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“Io li ho curati, Dio li ha guariti”. Le imprese del santo medico Giacomo Cusumano

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 18/02/19

Prima medico, poi sacerdote, trascorreva parte della notte e della mattina a pregare e tutto il resto della giornata tra visite mediche e cure ai più bisognosi.

Una affascinante figura di santo medico in Giacomo Cusmano. Era nato a Palermo nel 1834, in una famiglia di grande sensibilità religiosa, dove i genitori avevano insegnato con il loro esempio ai figli ad essere attenti nei confronti dei bisogni delle persone meno fortunate.

Fin da fanciullo Giacomo dimostrò una grande sensibilità e generosità verso i poveri, con i quali condivideva tutto ciò che possedeva. Già all’età di 16 anni manifestò il desiderio di farsi missionario, ma fu costretto a rinunciarvi per l’opposizione del padre.

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Decise allora di iscriversi alla facoltà di medicina di Palermo, per avere la possibilità di mettersi a servizio di poveri e bisognosi con l’esercizio della professione medica. Anche se nell’università del tempo la filosofia imperante era il materialismo, Giacomo rimase fedele ai principi cristiani con cui era cresciuto. Si laureò in medicina e chirurgia col massimo dei voti e, compiuto il tirocinio teorico e pratico, iniziò a esercitare la professione medica a Palermo.

Non accettava mai denaro

Alle doti di competenza professionale, univa amabilità, pazienza e disponibilità. Con grande discrezione, delicatezza e rispetto non mancava di esortare gli ammalati a riconciliarsi con Dio per mezzo dei sacramenti. Esercitava la professione con spirito di servizio e di gratuità; non mancava mai di recarsi a visitare i poveri, dai quali non accettava denaro, e anzi spesso lasciava di nascosto dei soldi per l’acquisto delle medicine e degli alimenti necessari. Quando le cure avevano successo, con grande distacco e umiltà era solito ripetere: «Io li ho curati, e Dio li ha guariti».

I tre santi

In breve tempo si conquistò una eccellente reputazione professionale. Continuava, intanto, a coltivare la propria vita di fede e la formazione cristiana. In particolare, si sentiva attratto dallo spirito evangelico di tre santi: dalla carità verso i poveri di san Vincenzo de’ Paoli, dalla mitezza di san Francesco di Sales e dalla povertà di san Francesco d’Assisi.




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L’eucaristia quotidiana

Coltivò il desiderio di farsi frate cappuccino per essere povero con i poveri. Gli fu consigliato dal suo direttore spirituale di accostarsi quotidianamente all’eucarestia, di riflettere assiduamente sulla Parola di Dio, di impegnarsi nella catechesi e di nutrirsi di letture spirituali. Si commosse leggendo di san Giovanni di Dio, di san Camillo de Lellis e di san Carlo Borromeo. Di loro parlava anche agli amici, sottolineando che, pur essendo stati deboli come noi, seppero superare ogni difficoltà e servire chi aveva bisogno di assistenza e cure.

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La vocazione

Dopo un periodo di discernimento, la vocazione di Giacomo gli fu chiara: non quella di frate cappuccino, ma di sacerdote.

Fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale, vissuto ponendo al centro della sua vita l’eucaristia, visitava con attenzione particolarissima gli ammalati, li ascoltava, li confortava, assistendo i moribondi a volte per ore ed ore, anche di notte. Don Giacomo non esitò a mettere a disposizione dei poveri tutte le sue risorse personali.


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Il colera

Nel 1866, durante una tremenda epidemia di colera che colpì la Sicilia, don Giacomo si prodigò senza risparmiarsi accorrendo presso i malati, esercitando il ministero sacerdotale e svolgendo il servizio di infermiere, e nei casi d’urgenza, quando non c’era tempo di chiamare un medico, seppe dimostrare che non aveva dimenticato le sue grandi abilità di medico.

“Casa per casa” a cercare bocconi e offerte

L’anno dopo la grande epidemia fondò l’Associazione del Boccone del Povero, di cui inizialmente entrano a far parte circa 40 persone fra preti e laici. L’associazione aveva lo scopo, secondo le parole dello stesso don Giacomo, di organizzare la carità per i poveri, con la raccolta e la distribuzione di cibo, vestiario, medicine e denaro. Don Giacomo in prima persona girava di casa in casa per raccogliere i bocconi per i miseri e tutto quanto gli viene offerto. Viveva egli stesso da povero. Trascorreva parte della notte e della mattinata in preghiera e per il resto della giornata era sempre in giro per la città a portare i soccorsi della carità.


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La prima scuola di carità

Nello stesso periodo don Giacomo fondò un’Accademia Ecclesiastica per garantire una formazione di sacerdoti e laici sempre più adeguata ai tempi.

Don Giacomo inoltre riuscì a realizzare la Casa dei Poveri, che divenne una vera e propria scuola di carità per tutta la città di Palermo. Benché malato e costretto a sottoporsi ad un intervento chirurgico, continuò a visitare i malati, a medicare le piaghe, a prestare i servizi più umili, sempre armato di un dolce sorriso e della più grande delicatezza e tenerezza per i più diseredati.

Imitare Dio

Nel 1887 diede vita alla comunità dei Sacerdoti Missionari Servi dei Poveri, con sede presso la chiesa di San Marco a Palermo, con la missione di aiutare i poveri e rendere più lieve la loro sofferenza e guadagnarli a Dio e, allo stesso tempo, avvicinare i ricchi ai poveri, per renderli capaci di guadagnarsi la grazia del Signore, al fine di procurare loro la salvezza. Morì nel 1888, a Palermo, in fama di santità, e la sua tomba divenne da subito meta di pellegrinaggi.

Il nucleo della testimonianza cristiana di Giacomo Cusmano, proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1983, sta nel desiderio di imitare la scelta di Dio che per amore dei bisognosi si fece egli stesso «boccone del povero».




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