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Stella ed Emanuele. Un figlio con sindrome di Down e l’amore che scopre meraviglie!

MOM AND SON

Maria Stella Barone

La dolcezza e la gioia

Paola Belletti - pubblicato il 08/08/18

Emy, come lo chiama la sua mamma, ha ormai 10 anni. Ma quando è nato ha sconvolto, prima per la paura ma quasi subito per la gioia e le bellezza che porta, la vita della sua famiglia. Lui è prezioso agli occhi di Dio e lo è anche per noi. Sentite cosa dice la sua mamma...

Buongiorno Stella e grazie della chiacchierata che stiamo per fare. Per i nostri lettori di For Her Aleteia dicci: chi sei e che cosa fai?

Mi chiamo Maria Stella Barone, ho 54 anni, sono felicemente sposata con Marcello, un medico anestesista, e abbiamo tre figli: Francesco (28 anni), Gabriele (20 anni) ed Emanuele (10 anni). Sono un’insegnante elementare, ho insegnato in un istituto religioso della mia città, Messina, per 17 anni. Alla nascita del mio secondo figlio, ho lasciato l’insegnamento per fare la mamma a tempo pieno, mio desiderio da sempre. Sono impegnata attivamente in parrocchia dove svolgo il servizio di ministro straordinario, sono terziaria francescana e da quando nella mia diocesi si è saputo del mio impegno in parrocchia a seguire dei genitori di bimbi con un cromosoma in più, sono stata chiamata insieme con mio marito a far parte della consulta della pastorale della famiglia.

Hai pubblicato un libro “Prezioso ai miei occhi” che abbiamo anche noi segnalato nella Top5 dei libri più belli per le donne, Perché anzi per chi lo hai scritto?

Dopo la nascita di Emanuele ho voluto pubblicare un libro, Prezioso ai miei occhi. Confessioni d’amore di una mamma al suo bimbo “nato” down, Tau Edizioni, 2017, dove racconto la mia particolare esperienza di mamma “con un cromosoma in più impresso nell’anima”.  E’ proprio una dichiarazione d’amore che io faccio al mio bambino, raccontandogli la sua storia, dal concepimento fino a quando lui inizia a sei anni ad andare a scuola. E’ un racconto ricco di pathos per le vicissitudini che ho vissuto e descritto nel libro. Ho pensato di scriverlo per aiutare tutti quei genitori che all’improvviso vengono catapultati in un mondo sconosciuto e proprio per questo pieno di paure.




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Raccontaci allora: come hai vissuto all’inizio questa tua maternità? Con quali paure e fatiche?

Io non ho avuto nessun aiuto inizialmente ed ho dovuto da sola trovare “la strada”. Ho attraversato il mio inferno che è durato cinquanta giorni, una mia personalissima pentecoste, e alla fine di questo percorso ho visto finalmente la luce e ho capito tante cose, cose che ho voluto testimoniare là dove questa luce si è momentaneamente spenta. Quando mi sono accorta di aspettare Emy per scelta non ho voluto fare l’amnio perché sono da sempre contraria all’aborto; quindi ho aspettato questo bimbo mettendo in conto che data la mia età sarebbe potuto arrivare in maniera “diversa” rispetto a come normalmente lo si aspetta. Mi sono resa conto alla sua nascita che, per quanto si possa pensare a questa possibilità, non si è mai veramente preparati alla disabilità del proprio figlio. La sua sindrome, o meglio il sospetto, mi è stata comunicato il giorno dopo il parto in maniera brutale. Io non avevo idea di cosa implicasse la sindrome; tutto ciò che non si conosce spaventa e avevo avuto dai medici notizie catastrofiche su cosa ci avrebbe riservato il futuro. Mi sentivo totalmente inadeguata e impreparata.

Cosa è cambiato ad un certo punto? E cosa ti insegna tuo figlio sull’essere figli (di Dio) a nostra volta?

Col tempo, dopo quella trasformazione iniziata al cinquantesimo giorno, ho capito grazie alla fede che Emy è un grande dono di Dio, un Suo regalo tutto personale per me. Emy per me è un libro “vivo” attraverso il quale Dio mi parla, facendomi capire, proprio per mezzo del legame tra me ed Emy, il rapporto filiale tra me e Lui. Emy mi ha insegnato la pazienza; mi ha insegnato che bisogna essere felici per le piccole gioie di ogni giorno. Spesso gli domando:

Emy sei felice? Cetto!!! E perché sei felice? Perché mamma mi vuole bene!

