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Adolphe Tanquerey: il regalo di Natale di Papa Francesco a chi non vuole “perdere la bussola”

POPE FRANCIS AUDIENCE

Antoine Mekary | ALETEIA | I.MEDIA

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 09/01/19

«Se non sempre è facile – specialmente oggi – incontrare veri maestri e padri spirituali, capaci di discernere il sussurro dello Spirito nei cuori, per lo meno possiamo aiutare e aiutarci attingendo al grande tesoro della tradizione spirituale cristiana dei grandi Dottori della Chiesa»: così il cardinal Stella presentava quasi un anno fa l'opera del grande moralista di inizio Novecento che il Santo Padre ha messo sotto l'albero di tutti i membri della Curia Romana per il Natale ormai alle spalle. Ma perché ha scelto proprio questo libro? Scopriamolo: è un dono per tutti noi!

Questo modello così perfetto è nello stesso tempo pieno d’attrattiva: Maria è una semplice creatura come noi, è una sorella, è una madre che ci sentiamo tratti a imitare, se non altro per attestarle la nostra riconoscenza, la nostra venerazione, il nostro amore.

Ed è del resto modello facile ad essere imitato, nel senso almeno che Maria si santificò nella vita comune, nell’adempimento dei dove|ri di giovinetta e di madre, nelle umili cure della famiglia, nella vita nascosta, nelle gioie come nelle tristezze, nell’esaltazione come nelle più profonde umiliazioni.

Lo si legge alle pagine 98 e 99 del Compendio di teologia ascetica e mistica di Adolphe Tanquerey, recentemente comparso per i tipi di San Paolo in una nuova edizione. Era stato Papa Francesco a fare dono del libro ai membri della Curia Romana, al termine dell’ormai atteso Discorso per gli auguri di Natale:

Anche quest’anno vorrei lasciarvi un pensiero. È un classico: il Compendio di teologia ascetica e mistica di Tanquerey, ma nella recente edizione elaborata da Mons. Libanori, Vescovo ausiliare di Roma, e da padre Forlai, padre spirituale del Seminario di Roma. Credo che sia buono. Non leggerlo dall’inizio alla fine, ma cercare nell’indice questa virtù, questo atteggiamento, questa cosa… Ci farà bene, per la riforma di ognuno di noi e la riforma della Chiesa. È per voi!

Paragrafi come quello che ho citato in apertura arriveranno nelle menti di quanti si intossicano tutti i giorni con la “letteratura” antibergogliana d’assalto come del sale su una ferita: ero rimasto incredulo a osservare, prima di Natale, la surreale polemica artatamente costruita per dimostrare che Papa Francesco non crederebbe nell’Immacolata concezione. Il passaggio incriminato è stato pronunciato nella medesima mattinata del dono di cui stiamo parlando, il 21 dicembre 2018, parlando con i dipendenti della Santa Sede e dello Stato del Vaticano in occasione degli auguri natalizi:

Guardiamo il presepe. Chi è felice, nel presepe? Questo mi piacerebbe chiederlo a voi bambini, che amate osservare le statuine… e magari anche muoverle un po’, spostarle, facendo arrabbiare il papà, che le ha sistemate con tanta cura!

Allora, chi è felice nel presepe? La Madonna e San Giuseppe sono pieni di gioia: guardano il Bambino Gesù e sono felici perché, dopo mille preoccupazioni, hanno accolto questo Regalo di Dio, con tanta fede e tanto amore. Sono “straripanti” di santità e quindi di gioia. E voi mi direte: per forza! Sono la Madonna e San Giuseppe! Sì, ma non pensiamo che per loro sia stato facile: santi non si nasce, si diventa, e questo vale anche per loro.

La Madonna non è nata santa? Ci mancherebbe! Anche di Gesù – Santo dei Santi fin dall’Annunciazione – Luca dice che «cresceva in età, sapienza e grazia» (Lc 2, 52), e dunque diventava ogni giorno più santo di quanto già non fosse. Ovvio che la critica al Papa fosse pretestuosa, come spessissimo è, incapace di leggere il senso parenetico del discorso e anche di capire la stessa dottrina dell’Immacolata concezione, che non esclude di certo né il progresso nella santità né la fatica della fede (Giovanni Paolo II scrisse a proposito pagine memorabili nell’enciclica Redemptoris Mater). In testa alla medesima pagina del Compendio del Tanquerey, ad esempio, si legge:

Mai ella commise la minima colpa o la minima resistenza alla grazia, adempiendo alla lettera il “fiat mihi secundum verbum tuum” (Lc 1,38). Perciò i Padri, specialmente s. Ambrogio e il papa s. Liberio, la presentano come modello perfetto di tutte le virtù, «caritatevole e premurosa verso tutte le compagne, sempre pronta a rendere servizio, nulla dicendo o facendo che potesse causare la minima pena, piena d’amore per tutte e da tutte riamata».

