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Che cos’è un dogma? I dogmi mariani della Chiesa Cattolica

5 RELIGIJNYCH FAKTÓW O 1 STYCZNIA

Fr Lawrence Lew OP/Flickr

Bella, prof! - pubblicato il 02/01/19

Può esistere una religione, una fede senza dogmi? Che cos’è un dogma e a quale domanda risponde? Come esempio, il video offre i quattro dogmi mariani della Chiesa Cattolica, cercando di spiegare in breve che cosa dicono e come sono connessi tra loro.

La parola, ancora una volta, viene dal greco, è una delle sostantivazioni del verbo dokéo, che significa credere, ritenere, e significa perciò originariamente credenza, convinzione, nel semplice senso di opinione.

Ognuno, certo, ha le sue convinzioni e esprime il suo punto di vista, in questo senso, tutti abbiamo i nostri “dogmi” personali.

Tuttavia, quando il termine entrò nel vocabolario cristiano, aveva già acquisito un ulteriore significato. La parola infatti era stata adottata in ambito giuridico e significava ormai una “convinzione documentata”, cioè un’affermazione formalmente deliberata, esposta con intento normativo, cioè, in pratica, un “decreto”.

In questo senso, i dogmi sono perciò da intendere come dei contenuti espressi, delle affermazioni su alcuni argomenti, in questo caso sui contenuti della fede, che sono ritenuti prescrittivi in quanto condivisi, da una comunità organizzata di credenti. In questo caso, la Chiesa esprime apertamente, attraverso un dogma, ciò in cui crede.

Ogni dogma perciò risponde alla domanda “che cosa credi?”, rivolta a un membro della Chiesa. La risposta è l’esposizione di una formula, e in questo caso per “formula” si deve intendere ovviamente non una formula matematica, ma una formula linguistica.

Tutto questo nasce anche da un’esigenza pratica: non basta infatti dire “credo”, bisogna anche che ciascun credente sappia dire “in che cosa” crede, e questo “che cosa” va espresso in modo corretto, cioè definito, in modo che sia riconosciuto e condiviso, non solo da un singolo individuo, ma dall’intera comunità di persone che si riconosce nella stessa fede.

Senza dogmi non esisterebbe infatti nessuna comunità di fede, ma solo dei singoli che possiedono delle convinzioni personali. Una fede che non si può comunicare, che non si può “dire”, non può essere condivisa. Del resto, a ben vedere, è proprio la comunicazione più chiara possibile di un contenuto, qualunque esso sia, che permette a esso di essere abbracciato o, al contrario, di essere rifiutato. Per questo è importante che anche un non credente comprenda correttamente i dogmi, perché almeno sappia e comprenda nel modo migliore possibile “ciò in cui NON crede”.

“Credere” infatti è un verbo transitivo che richiede un oggetto. L’atto di credere richiede un’intenzione della mente. Non si crede “nella fede”, si crede “in qualcosa” perché si ha fede “in qualcosa” o, se volete, “in qualcuno che comunica qualcosa” e questo “qualcosa”, appunto, è il termine della propria fede che richiede di essere comunicato. In questo senso, la fede, in se stessa, non è una risposta. È la fede che offre, semmai, delle risposte.

Se non si è capaci infatti di comunicare – almeno in una certa misura – che cosa si crede, in realtà non si crede in nulla o, il che non fa molta differenza, si è totalmente nell’impossibilità di comunicare e condividere le proprie convinzioni. Una fede senza dogmi è una fede vuota, senza appigli per la mente e la parola, totalmente oscura e inafferrabile, impossibile da proporre, perché una fede che non sa esprimere se stessa non si può né abbracciare né rifiutare.

Perciò, con buona pace di molti, non esiste una fede senza dogmi. A meno che non sia una fede generica, vaga e indeterminata: una fede senza niente in cui credere davvero.

Dunque, ricapitolando: in ambito religioso, attraverso un dogma, cioè attraverso una formula espressa nel linguaggio umano, io sono in grado di esprimere una convinzione, non esclusivamente personale ma condivisa con altri, nella quale espongo il contenuto oggettivo della mia fede affinché possa essere proposto, cioè accettato o, eventualmente, rifiutato. Prendo, in pratica, posizione su ciò che ritengo vero o falso riguardo a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa e così via. Nello stesso tempo, il dogma segna perciò il confine della mia comunità di appartenenza, perché accettarne o rifiutarne uno cambia sostanzialmente il contenuto della mia fede.

