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L’unica domanda da porsi quando ci si sente sopraffatti

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Cerith Gardiner - pubblicato il 08/04/19

A volte traiamo ispirazione dalle fonti più insolite...

All’inizio del dicembre scorso mi sentivo sopraffatta. A schiacciarmi non era la sensazione di essere incapace di fare tutte le cose scritte sulla lista, quanto piuttosto quella di fallire in qualsiasi cosa e di non aver idea di come gestire i miei quattro figli – uno dei quali aveva affrontato una prova veramente terribile –, la famiglia, gli amici e, non dimentichiamolo, i preparativi per il Natale. La preghiera mi offriva una calma momentanea, ma non era la soluzione pratica che cercavo.

Visto che era la cattiva madre che sentivo di essere, ho staccato tutto e mi sono messa a guardare New Amsterdam (sì, quando tutto crolla tendo a nascondermi in una serie televisiva), e lì ho involontariamente trovato la soluzione. Non sto dicendo che sia un programma fantastico o qualcosa del genere. So di avere dubbi gusti e amo le serie truculente ambientate negli ospedali. Il fatto di sentirmi bene mi ha spinta a provare qualcosa di nuovo, e considerando il mio stato di prostrazione e che eravamo vicini al Capodanno, la tempistica non avrebbe potuto essere migliore.

Nella serie, il giovane medico benintenzionato assume con gioia la sua nuova posizione e vuole rivoluzionare l’ospedale a tempo record. Mi è sembrato stranamente familiare, visto che la mia impazienza vorrebbe farmi sistemare tutta la mia vita in appena un paio d’ore… L’unico approccio logico era quello di prendere esempio da questo personaggio fittizio di successo.

Al secondo episodio ho notato che ha trovato la soluzione a tutto ponendo una semplice domanda: “Come posso aiutare?” “Perché no?”, ho pensato, “Proviamoci!” Ho iniziato con mia sorella al telefono a mille chilometri di distanza, oltre il Canale della Manica. Era in un’impasse per una questione di lavoro e non sapeva cosa fare. Quando le ho posto la mia domanda di appena tre parole l’ho sentita smettere di parlare – cosa insolita per mia sorella, che è piuttosto chiacchierona –, e cercando di trovare un modo che mi permettesse di aiutarla ha trovato lei stessa la soluzione. Fatto. E io mi ero limitata ad ascoltare.

Ho provato a porre la stessa domanda anche a qualche amico. Quando qualcuno aveva bisogno di aiuto pratico o di un consiglio, riuscivo a offrire loro la soluzione. Ancora una volta, non ha aggiunto molto alla mia routine abituale. La cosa migliore è che stavo iniziando a sentirmi nuovamente utile, un po’ meno fallita.

Spronata, ho deciso di porre la mia domanda alla mia fragile figlia 18enne. Era un territorio piuttosto pericoloso, visto che le dico spesso la cosa sbagliata, perché ovviamente non capisco mai! Anche stavolta mi è andata bene. Voleva solo un abbraccio e una pausa al bar per parlare di quanto si sentisse sopraffatta dai compiti. Dopo aver elaborato un nuovo programma accompagnate da un pancake al cioccolato, siamo tornate a casa piene di brio.

Potrebbe sembrare un po’ banale, ma è così. La mia lista delle cose da fare è ancora piena, ma non mi sento più nel panico. Mettendo le necessità altrui al di sopra delle mie ho acquistato una prospettiva diversa sulla mia vita e mi sono sentita meglio.

La mia risposta preferita alla mia domanda “Come posso aiutare?” è stato adottare a distanza una bambina dell’Uganda. La gioia che ho ricevuto aiutando una ragazzina a ottenere un’istruzione crea un leggera dipendenza. Il fattore che fa sentire bene nell’aiutare gli altri è incommensurabile, ma se lo facciamo per il giusto motivo è qualcosa che continuerò decisamente a fare!

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