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Michelle Obama: il dolore per un aborto spontaneo, il desiderio di verità sulla donna

MICHELLE OBAMA

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Paola Belletti - pubblicato il 12/11/18

La ex Flotus si racconta alla ABC e nel libro-memoriale in uscita, Becoming. Le distanze di pensiero e scelte politiche non ci impediscono di riconoscere quello che di vero dice sulle donne, sulla vita, sul matrimonio.

Michelle Obama: quello che le donne non sanno e che dovrebbero sentirsi dire

Gravidanza, matrimonio, fertilità, famiglia. Di questo soprattutto ha parlato Michelle Obama, almeno stando all’estratto dell’intervista su ABC (e di quanto sia esecrabile la condotta di Donald Trump, a suo dire).  Viste tutte in fila, quelle parole sembrerebbero l’ordine del giorno di una riunione di un centro aiuto alla vita di provincia, o di qualche irriducibile prolife male in arnese; o di sacerdoti ancien regime. Invece a sottolinearne valore, gioie e dolori annessi è una delle testimonial più iconiche del progresso liberal, egualitario, femminista, futuribile. Una donna di colore, moglie del due volte Presidente USA, anch’egli First in molte cose, alcune per nulla motivo di vanto (le così tanto impropriamente dette Primavere Arabe, per esempio. O la manifesta complicità con sigle e istanze LGBT e tutte le consonanti che vi si sono aggiunte. O le politiche di immigrazione non tanto diverse da quelle vituperate di Trump).


MACRON, PRESIDENTE, FRANCIA

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Se qualche femminista di scuderia fosse alla lettura vorrei chiederle di non scalpitare, evocando subito le parole d’ordine emancipazione, retaggio culturale, patriarcato, sudditanza.

Da quel che pare la signora Obama è ancora alla liberazione della donna che pensa, è quella che è convinta di servire.

Innanzitutto la sua. E per essere libere bisogna conoscere, e conoscere in tempo, chi siamo, come siamo fatte, come funzioniamo (dice lei. Termine meccanicistico e riduttivo ma vero. Siamo fatte in un certo modo e i nostri corpi hanno determinate leggi. Prima fra tutte di non essere cose e di danzare insieme a psiche e spirito).

L’esperienza dolorosa dell’aborto spontaneo: mi sono sentita sola

Perché di sicuro non è libertà, emancipazione o autodeterminazione il tag che metterebbe all’esperienza personale che risale a vent’ anni fa -e che sembra non passare mai del tutto – quando si è trovata a vivere un aborto spontaneo.

Mi sono sentita persa e sola. Come se avessi fallito perché non sapevo come funzionassero gli aborti spontanei. Perché non si parla di queste cose. Ce ne stiamo nel nostro dolore e pensiamo che in qualche modo ci si è spezzato qualcosa dentro. (Il fatto quotidiano)

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Ne parla anche Vanity Fair e a dispetto del nome della testata questa non pare una figura che sfila nella interrotta fiera delle vanità. Non solo Michelle Obama e il marito (entrambi hanno sofferto per l’aborto del loro primo figlio) ma lo stesso bambino che non è riuscito a nascere non è una comparsa. Quel bimbo è qualcuno e noi sappiamo che lo sarà per sempre.

In questo forse le parole della ex prima donna d’America sono ancora troppo ridotte e ingiuste. Perché se da un lato benissimo fa a denunciare l’omertà sulla frequenza e la triste naturalità degli aborti spontanei ancora non chiama per nome fino in fondo tutti i protagonisti della storia.

Le leggi della biologia e della fertilità umana: in America si possono ricordare senza essere linciati!

