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Italia: il dramma della “violenza assistita”

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Paul De Maeyer - pubblicato il 06/07/18

Secondo “Save the Children” il fenomeno ha colpito in soli cinque anni 427.000 bambini

Nell’arco di soli cinque anni, cioè dal 2009 al 2014, 427.000 bambini o minori sono stati in Italia in un modo o nell’altro testimoni della violenza domestica esercitata nei confronti della loro madre: o direttamente, ovvero assistendo alle scene, o indirettamente, hanno visto cioè, ad esempio, i segni che la loro mamma presentava addosso o i mobili rotti e gli oggetti frantumati in casa. Ed è proprio per questo motivo che si parla di “violenza assistita”.

Questo è il preoccupante quadro che emerge dal nuovo dossier – basato su “inedite elaborazioni” realizzate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) – presentato giovedì 5 luglio dalla nota ONG Save the Children, la quale celebrerà l’anno prossimo il suo primo centenario.

Si tratta del resto solo di una stima, perché “le fonti attualmente esistenti sono fonti plurime, frammentarie, carenti e persino non definite univocamente” e quelle di “tipo amministrativo – in ambito sanitario, giuridico e sociale – non sono ancora adeguate”, così si legge nel dossier, che cita la relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, approvata il 6 febbraio scorso.

6.788.000 donne hanno subìto “qualche forma di violenza”

Leggendo il dossier, lungo quasi quaranta pagine, si scopre che 6.788.000 donne italiane, ovvero il 31,5% delle donne della fascia di età 16-70 anni, hanno subìto nella loro vita “una qualche forma di violenza fisica o sessuale”, nella stragrande maggioranza dei casi per mano dei “partner attuali o ex”.

Di queste quasi 6,8 milioni di donne, più di una su dieci ha temuto che “la propria vita e quella dei propri figli” fosse in pericolo, rivela il dossier. Mentre in quasi la metà dei casi (cioè il 48,5%) i minori hanno assistito direttamente ai maltrattamenti inflitti alle loro madri, in tre delle cinque macro-regioni italiane, ossia Nord-Ovest, Nord-Est e Sud, questa percentuale ha superato la soglia del 50%. Inoltre, nel 12,7% dei casi (cioè più di uno su dieci) i bambini stessi sono stati vittime dirette della violenza paterna.

Dai dati dell’Istat emerge inoltre che dal 2000 al 2016 il numero delle condanne definitive per maltrattamenti in famiglia è più che raddoppiato: da 1.320 nel 2000 a 2.923 nel 2016. Nel 94% dei casi queste sentenze sono state emesse nei confronti di uomini, appartenenti in più di un caso su due alla fascia di età 35-54 anni.

Più di 1,4 milioni di madri

Delle più di 1,4 milioni di madri che hanno subìto nell’arco della vita maltrattamenti in casa, così rivela la sintesi del dossier, più di 446.000 continuano a vivere con il loro aguzzino, e questo spesso per motivi economici. Sono inoltre 174.000 le mamme a dichiarare che i loro figli hanno “visto o subìto direttamente” le violenze.

“Si tratta, in particolare, di donne che nel 97% dei casi sono sposate, nel 71% sono italiane, nel 41% hanno tra i 30 e i 49 anni, nel 40% dei casi sono casalinghe e in quasi 4 casi su 10 (34%) hanno il diploma superiore”, si legge nella sintesi.

Delle 455.000 madri invece che non vivono più con l’ex compagno o marito violento e che hanno dichiarato che i figli hanno visto o persino subìto i maltrattamenti, sette su dieci risultano separate o divorziate, otto su dieci circa (il 79%) sono italiane e nel 42% dei casi hanno un’età che va dai 30 ai 49 anni. Quasi la metà (ossia il 46%) ha conseguito il diploma superiore e più di una su tre (il 34%) lavora ad esempio come dirigente, imprenditrice o libera professionista.

Consapevolezza del reato

Delle oltre 1,6 milioni di donne che sono state maltrattate ripetutamente dal loro attuale o ex partner, solo 118.330 (cioè appena il 7%) sono molto consapevoli del reato che hanno subìto e hanno cercato vie per uscire dalla spirale della violenza domestica. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di una violenza che si è “conclusa”, spiega il dossier: nell’83,2% dei casi i maltrattamenti sono infatti stati inflitti dall’ex marito o ex convivente.

