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La difesa non è sempre legittima: «Con la nuova legge siamo tutti meno garantiti»

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 29/03/19

Ieri è stato definitivamente approvata la legge – fortemente voluta dalla Lega di Matteo Salvini – che riforma la disciplina legislativa in materia di legittima difesa in casa (ma anche in bottega, in fabbrica, in negozio o nelle loro pertinenze). Forti dubbi – di applicabilità ancor prima che di costituzionalità – vengono sollevati da eminenti magistrati. Si allarga anche in questa materia il divario tra ordinamento italiano e dottrina sociale della Chiesa. E già ieri sera è stato presentato (sempre dal Carroccio) un altro elemento

La nuova legge non tutelerà i cittadini più di quanto erano già tutelati fino ad oggi;  al contrario introduce concetti che poco hanno a che fare con il diritto, prevede pericolosi automatismi e restringe gli spazi di valutazione dei magistrati, oltre a portare con sé grandi difficoltà di interpretazione: tutto ciò significa che tutti saranno meno garantiti. In più ci sono numerosi dubbi di incostituzionalità.

Così si è espresso il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Francesco Minisci, a proposito della legge sulla legittima difesa fortemente voluta dalla Lega di Matteo Salvini e ieri approvata definitivamente in Senato con ampia maggioranza (201 contro 38 – 6 astenuti).

Minisci aveva parlato in audizione alla commissione Giustizia della Camera il 10 gennaio scorso. Lì si discuteva di un testo leggermente diverso, con punti critici ancora più evidenti. Il ministro Salvini replicò a stretto giro:

Sto facendo il possibile e l’impossibile per garantire sicurezza e leggi più certe, tra cui quella che garantisce il diritto alla legittima difesa, che per quello che mi riguarda è sacrosanto, anche l’Anm dice che è pericolosa e rischia di legittimare l’omicidio.

Più versata sul versante tecnico era arrivata a ruota anche la nota di Giulia Bongiorno, ministro per la Pubblica amministrazione e vero uomo forte del Carroccio:

Il testo della norma, equilibrato e rispettoso della Costituzione, valorizza lo stato d’animo di chi viene aggredito ed è costretto a difendersi in una situazione di turbamento psicologico. Nulla a che vedere con una licenza ad uccidere.

Le criticità maggiori del dispositivo

Il punto più critico della nuova norma, che tecnicamente modifica gli articoli 52 e 55 del Codice Penale (più alcuni altri relativi ai reati di furto), è invece proprio che la colpa è meno certa di prima: per questo la dichiarazione a caldo di Minisci parlava di “pericolosi automatismi” che restringono lo spazio di valutazione dei magistrati e insieme di “grandi difficoltà di interpretazione”. Senza addentrarci in tecnicismi e limitandoci ai soli primi due (dei nove) articoli del testo, cerchiamo di sintetizzare:

  1. si afferma che la difesa è sempre legittima;
  2. si declina il principio affermando che «[…] agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica […]».

Anzitutto – per riprendere le parole di Minisci – il “pericoloso automatismo”, quindi la “grande difficoltà di interpretazione” dovuta alla vaghezza delle condizioni: in pratica non serve che il ladro (ma diciamo il violatore del domicilio) sia armato né che stia usando l’arma; basta che “minacci” – e non solo di usare un’arma, bensì anche «altri mezzi di coazione fisica». Posto che “arma” non si limita ad “arma da fuoco”, e che qualunque tipo di colluttazione può rientrare nel vago insieme degli “altri mezzi di coazione fisica”, il ladro (o il violatore del domicilio) può anche essere disarmato.

Tanta vaghezza serve per affermare il principio-base – “la difesa è sempre legittima” – e comporta di fatto la cancellazione del principio di proporzionalità fra offesa e difesa. L’indirizzo si rafforza con l’articolo 2 del testo, se possibile ancora più difficile da interpretare e determinare in sede forense. Si aggiunge infatti un comma all’articolo 55 del codice penale:

Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, n. 5, ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.