Tanto per fare un’analogia un po’ banale: se mi piace giocare a scacchi, ma affermo che lo scopo del gioco è catturare la regina, in realtà sto giocando a un gioco simile, basato sugli scacchi, ma che non sono più in tutto e per tutto gli scacchi giocati secondo la regola fondamentale che il pezzo da catturare, per vincere, è il re. Sto giocando un mio gioco, che può essere anche divertente, ma che non è più “il vero” gioco degli scacchi, riconosciuto come tale da tutti gli scacchisti del mondo.

Notate che questo vale in maniera analoga per qualunque genere di appartenenza non solo religiosa, ma anche ideologica. Come non posso essere cristiano se non credo alla resurrezione di Cristo così non posso essere buddista se non credo alla reincarnazione. In maniera simile, non a caso, si parla, giustamente, anche di fede politica.

Per comprendere meglio che cos’è un dogma per la Chiesa Cattolica, prendiamo, come applicazione del concetto, i dogmi mariani.

La Chiesa Cattolica afferma su Maria di Nazareth, la madre di Gesù, quattro verità fondamentali, che ruotano intorno a quattro parole della lingua greca:

Maria è:

  • Theotókos
  • Kecharitoméne
  • Aeipárthenos

Infine, Maria è passata attraverso la:

  • Kóimesis

Perché il greco? perché è stato la lingua del Nuovo Testamento e, ancora prima del latino in occidente, la lingua comune con la quale tutta la chiesa antica esprimeva la propria fede e praticava il dibattito teologico. Insomma, il greco, prima ancora del latino, è la lingua preferita della teologia cristiana.

Questo rifarsi all’antichità e alla tradizione, se si parla di fede, è importante, perché il contenuto della fede non si può inventare. Bisogna partire, per riflettere sulla fede, da che cosa hanno creduto coloro che l’hanno ricevuta in passato e quali espressioni hanno scelto per comunicarla.

Torniamo alle “quattro parole” su Maria, che si possono tradurre nel modo seguente:

Theotókos => lett. “deipara”, cioè Maria è la “Madre di Dio”, colei che ha generato, portato in grembo, partorito e allevato Dio.

Kecharitoméne => lett. “privilegiata” o, come tradotto da Girolamo, “gratia plena”, cioè “colmata (da Dio) di grazia”, che è un po’ meglio del nostro latinismo “piena di grazia” che purtroppo non rende bene l’idea. È il modo in cui viene chiamata dall’angelo Gabriele al momento dell’Annunciazione.

Aeipárthenos => “sempre vergine”, cioè Maria, sebbene madre, è rimasta assolutamente integra nella sua persona fisica.

Kóimesis => “sonno” => dormitio, nel senso di stato di attesa della resurrezione, come quando Gesù disse della figlia di Giairo “non è morta, ma dorme” prima di restituirle la vita. L’espressione ha la funzione di descrivere perciò non uno stato, ma un passaggio verso un altro stato: la Resurrezione.

Ciascuna di queste parole vuole condurre a una definizione, non tanto di chi è Maria di Nazareth presa per se stessa, ma di chi è Maria di Nazareth rispetto a Cristo e rispetto, di conseguenza, a noi, cioè a tutti gli esseri umani. Ognuna di queste parole, esprimendo per il credente che cosa Dio ha compiuto in Maria, esprime perciò anche chi è Gesù di Nazareth e, in definitiva, chi siamo noi. Riferiscono, in parole povere, il contenuto del Vangelo rispetto a Maria e lo definiscono attraverso una frase affermativa, cioè quella che viene chiamata una formula dogmatica o, più semplicemente, appunto, “dogma”.

Rivediamoli in sintesi:

  • Maria è la Madre di Dio

La maternità non è riferita alla natura, ma alla persona divina. Cioè Maria è Madre di Dio nel senso che è madre della Persona di Gesù, che è la persona del Figlio di Dio, dunque Dio. Come vedete, questo dogma suppone quello della Trinità e quello dell’Incarnazione, sui quali torneremo, e ci mostra in modo evidente come i contenuti della fede siano tutti collegati tra di loro.

  • Maria ha vissuto ogni istante della sua vita, fin da quando i suoi genitori l’hanno concepita, nella grazia che unisce a Dio

Il che equivale a dire che è stata liberata fin dal primo istante della sua esistenza dal peccato originale. Usando un’analogia, viene fabbricata cioè come una “lampadina già accesa”. In proposito consiglio di dare un’occhiata al mio video precedente sul peccato originale… (cit.).