Mi ha insegnato, e continua farlo, a capire cosa conti di più nella vita: l’essere persona che ha un valore intrinseco, non per ciò che ha o che riesce a fare, ma solo perché è una persona creata da Dio, preziosa ai Suoi occhi e capace di suscitare un amore immenso. Alla luce di questo, mi piace soprattutto indurre a riflettere sul fatto che la disabilità è solo negli occhi ma soprattutto nel cuore di chi la vede e la giudica negativamente! Io dico sempre che mio figlio è solamente “nato” Down, cioè la sua è solo una condizione di nascita e nulla più, pur accorgendomi dei suoi “limiti”. Dopo un percorso doloroso sono arrivata a vedere in lui ciò che è: semplicemente mio figlio! Ecco, questo mi piacerebbe che si cogliesse dal mio libro e dalla mia storia: i nostri figli non sono le loro sindromi, ma figli da amare; nessuna malattia o sindrome riuscirà a farceli amare meno!

Hai consigli da offrire alle mamme che stanno per accogliere un figlio con sindrome di Down?

Non mi piace dare direttamente consigli, ma vorrei aiutare a capire che la vita è meravigliosa pur con le sue difficoltà e bisogna sempre cercare di renderla il più possibile a misura d’uomo. Allora cosa conta? Amare, amare e ancora amare questo figlio che ci è stato donato. E poi informarsi il più possibile affinché attraverso terapie, metodi e quant’altro si arrivi a migliorare la sua qualità di vita, chiaramente accettando sempre il punto in cui si può arrivare, rispettando le capacità del proprio figlio che se arriverà ad avere determinate competenze bene, se non arriverà non bisogna farne una tragedia, io lo amerò ugualmente perché esiste.




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E a quelle che invece attraverso indagini prenatali davanti alla possibilità di un figlio con sindrome di Down si disperano e sono tentate di sopprimerlo ?

A tutte quelle madri che cadono nell’angoscia alla notizia prenatale della sindrome dei loro bambini e che forse sentono la tentazione di abortire, dico di avere coraggio di portare avanti la gravidanza perché rimarranno meravigliati dalla gioia e dalle meraviglie che questi figli riusciranno a portare nella loro vita.

Il modo invece per evitare vittimismo e recriminazioni? Sai, c’è il rischio di orientare le nostre lamentele nei confronti della società o di diventare eccessivamente suscettibili per esempio. Cosa intendi tu in sostanza per inclusione?

Non mi piacciono né il vittimismo, né le lamentele ad oltranza verso il mondo che spesso noi genitori “speciali “(??) siamo portati ad esprimere: sarebbe meglio che questa nostra energia la usassimo per cose più costruttive, ad esempio lavorando per l’inclusione dei nostri figli nella società odierna, dalla scuola al mondo del lavoro, cercando di far capire agli altri che non lo sanno, che la loro dignità è sacra e se a volte le loro capacità possono essere diverse, le loro opportunità devono essere uguali a tutti gli altri. Il rispetto alla base di tutto.

Cosa invece nella cultura che ci circonda trovi ingiusto o almeno inadeguato? Anche se spesso avviene in buona fede per esempio cosa pensi dell’esaltazione (non semplice valorizzazione!) delle capacità di persone con sindrome di Down?

Alla luce di ciò che ho detto si capisce benissimo che non mi piace il voler a tutti i costi “far paragoni” con competenze di bimbi o persone “normo” perché grazie a Dio siamo tutti diversi ed ognuno è ciò che è e in questa diversità sta la bellezza e la completezza!


AMANDA BOOTH

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La tua fede: come è passata al fuoco di questa prova?

In tutta questa mia avventura, iniziata dieci anni fa, devo dire che sono stata aiutata tantissimo dalla mia fede, dal rapporto vivo e personale che ho con Dio, che è mio Padre e che non può volere che il mio bene. Ed io, anche se a volte non posso capire, devo fidarmi sempre di Lui  e affidarmi, come Maria. Come Maria ogni giorno  canto il mio “Magnificat” per ogni meraviglia che Dio ha compiuto e compie nella mia vita anche attraverso il mio dolcissimo Emy…

Come custodisci la tua pace e mantieni il buon umore?

Un mio personalissimo segreto per mantenere la pace e il buon umore (ora non sarà più un segreto) è quello di vivere la vita con naturalezza, di educare questi bimbi nella stessa identica maniera degli altri figli.

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