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USA: l’impatto devastante del consumo di alcool

ALCOOL MORTE TESCHIO

Shutterstock/Maksim Fesenko

Paul De Maeyer - pubblicato il 30/07/18

In aumento i decessi per cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare

Negli USA c’è molta preoccupazione per l’aumento dei suicidi e delle morti legati al consumo di sostanze stupefacenti. Ma c’è un’altra crisi che preoccupa altrettanto, suggerisce Ed Cara su Gizmodo.com: l’incremento dei decessi per patologie legate all’uso di alcool, ovvero la cirrosi epatica e il carcinoma epatocellulare. A richiamare l’attenzione sul fenomeno è un nuovo studio pubblicato il 18 luglio sul British Medical Journal (BMJ).

Dallo studio condotto da ricercatori dell’Università del Michigan, che hanno esaminato i certificati di morte raccolti dall’agenzia federale per il controllo e la prevenzione delle malattie, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), emerge che nel periodo che va dal 1999 al 2016 quasi mezzo milione di cittadini americani — 460.760 per la precisione — sono deceduti per cirrosi e inoltre 136.442 per carcinoma epatocellulare, cioè la forma più comune di cancro al fegato, la quale insorge nella stragrande maggioranza dei casi proprio in persone con cirrosi epatica.

Decessi in aumento

Ciò che ha colpito in particolare l’équipe è il fatto che rispetto al 1999 il tasso annuo di mortalità per cirrosi epatica è balzato nel 2016 del 65%. Mentre nel 1999 i morti per cirrosi erano 20.661, nel 2016 questo numero era infatti salito a 34.174. Nello stesso arco di tempo, continua la ricerca, il tasso di mortalità per carcinoma epatocellulare è raddoppiato, da 5.112 nel 1999 a 11.073 nel 2016.

Un secondo elemento che invita a riflettere è il fatto che questo “incremento era persino più forte se paragonato con altre cause di morte”, così scrive Ed Cara. Il tasso di mortalità per cancro ha conosciuto in generale nello stesso arco di tempo infatti un calo, così come i decessi per malattie cardiovascolari, infezioni e malattie respiratorie.

Entrambe le patologie epatiche colpiscono del resto soprattutto soggetti di sesso maschile. Per quanto riguarda la cirrosi epatica, il rapporto uomo:donna era infatti 2:1, mentre per il cancro al fegato persino circa 4:1.

Mentre solo in uno Stato, quello del Maryland, gli autori hanno scoperto un calo del tasso di mortalità per cirrosi, soprattutto nel sud-ovest degli Stati Uniti sono stati registrati degli aumenti importanti, soprattutto nel Kentucky, nel Nuovo Messico, nell’Arkansas, nell’Indiana e nell’Alabama.

Per quanto riguarda il carcinoma epatocellulare, gli aumenti più accentuati su base annua del tasso di mortalità si sono verificati nell’Arizona e nel Kansas. In nessuno Stato si è avverato un calo della mortalità per cancro al fegato.

Categorie

Vari sottogruppi contemplati dalla ricerca guidata da Elliot B. Tapper hanno fatto registrare cali “statisticamente significativi” nella mortalità per cirrosi nel periodo 1999-2008, ma questo andamento incoraggiante è stato ribaltato a partire dal 2009 in quasi ogni sottogruppo demografico, una tendenza che si è protratta almeno fino al 2016.

Mentre si prevede che il numero dei decessi per la patologia potrebbe triplicare entro il 2030 negli USA, dal 2009 al 2016 l’aumento medio su base annua più drammatico del tasso di mortalità per cirrosi è stato registrato nella fascia di età 25-34 anni: del 10,5%, da attribuire totalmente al consumo o meglio abuso di alcolici, sottolinea lo studio.

In questa stessa fascia d’età, la cirrosi epatica ha colpito in particolare due sottogruppi demografici: gli americani bianchi e i nativi americani. Entrambe le categorie hanno fatto registrare l’aumento più rapido. Tra i nativi americani della fascia d’età 25-34 anni e tra gli over 35enni, la cirrosi è stata nel 2016 responsabile rispettivamente del 6,3% (rispetto al 4,3% nel 2009) e del 7% (rispetto al 5,8% nel 2009) dei decessi.

Cause e danni collaterali

Per quanto riguarda le cause di questo incremento, verificatosi a cavallo del 2008 e del 2009, l’autore principale, Tapper, non esclude che ci sia un legame con la Great Recession, cioè la crisi economica globale esplosa nel 2007 in seguito alla scoppio di una bolla immobiliare negli USA.