Non si tratta solo di capire come funzionano i nostri corpi, cosa fondamentale e onesta da rivendicare. Fondamentale è far scattare l’allarme in tempo per intere generazioni di donne illuse, come la stessa Michelle, di poter concepire quando ne abbiamo davvero desiderio e possibilità.  “L’orologio biologico è vero. Perché la riproduzione è limitata. E io l’ho realizzato quando avevo 34 e 35 anni” ammette. E aggiunge:

«Io credo che la cosa peggiore che facciamo a noi stesse come donne sia il fatto di non condividere la verità sui nostri copri e su come funzionano e su come no». (Ibidem)

No, Michelle, non dovevate per forza scegliere la fecondazione in vitro

Ma in mezzo invece confessa di aver deciso di ricorrere alla fecondazione in vitro per concepire le loro due figlie, Malia e Sasha di 20 e 17 anni. «Abbiamo dovuto percorrere quella via» ha detto.  Sappiamo invece quanto queste procedure di fecondazione siano invasive, non rispettose della coppia e spesso fallimentari. Quanti altri embrioni saranno costate le loro due splendide ragazze? E anche in loro stesse, in quella fase della vita così profonda e fondativa, quanto avrà inciso l’essere state impiantate a forza dalla mano di un medico in un punto della parete uterina scelto arbitrariamente e non secondo le leggi stesse della vita? Quanto si sentiranno sminuite, forse senza nemmeno saperlo, dal fatto di essere state in qualche modo prodotte e non semplicemente accolte? Come si risponderanno ad esempio alla domanda: e se i nostri genitori non avessero avuto le possibilità economiche per queste procedure saremmo nate lo stesso?

Nell’aborto soffrono tutti: madre, padre, figlio. Ma Dio salva per l’eternità. Lo saprà anche Michelle?

Con l’aborto, anche quello spontaneo, è un figlio che si è spezzato, un uomo che non potremo mai incontrare se non in cielo, che ci è stato tolto. Ed è vero che qualcosa in loro, madre e padre, si è spezzato per sempre (benedette tuttavia certe piaghe!): è il legame visibile, incipiente e destinato a diventare visibile e pubblico con quel figlio e non un altro.


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E sebbene sia salutare parlarne perché certi dolori e lutti si possano attraversare senza annegarci dentro dobbiamo sapere che non basta. Comunque sia, che si cominci a farlo anche dai palchi più alti, che lo dicano anche le persone così spesso munite di microfono e collegamenti internazionali! Che lo dicano anche i vip: siamo donne, siamo fatte per generare, per custodire e far crescere la vita, la nostra e quella di tutti quelli che ci sono affidati. E tutto questo, fatto in alleanza duellante con l’uomo che si è messo volontariamente sotto il nostro stesso giogo.  Per questo, vi prego, diciamo coniuge e non partner.

Cari giovani, volete un matrimonio felice? Bisogna sudarselo!

Anche di questo ha parlato Michelle: del matrimonio, del rapporto di coppia, di quanto sia stata dura in certi momenti e quanto lavoro serva per trasformare un matrimonio in un matrimonio magnifico. Davvero meritevole da parte sua mettersi di traverso almeno a parole e con l’esempio personale al traffico sempre più rapido di relazioni mordi e fuggi, di vincoli coniugali sempre meno vincolanti, di pasticci ideologici spacciati per amore. Sì, anche se il Love is Love porta la firma del marito Michelle sembra essere ben consapevole che, gira e rigira, ciò che costruisce il vero Love non è altro melenso sentimentale Love ma il caro vecchio olio di gomito. Fatica, lavoro su di sé, ascolto. Sarebbe perfetto se ci mettessimo anche le ginocchia (leggi preghiera a Dio).




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Per i giovani là fuori che pensano che il matrimonio è facile, voglio dire che il counseling matrimoniale è stato un modo per noi per parlare delle nostre differenze. Quello che ho imparato su di me è che la mia felicità dipende da me e ho cominciato a lavorare sulle soluzioni, a chiedere aiuto di più ad altre persone. Ho smesso di sentirmi colpevole. E’ importante per me prendermi cura di me stessa. Conosco troppe giovani coppie che stanno combattendo e che pensano che in qualche modo c’è qualcosa di sbagliato in loro. Io voglio dire loro che Michele e Barack Obama, che hanno un matrimonio fenomenale e che si amano, hanno lavorato sul loro matrimonio. (Ibidem)

E’ solo un’intervista (e non il CCC). Tratteniamo ciò che vale?

Possiamo in ogni caso essere riconoscenti a Michelle per quella parte di verità che è riuscita a dire, senza urlare ma con la fermezza che tutti le riconoscono, dai tetti dei media più potenti del mondo.

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