  • Maria ha preservato il suo stato di integrità spirituale e fisica in ogni fase della maternità, uno stato, legato alla sua maternità, che ha segnato interamente la sua esistenza terrena

In pratica: Maria ha concepito, ha partorito e ha vissuto fino alla fine la sua maternità in modo verginale, cioè in una maniera assolutamente unica e speciale.  Una cosa possibile, da notare bene, solo per opera di Dio, in modo simile al roveto ardente di Mosè che bruciava senza consumarsi, secondo il racconto dell’Esodo al capitolo 3.

  • Maria, come suo Figlio, è stata assunta in Cielo in anima e corpo

Cioè è passata attraverso una Pasqua di morte e Resurrezione improntata su quella di Gesù, specialmente nel suo esito finale. Maria vive pienamente fin da ora la stessa condizione del Risorto, cioè lo stato futuro promesso a Dio per tutta l’umanità.

Questi quattro dogmi sono profondamente legati tra di loro ed insieme vogliono esprimere una sola verità: Maria rappresenta tutti i credenti. Maria è, insieme a Gesù, la primizia dell’umanità nuova. La “nuova” Eva.

Lei, infatti, è la prima discepola di Gesù a compiere insieme a lui tutto il suo tragitto. E lo ha fatto per prima in forza del suo dono e della sua missione: la maternità di Gesù.

In qualche modo, semplificando, lei corrisponde a noi. Lei è stata già ciò che noi siamo e noi saremo ciò che lei è. Proprio questo suo vantaggio, che la rende unica, la rende anche profondamente vicina a tutti. Il suo essere stata privilegiata, colmata di grazia, permette che tutti gli esseri umani possano esserne colmi.

Guardiamo infatti ancora meglio come si compongono, in relazione a Gesù, che rimane il centro della fede cristiana, queste affermazioni sulla madre di Dio:

  • Maria, in quanto madre di Gesù, è nello stesso tempo figlia di Dio e sua genitrice. “Figlia del suo Figlio”, come dice Dante con un’espressione straordinaria. Questo è avvenuto gratis, da parte di Dio, e si è realizzato grazie alla fede operosa con cui Maria ha risposto ai doni gratuiti che ha ricevuto da Lui. Maria, cioè, ha collaborato attivamente ai doni straordinari ricevuti, come dovrebbe fare ogni credente.
  • Maria ha ricevuto doni unici e speciali, una completa integrità nel corpo e nello spirito, che non era indispensabile. Dio e la sua opera potevano benissimo farne a meno. Che Maria li ricevesse era conveniente, ma non strettamente necessario.
    Ma proprio per questo a maggior ragione sono doni perché non “servono” a qualcosa, ma sono espressione della bontà gratuita di Dio verso di lei e, di conseguenza, verso l’umanità intera. Maria è un segno che rivela un Dio che fa doni grandi semplicemente perché li vuole fare.
    Duns Scoto argomentava infatti che se Dio può fare un bene più grande, lo vuole, e se lo vuole, lo fa. E così ha fatto con Maria, che è come un segno di vita e di speranza per tutti gli esseri umani.
  • E, infine, l’ultimo dono, che porta a compimento gli altri: Maria partecipa pienamente del destino di Gesù in quanto lo segue subito, alla fine del suo viaggio in questa vita, anche nella Resurrezione e Ascensione al Cielo, cioè nella nuova realtà che attende tutta la creazione.

Ricordo ancora, quando ero ragazzo, il mio catechista che mi spiegava tutto questo dicendo: “Maria, una povera e semplice ragazza di un paesino sperduto senza importanza, ha ricevuto in anticipo i doni che Dio ha riservato per tutti noi”. Non so perché, ma queste parole mi accendono ancora il cuore.

Tutto questo, cioè il fatto che Maria ha ricevuto doni straordinari di grazia, che ha vissuto il Vangelo fino in fondo, e che per questo partecipa della stessa condizione attuale del Figlio Risorto, si può riassumere in uno dei titoli più belli con cui la tradizione della Chiesa invoca Maria chiamandola, “Maris Stella”, cioè “stella polare”.

La stella polare era un punto di riferimento per la navigazione dei marinai. Per i credenti, gli esseri umani sono marinai senza bussola nell’oceano dell’esistenza, ma Maria è un punto fermo, una garanzia di speranza, una promessa di felicità che supera ogni nostra aspettativa e ogni nostro merito. Maria indica la rotta sicura del Vangelo.

Ovviamente, ci sarebbero ancora un’infinità di cose da dire, ma mi aspetto il vostro contributo nei commenti.

Bella a tutti!

QUI L’ORIGINALE

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