“Se questa tendenza inizia nel 2008, è molto facile associarla con l’evento nazionale più traumatico degli ultimi tempi. E ci sono dati che collegano la nuova povertà o la disoccupazione a un maggiore abuso di alcool nei giovani maschi”, ha dichiarato Tapper, citato da Gizmodo.com.

Come osserva il lead author della ricerca, l’alcool sta annientando i grandi progressi ottenuti nel corso degli ultimi anni nella lotta contro un’altra grave patologia epatica: l’epatite C (HCV). Grazie ad una nuova classe di farmaci, “abbiamo curato nel 2015 più casi di epatite C che in tutti gli anni precedenti messi insieme e stiamo facendo enormi passi avanti”, ha ricordato Tapper, “ma non vediamo alcun miglioramento nella mortalità”.

L’alcool e la pancreatite

In alcuni Paesi, fra cui la Gran Bretagna, dilaga il binge drinking: bere grandi quantità di alcool in tempi brevi o anche bere proprio con l’intenzione di ubriacarsi. A suonare l’allarme è un articolo pubblicato il 30 maggio scorso dal Guardian. Il fenomeno è così diffuso che il capo del Servizio Sanitario Nazionale inglese, Simon Stevens, legge la sigla NHS come National Hangover Service, che si può tradurre con “servizio di sbornia nazionale”.

L’articolo ricorda che l’alcool non solo può provocare la cirrosi epatica e/o tumori al fegato, ma anche la pancreatite, cioè un’infiammazione del pancreas. Devastante è soprattutto la pancreatite cronica, che costituisce quasi una “prognosi terminale”: un paziente su cinque muore infatti entro cinque anni dalla diagnosi.

E’ una patologia incurabile, del resto molto dolorosa e accompagnata da sintomi molto pesanti. Mentre i pazienti possono anche sviluppare un tumore al pancreas, una pancreatite può insorgere “dopo una singola sbronza”, avverte il dottor Sarah Jarvis, della campagna di sensibilizzazione Drinkaware. Il sito sottolinea del resto anche il legame tra alcool e l’insorgenza di tumori al seno, anche nell’uomo.

Oltremanica sono stati registrati nel 2016 ben 7.327 morti direttamente legati al consumo o abuso di alcolici. Si tratta di un aumento importante rispetto al 2001, quando erano 5.701.

Chi beve di più in Europa?

Da uno studio condotto da ricercatori della Norwegian University of Science and Technology (NTNU) e basato su interviste realizzate tra 40.000 cittadini europei in 20 Paesi del Vecchio Continente (più Israele), emerge che irlandesi, inglesi e portoghesi sono i più grandi consumatori di alcolici in Europa. Lo studio rivela inoltre che gli uomini bevono circa il doppio rispetto alle donne, e che le donne nell’Europa centro-orientale sono quelle che bevono di meno.

Mentre nel Nord Europa i più grandi bevitori sono i danesi, “il consumo complessivo di alcool è più elevato tra gli strati sociali superiori, ma il binge drinking è più comune tra gli strati sociali inferiori”, ha dichiarato il professor Terje A. Eikemo, della NTNU, in un comunicato stampa.

Proprio per quanto riguarda il binge drinking, in cima alla classifica risultano i portoghesi, seguiti dagli inglesi. Lo fa quasi un portoghese su cinque (il 17,5%), rispetto a più di un cittadino britannico su nove (l’11,2%). Per quanto riguarda le donne che compiono binge drinking, in cima ci sono le portoghesi (il 5,2%), seguite poi dalle olandesi (il 5,1%) e dalle inglesi (il 4%, cioè una su 25).

Meno critica sembra la situazione in Italia, dove secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) relativi all’anno 2016 “tra gli adolescenti diminuisce sensibilmente il consumo di alcolici (dal 29 al 20,4%) sia giornaliero (peraltro molto contenuto), sia occasionale, seppure con un andamento oscillante negli ultimi anni”.

Allo stesso tempo esiste anche nel Bel Paese il binge drinking o consumo abituale eccedentario. Il fenomeno riguarda in particolare “gli ultrasessantacinquenni (36,2% uomini e 8,3% donne), i giovani di 18-24 anni (22,8% e 12,2%) e gli adolescenti di 11-17 anni (22,9% e 17,9%)”, rivela l’Istat.

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