Una parafrasi “al quotidiano” del senso del dogma del 1854. Del resto due anni fa Papa Francesco – proprio parlando sotto quella colonna che a Roma ricorda ormai dal 1857 (ad opera della società civile!) la proclamazione del dogma – diceva:

Il Libro della Genesi mostra il primo no, il no delle origini, il no umano, quando l’uomo ha preferito guardare a sé piuttosto che al suo Creatore, ha voluto fare di testa propria, ha scelto di bastare a sé stesso. Ma, così facendo, uscendo dalla comunione con Dio, ha smarrito proprio sé stesso e ha incominciato ad avere paura, a nascondersi e ad accusare chi gli stava vicino (cfr Gen 3,10.12). Questi sono i sintomi: la paura, è sempre un sintomo di no a Dio, indica che sto dicendo no a Dio; accusare gli altri e non guardare a sé stessi indica che mi sto allontanando da Dio. Questo fa il peccato. Ma il Signore non lascia l’uomo in balia del suo male; subito lo cerca e gli rivolge una domanda piena di apprensione: «Dove sei?» (v. 9). Come se dicesse: “Fermati, pensa: dove sei?”. È la domanda di un padre o di una madre che cerca il figlio smarrito: “Dove sei? In che situazione sei andato a finire?”. E questo Dio lo fa con tanta pazienza, fino a colmare la distanza creatasi dalle origini. Questo è uno dei passaggi.

Il secondo passaggio cruciale, narrato oggi nel Vangelo, è quando Dio viene ad abitare tra noi, si fa uomo come noi. E questo è stato possibile per mezzo di un grande sì – quello del peccato era il no; questo è il sì, è un grande sì –, quello di Maria al momento dell’Annunciazione. Per questo sì Gesù ha incominciato il suo cammino sulle strade dell’umanità; lo ha incominciato in Maria, trascorrendo i primi mesi di vita nel grembo della mamma: non è apparso già adulto e forte, ma ha seguito tutto il percorso di un essere umano. Si è fatto in tutto uguale a noi, eccetto una cosa, quel no, eccetto il peccato. Per questo ha scelto Maria, l’unica creatura senza peccato, immacolata. Nel Vangelo, con una parola sola, lei è detta «piena di grazia» (Lc 1,28), cioè ricolmata di grazia. Vuol dire che in lei, da subito piena di grazia, non c’è spazio per il peccato. E anche noi, quando ci rivolgiamo a lei, riconosciamo questa bellezza: la invochiamo “piena di grazia”, senza ombra di male.

Maria risponde alla proposta di Dio dicendo: «Ecco la serva del Signore» (v. 38). Non dice: “Mah, questa volta farò la volontà di Dio, mi rendo disponibile, poi vedrò…”. No. Il suo è un sì pieno, totale, per tutta la vita, senza condizioni. E come il no delle origini aveva chiuso il passaggio dell’uomo a Dio, così il sì di Maria ha aperto la strada a Dio fra noi. È il sì più importante della storia, il sì umile che rovescia il no superbo delle origini, il sì fedele che guarisce la disobbedienza, il sì disponibile che ribalta l’egoismo del peccato.

Passaggi colposamente o dolosamente ignorati da quanti scrivono di “linguaggio volutamente impreciso” del Papa: in realtà si intossicano di sciocchezze e pensano di poter spiegare – come si suol dire – “il credo agli apostoli”. Sono quegli stessi che – tanto per fare un esempio – vengono a pretendere che Lutero sia all’inferno «perché l’ha detto la tale santa il tale dì».




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Anche su questo il Tanquerey può risultare illuminante, laddove (parecchio più avanti nel testo) si discute del discernimento del vero dal falso nelle rivelazioni private:

La prima causa è la mescolanza dell’attività umana con l’azione soprannaturale di Dio, in particolare se si tratta di fantasie e menti vivacissime.

[…]

Vi si riscontrano pure le idee e talora i pregiudizi o i sistemi dei direttori spirituali dei veggenti. Sulla fede dei suoi direttori, s. Coletta credette di vedere che s. Anna s’era maritata tre volte e veniva a visitarla con la sua numerosa famiglia. Qualche volta le sante domenicane e francescane parlano, nelle visioni, conforme al sistema particolare del loro Ordine.

A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, 739

Ed è gustosissima la nota 21 riferita a questo sottoparagrafo – vi si legge infatti:

[…] Il cardinale Prospero Lambertini (poi papa Benedetto XIV) discute dei tre presunti mariti di s. Anna cui allude la “beata Coleta”, e di un’estasi di s. Caterina da Siena, in cui la ss. Vergine le avrebbe detto di non essere immacolata […].