Insomma, non solo non è necessario che il ladro (o il violatore di domicilio) non sia armato, ma basta lo “stato di grave turbamento” del proprietario del domicilio (o dell’unità industriale/artigianale/commerciale). E come si certifica, in tribunale, il “grave turbamento”? Prima di sparare il padrone di casa deve misurarsi la pressione? Farsela misurare da un notaio? Oppure basta l’autocertificazione? E quand’è che un turbamento si dice “grave”?

Un amico ben più versato di me in questioni giuridiche mi faceva pure osservare che la presunzione di proporzionalità tra difesa ed offesa, con relativa inversione dell’onore della prova, pur essendo diretta ad imbrigliare la discrezionalità del giudice, non può impedire l’accertamento giudiziale dei presupposti integranti la scriminante, la quale sarà comunque affidata alla valutazione discrezionale dell’organo giurisdizionale ed al suo libero convincimento. Lo stesso amico aggiungeva poi come sia problematico pure il tema della presunzione di legittima difesa domiciliare anche nell’ipotesi in cui «il fatto avvenga nelle immediate vicinanze dell’abitazione», una formulazione che costituisce una evidente violazione del principio di determinatezza della norma penale. L’amico si è spinto poi in un’osservazione ancora più tecnica, che riporto qui soprattutto a vantaggio di eventuali giuristi:

Viola inoltre il principio di eguaglianza il fatto che solo per la legittima difesa sia stata introdotta una ipotesi di obbligatorietà del patrocinio a spese dello Stato in caso di proscioglimento, archiviazione e non luogo a procedere. La riforma non tiene minimamente conto della delicatezza di un istituto come la legittima difesa che, in quanto causa di giustificazione, esclude l’antigiuridicità, la contrarietà rispetto all’ordinamento giuridico di un fatto che in sé integrerebbe una fattispecie di reato: una scelta di politica criminale che nasce dalla necessità di bilanciare concretamente interessi in conflitto tra loro, per cui la prevalenza dell’uno o dell’altro interesse è condizionata ad una comparazione del loro rispettivo valore. La sanzione penale non ha più ragion d’essere nel momento in cui, come spiegava Antolisei, l’azione non contrasta con gli interessi della comunità come avviene normalmente perché in quella determinata situazione scriminante è necessaria per salvare un interesse che ha un valore sociale uguale o superiore a quello che si sacrifica.

È certamente ironico che una parte politica abitualmente dedita a invocare il principio della “certezza della pena” possa risultare tanto approssimativa nel concretare la “certezza del diritto” legiferando per di più in una propria materia-simbolo. Il risultato è che «tutti saranno meno garantiti», anche perché se per qualche ladro il provvedimento varrà da deterrente lo stesso spingerà frange meno residuali di malavita a rinforzare le proprie attitudini nocive/letali (comprensive di attrezzature e addestramento). Insomma, forse qualche ladruncolo sarà scoraggiato dal fare irruzione nelle case e negli esercizi commerciali, ma i ladri veri – quelli che da anni e decenni vivono di furti sistematici – si vedranno invece “costretti” ad essere sempre più armati e sempre più pronti a unire a scasso e furto anche la grassazione e l’omicidio.

La dottrina cattolica della proporzionalità e della “moderazione”

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica tre numeri a illustrare il concetto di “legittima difesa” secondo la dottrina cristiana:

2263 La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario.

Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore. […] Il primo soltanto è intenzionale, l’altro è involontario [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiæ, II-II, 64, 7].

2264 L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale:

Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita. […] E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiæ, II-II, 64, 7].

2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.

Al centro di tutto l’argomento, dunque, e come sostegno della stessa liceità della difesa (che quindi non può essere sempre legittima), sta il principio proporzionalità, che Tommaso chiama anche “moderazione”: l’uccisione dell’aggressore non può mai essere un fine ricercato in sé, ma soltanto un effetto collaterale di per sé non voluto. Il “grave turbamento” non è contemplato da san Tommaso, la cui etica si muove tra vizi e virtù, non tra pulsioni e sensazioni.

