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I Romani davano davvero i cristiani in pasto ai leoni?

ROME ON FIRE

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J.P. Mauro - pubblicato il 01/03/18

La persecuzione cristiana nell'antica Roma è stata dilagante ma non costante

I cristiani venivano davvero gettati in pasto ai leoni? Sì e no. Cosa più importante, non erano gli unici a subire questo destino ad opera dei Romani.

Dalla fine del XIX secolo, il simbolo prevalente della persecuzione dei cristiani nell’antica Roma è stato il leone. Il romanzo del 1895 di Henryk Sienkiewicz Quo Vadis e il suo adattamento cinematografico del 1951 hanno reso popolare l’immagine di Nerone che dava quelle povere anime in pasto alle belve, e questo ha portato alla convinzione diffusa che tutti gli imperatori romani abbiano istituito politiche di persecuzione, ma sembra che non sia così.

Se è vero che i cristiani vennero perseguitati nell’antica Roma, non fu uno sforzo costante da parte dei Romani, né fu praticato a livello universale. The Conversation afferma che questo fraintendimento è stato provocato soprattutto da due opere scritte all’inizio del IV secolo: De mortibus persecutorum di Lattanzio, un docente cristiano di latino, e la Storia ecclesiastica di Eusebio, vescovo di Cesarea, nell’attuale Israele.

Le due opere vennero terminate durante il regno di Costantino, il primo imperatore romano cristiano, e cercavano di registrare la sofferenza dei cristiani sotto il dominio romano fino a quel momento.

Lattanzio citava Nerone come primo persecutore dei cristiani. Dopo il grande incendio di Roma, che le voci attribuirono a Nerone stesso, questi diede la colpa alla comunità cristiana, e secondo lo storico romano Tacito ne fece coprire i membri con pelli di animali gettandoli poi in mezzo ai cani.

Un modo orribile per morire, sicuramente, ma non sembra che vennero giustiziati per la loro fede, quanto come “punizione” per aver dato fuoco alla città.

Dopo il regno di Nerone, i cristiani ebbero un attimo di sollievo dalle persecuzioni visto che molte regioni adottarono una politica del tipo “Non chiedere, non dire”. I cristiani che ammettevano la propria fede e rifiutavano di offrire sacrifici agli dèi romani venivano giustiziati, ma il governo non li cercava attivamente.

Anche quando i cristiani venivano scoperti, non erano sempre giustiziati. San Cipriano, vescovo di Cartagine, venne semplicemente esiliato per la sua fede, mentre il clero della Numidia fu condannato al duro lavoro nelle miniere, una punizione in genere riservata agli schiavi.

Con la fine del regno dell’imperatore Valeriano, che aveva istituito un sacrificio universale nell’impero, i cristiani vissero per circa 40 anni senza che venisse intrapresa alcuna azione ufficiale contro di loro. Fu solo con la “Grande Persecuzione” sotto l’imperatore Diocleziano nel 303 che i cristiani tornarono nel mirino.

Suona come una persecuzione, ma non venne messa in atto totalmente dai Romani. Molti dei cristiani messi a morte in questo periodo vennero infatti denunciati e giustiziati dalla popolazione locale piuttosto che dalle autorità. Un esempio può essere quello di Policarpo di Smirne e dei martiri di Lione e Vienne, che vennero portati in tribunale da alcuni cittadini, che insistettero anche perché venissero giustiziati.

I leoni non erano poi l’unica forma di punizione. La condanna ad essere sbranati dalle bestie era una forma comune di esecuzione, ma non era riservata ai cristiani. Era infatti un metodo diffuso di castigo perché massimizzava la sofferenza della vittima intrattenendo allo stesso tempo chi vi assisteva.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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