Ben il 96,1% delle donne di questo gruppo ha temuto per la propria vita o per quella della loro prole. Più di un terzo, ossia il 35,6%, ha subìto maltrattamenti persino durante la gravidanza.

In tre quarti dei casi, il 75% circa, sono donne con figli, che hanno superato una dinamica “pericolosa”: nell’81% dei casi hanno subìto delle ferite, sia tagli che lesioni interne, nel 43,6% dei casi il partner violento era sotto l’effetto di alcool o di sostanze psicotrope e in quasi un quinto dei casi (cioè il 19,7%) l’aguzzino era in possesso di un’arma. Di questo gruppo, più di una donna su cinque (il 22,3%) ha contemplato il suicidio o l’autolesionismo.

Le vittime silenti

C’è però tutta una categoria o meglio gruppo di donne che per vari motivi mantengono il silenzio. Sono infatti 548.000, ovvero il 32,6%, le donne definite “vittime silenti”. Il 61% di loro è sposata, il 57% appartiene alla fascia di età 55-64 anni e il 56% ha figli. Inoltre quasi sei su dieci (il 57%) considera la violenza subita solo come “sbagliata” o “qualcosa di accaduto”, ma non un reato.

Proprio questo spiega almeno in parte perché esitano a cercare aiuto. Infatti solo il 4% di questa categoria ha fatto denuncia ma quasi quattro su dieci (cioè il 39%) l’ha  ritirata. Mentre il 39% non ha parlato con nessuno di quanto è accaduto, solo il 3% ha parlato con un legale, appena il 2% ha consultato un medico e un altro 2% si è rivolto ad un consultorio.

Effetti sui bambini

Mentre solo alla fine degli anni ‘90 la violenza assistita ha trovato un suo “riconoscimento sociale” in Italia, così ricorda il dossier di Save the Children, l’impatto sullo sviluppo psicofisico dei bambini che hanno assistito a episodi di violenza in seno al proprio nucleo familiare è “devastante”, dichiara la direttrice dei Programmi Italia-Europa dell’ONG, Raffaela Milano.

Soprattutto se il bambino è ancora piccolo, cioè di età inferiore ai quattro anni, il fatto di essere costretto ad assistere a episodi di violenza domestica “può danneggiare lo sviluppo neurocognitivo del bambino, con effetti negativi sull’autostima, sulla capacità di empatia e sulle competenze intellettive”, avverte il dossier.

La violenza assistita incide anche negativamente sul comportamento del bambino e compromette inoltre la sua capacità di “stringere e mantenere relazioni sociali” e di “instaurare e mantenere relazioni d’amicizia e sentimentali”, continua il dossier di Save the Children.

Gli adolescenti invece sono a rischio “di perdere interesse per le attività sociali, di soffrire di bassa autostima, di evitare le relazioni tra pari” e mostrano ad esempio “atteggiamenti provocatori a scuola, trasferendoli talvolta sui social network e nelle relazioni sentimentali”.

Cosa serve?

Per la Raffaela Milano, “è indispensabile mettere in campo un sistema di protezione diffuso capillarmente che non lasci mai da sole le donne ad affrontare il complesso e doloroso percorso di liberazione dalla violenza domestica e che si prenda cura immediatamente dei bambini fin dalle prima fasi in cui questa emerge, senza attendere la conclusione degli iter giudiziari”.

Infatti, come ha sottolineato Edouard Durand, giudice presso il Tribunale dei Minori a Bobigny, nella periferia nordorientale di Parigi, in un’intervista pubblicata nel febbraio scorso sul sito del Nouvel Observateur, “la violenza ha un impatto sulla società nel suo complesso e sulle generazioni”.

“Nonostante il fatto che stiamo iniziando a misurare il terribile impatto della violenza domestica sui bambini, il loro sviluppo e la società a medio e lungo termine, si fatica ancora a dire che un coniuge violento è un padre pericoloso e che bisogna essere protettivo”, ha constatato.

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