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Millie Bobby Brown, star di Stranger Things: essere sorda (da un orecchio) mi dà più grinta (VIDEO)

MILLIE BOBBY BROWN

Alberto E. Rodriguez I GETTY IMAGES NORTH AMERICA I AFP

LOS ANGELES, CA - JANUARY 29: Actor Millie Bobby Brown attends the 23rd Annual Screen Actors Guild Awards at The Shrine Expo Hall on January 29, 2017 in Los Angeles, California. Alberto E. Rodriguez/Getty Images/AFP

Annalisa Teggi - Aleteia - pubblicato il 23/03/18

Un esempio in più sotto i riflettori di come un handicap possa essere una risorsa, perché la vita è un'avventura imprevedibile e non un copione per automi perfetti

A soli 13 anni è una star in crescita esponenziale, 15 milioni di followers su Instagram e guadagnerà 250mila dollari ad episodio per la terza serie di Stranger Things. Per tutti Millie Bobby Brown è Undici, uno dei personaggi più interessanti del piccolo schermo degli ultimi anni, un’interpretazione fondata principalmente sullo sguardo.
Ho amato tantissimo Stranger Things, perché finalmente si ritorna a parlare di amicizia tra ragazzi nella forma più avventurosa, quella che si confronta con il mistero, il male e la morte, quella in cui non c’è dubbio tra la categoria del bene e del male. Tutti i personaggi che ne fanno parte sono gente imperfetta e ferita, perciò con un senso di solidarietà autentico. Appartengo alla generazione cresciuta coi Goonies e Stand by me, amo l’umanità debordante e imperfetta di Dickens e adoro aprire ogni singolo libro di Agatha Christie.

In Stranger Things ho ritrovato una creatività d’altri tempi, senza ammiccamenti a morbosità estreme. Il personaggio di Undici è senz’altro quello che cattura maggiormente l’attenzione: il suo vero nome è Jane, ma lei lo scoprirà molto più tardi e si tiene addosso un numero come identità, quello che le è stato tatuato sul braccio nel laboratorio dove l’hanno usata come cavia umana. La sua memoria è monca, la parola incerta; Undici è una giovanissima ragazza che si apre al mondo con innocenzatotale eppure con poteri soprannaturali in grado di mettere sottosopra la vita di una tranquilla cittadina americana.




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Sente fortissimo il bisogno di legami, avendo trascorso l’infanzia tra scienziati che la trattavano come esperimento. Bellissimo il rapporto padre-figlia che nasce tra lei – in cerca della madre perduta – e lo sceriffo Hopper – caduto nell’alcolismo in seguito alla perdita della figlia. Sono due nostalgie di bene che s’incontrano. Per quanto ripetitivo possa essere, la mancanza e la perdita sono i reagenti che ci permettono di guardare con nuda onestà il bisogno di essere amati.

Non c’è da stupirsi che il pubblico si sia affezionato a Unidici e all’attrice che la interpreta, guarda caso molti aspetti di Jane ricordano i tratti più generosi della figura cristologica: dare la vita per gli amici, essere una presenza di salvezza più che umana tra gli uomini. È un buon segno che gli spettatori si aggrappino ancora a storie che parlano del valore del sacrificio senza se e senza ma. La fama di Millie Bobby Brown è interamente legata a ciò che il pubblico ama in Undici-Jane, dobbiamo leggere così i numeri da record dei followers e dei guadagni.


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Così giovane, così seguita, tante grandi speranze. Eppure anche la storia di Millie Bobby Brown non è solo rose. È di una bellezza rara, delicata eppure disarmante. Non è perfetta, come il mondo patinato vorrebbe sempre suggerire dietro le foto stratosferiche delle dive che calcano i red carpet. In una recente intervista a Variety, Millie ha raccontato di essere nata con un difetto uditivo che nel tempo l’ha portata alla completa sordità da un orecchio. È senz’altro un handicap invalidante per un’attrice e cantante; l’interazione sul set si basa sull’ascolto e l’interpretazione dipende anche dalla capacità di ascoltarsi. Eppure la Brown ce l’ha fatta, con caparbietà e passione, segno che è una bugia facilmente screditabile l’idea che solo chi è senza difetti e ferite sia degno di grandi traguardi.

L’handicap è una risorsa, perché può essere quel trampolino di umiltà che mette a fuoco meglio il tuffo grande che è la presenza di ciascuno di noi. Il mondo sta in piedi perché è pieno di gente che, chi più chi meno chi tantissimo, sa tirar fuori magie ancora più stupefacenti quando il limite la mette alla prova. Il limite è un’occasione, ancor più che una contraddizione; perché proprio dalla contraddizione di sentirsi manchevoli, inadeguati sboccia più nitida la forza di non cedere alla logica del felice-e-perfetto.




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È facendo i conti con le nostre tante forme di zoppicamenti, fisici e psicologici, che la vista sui nostri desideri e sul nostro destino si snebbia. La tristezza insita nell’ideologia dell’eugenetica è che una razza migliore e senza difetti sarebbe anche indolente e annoiata, tutt’altro che coraggiosa e intraprendente.

All’ultima cerimonia degli Emmys i protagonisti di Strangers Things hanno fatto una performance di successo, cantando e ballando. Tra loro Millie Bobby Brown spiccava per intonazione e allegria, pur col suo orecchio sordo; in quel balletto ci vedo il riflesso – forse in versione deluxe – delle nostre giornate  segnate da handicap, inciampi, ostacoli (più o meno gravi, visibili e invisibili, eppure fecondi) per fare della realtà un’avventura imprevedibile e non un copione per automi tutti uguali e ammaestrati.

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