Sánchez ad Alfa y Omega. In questo momento si sta lavorando su tre linee d’azione, sempre mettendo al primo posto la parte spirituale. La prima ha a che vedere con il ripercorrere gli atteggiamenti di fondo, come la non violenza, l’umiltà o il riconoscimento dell’altro, che “proponiamo in chiave di riconciliazione”.

In un secondo momento, a Santa Anna si stanno avviando gruppi di dialogo tra persone di tendenze diverse, non perché dirimano le loro differenze politiche, ma perché condividano come si sentono in questo momento. Il terzo ambito, che verrà lanciato prossimamente, sarà la convocazione di una preghiera condivisa. “Stiamo lavorando su questa linea: coscienza, dialogo e preghiera”, ha concluso Peio Sánchez.

Nelle ultime settimane ci sono anche stati sforzi al riguardo da parte di istituzioni come la Comunità di Sant’Egidio, cercando di fungere da ponte.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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