Per sparare al ladro, anzitutto, bisogna avere un’arma da fuoco…

Ma ieri è stato «un giorno bellissimo per gli italiani», ha detto Matteo Salvini commentando il voto che rendeva il testo leghista legge dello Stato. Una dichiarazione che richiama i pronostici del presidente del Consiglio sul 2019, «anno bellissimo» che si sta già infilando nel cunicolo della recessione tecnica: a leggere un testo così confuso e difficile da determinare mi è venuto il sospetto che si trattasse di una pasticciata marchetta agli armaioli delle valli del nord, da sempre affezionati clientes del partito di Matteo Salvini. Come diceva “il divo Giulio”, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Proprio ieri sera – a poche ore dall’approvazione definitiva del testo sulla legittima difesa – la leghista Vanessa Cattoi ha depositato un progetto di legge per raddoppiare la potenza dell’arma che può essere detenuta senza licenza. L’intenzione è quella di

rendere più agevole l’iter per acquistare un’arma destinata alla difesa personale, aumentando da 7,5 a 15 joule il discrimine tra le armi comuni da sparo e quelle per le quali non è necessario il porto d’armi.

Ho già raccolto l’obiezione di chi dice che con un’arma da 15 joule si può comunque fare soltanto “il tiro a segno”, e non ho potuto fare a meno di ricordare don Camillo che quelli con cui intendeva sparare al fondoschiena della Giselda «sono pallini piccoli… piccoli piccoli… da passerottino… innocui». Perentoria la replica celeste del Signore: «Don Camillo!». E il prete, rinsavito: «Grazie, Signore».

È chiaro che l’effetto di una simile legge sarebbe duplice:

  1. nel breve periodo gonfierebbe l’acquisto di armi comuni, a vantaggio dei suddetti armaioli;
  2. nel medio periodo gli utenti vorrebbero passare ad armi da porto, magari senza dover ricorrere a una licenza per attività venatoria a mo’ di copertura (le norme per la licenza di arma per difesa personale sono più rigide).

Dilettanti allo “sparaglio”

Sì, perché comunque per poter usare una pistola contro un ladro bisogna averla, una pistola; e se le modalità di registrazione e denuncia dell’arma sono chiarissime non si può dire altrettanto di quelle di custodia in abitazione. Anzi, la legge italiana è, in tal senso, terribilmente vaga (sarà che in Italia vige in teoria il principio del monopolio della forza da parte dello Stato e non il secondo emendamento statunitense…), e se uno volesse tutelarsi da ogni possibile noia legale in merito alla custodia dovrebbe:

  1. tenere l’arma dentro un apposito armadietto la cui chiave e/o combinazione e/o password non siano facilmente accessibili a terzi (e chi sono i terzi? il coniuge? i figli? …)
  2. tenercela con il caricatore non inserito;
  3. tenere le munizioni fuori dal caricatore.

Ora immaginatevi la scena: è notte e mi sveglio perché sento rumori sospetti al portone. Attendo un secondo e capisco che si tratta effettivamente di scassinatori. Benedico la legge sulla legittima difesa e vado nella stanza in cui tengo l’armadietto della pistola. Prendo la chiave, inserisco la combinazione e lo apro. Tiro fuori la scatolina delle pallottole, la apro, prendo il caricatore e comincio a infilare le munizioni. Quante ne metto? Una decina? E che ne so se il ladro è armato… qui c’è posto per venticinque colpi, riempiamolo tutto, meglio stare sicuri… Poi prendo la pistola, che avevo lucidato appena due mesi fa (e il cui grilletto non dovrebbe quindi incepparsi), faccio per infilarci… E niente, ho già la pistola del ladro puntata alla mia tempia. Forse avrei fatto meglio a chiamare i Carabinieri.

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