Insomma, l’impressione è che quanto più si strombazza una fantomatica “fede di sempre”, tanto più aumenta non la precisione ma la presunzione: esiste – eccome! – una “fede di sempre”, ma è quella umile, mendicante, che «ogni giorno chiede e ogni giorno vede accrescere il suo debito» (s. Agostino), perché ogni giorno riceve dall’Alto il proprio pane quotidiano.




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Alla faccia del “compendio”, l’opera del Tanquerey consta di quasi ottocento pagine: sfido che il Papa – consegnando il ponderoso volume ai presenti – abbia precisato che non è “da leggere”, bensì “da consultare”. E perché andrebbe compulsato? Ma per la riforma: della Chiesa e nostra. Ecco perché ho voluto indulgere un poco su queste polemicucce, che di per sé non meriterebbero degnazione: il dono di Natale di Papa Francesco è un multiforme strumento con cui ciascuno può lavorare alla riforma della Chiesa da quella postazione privilegiata che è la cura della propria vita e della propria comprensione della fede cattolica.




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In questo è da sottolinearsi anche una rimarchevole intelligenza “politica” del Papa, che parlando di riforma indica come strumento “un classico” che a breve compirà cent’anni: scritto in piena temperie anti-modernista e innervato della filosofia del doctor communis (e non stupirà scoprire che il testo era già compulsato da testate nient’affatto “bergogliane”), è tacciabile di tutto tranne che di “cedimenti in fatto di dottrina”. Che poi a curare questa nuova edizione sia stato il vescovo gesuita Daniele Libanori (insieme col mariologo Giuseppe Forlai) – e i due nomi non compaiono affatto in alcun punto del volume! – aggiunge una nota di merito all’intelligenza del momento storico ed ecclesiale che viviamo. Vale la pena di riportare alcune delle parole del cardinal Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, che ha firmato la Presentazione:

La vita dello Spirito in noi non si può catalogare né ridurre a schemi. Il miracolo che la luce della grazia opera nell’anima del credente si può disegnare pallidamente solo attraverso le parole della preghiera. Il silenzio rimane sempre e comunque il commento migliore alla nostra trasfigurazione in Cristo.

Ciononostante – e allo stesso tempo – sarebbe una pia quanto illusoria presunzione credere che la vita divina si accresca in noi, specialmente all’inizio del cammino, attraverso il disordine o l’improvvisazione. Ricevere, conservare, lasciar maturare in noi la grazia richiede lotta e coraggio, qualità che sgorgano dalla fonte viva di una esperienza profonda della misericordia di Dio.

Nell’ingaggiare il santo combattimento abbiamo bisogno di guide esperte e competenti, che ci aiutino a evitare le illusioni e a fare luce nelle pieghe oscure delle nostre paure e resistenze all’Amore. E se non sempre è facile – specialmente oggi – incontrare veri maestri e padri spirituali, capaci di discernere il sussurro dello Spirito nei cuori, per lo meno possiamo aiutare e aiutarci attingendo al grande tesoro della tradizione spirituale cristiana dei grandi Dottori della Chiesa. Non basta una bella esperienza personale per evitare il pericolo di personalismi nocivi nella guida delle anime; per questo il riferimento alla Tradizione rimane ancora oggi baluardo ad ogni tentativo di ridurre ad interpretazioni soggettivistiche ed ecclesialmente carenti le mozioni e i desideri che lo Spirito suscita nei battezzati.

[…]

Il manuale del Tanquerey si compone di una «Introduzione» sui fondamenti della teologia ascetica e mistica, per poi sviluppare nella «Parte Prima» i principi della vita spirituale cristiana (l’origine, la natura dell’inabitazione dello Spirito in noi, lo scopo o perfezione della vita cristiana, i mezzi per assecondare la grazia); e nella «Parte Seconda» un’esposizione ordinata del progresso della vita cristiana attraverso la classica triplice declinazione (via purgativa dei principianti, via illuminativa dei progrediti, via unitiva dei perfetti). L’opera non è un manuale, bensì, un “compendio”, ossia un sunto sufficientemente completo ma breve dei termini di ogni questione e di ogni argomento. Il suo scopo è quello di offrire un promemoria immediato dell’essenziale da sapersi, sia nel campo dell’ascesi cristiana, sia dell’abbandono alla grazia nella vita mistica.

Come ogni realtà di questo mondo il Compendio porta le tracce del suo tempo. Vi si scorgono facilmente i limiti di una spiritualità scarsamente alimentata dai grandi concetti biblici (tranne – bisogna dirlo – quelli della figliolanza e dell’unione mistica giovannea), ma anche dal mistero dell’anno liturgico, inteso come sacramento annuale che scandisce nel credente le tappe della configurazione in Cristo. D’altra parte non si può pretendere di trovare in esso quello che sarà messo in piena luce dalla ricerca posteriore e infine dal Concilio Vaticano II. I pregi superano però i limiti; e sono pregi oggigiorno piuttosto rari!

+ B. Card. Stella, Presentazione in A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, 5-6 passim

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