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Lo smartphone e i bambini: ci vorrebbe una “class action” dei genitori

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Syda Productions | Shutterstock

Mathilde De Robien - Giovanni Marcotullio - pubblicato il 15/04/19

Oggi tutti conoscono gli effetti potenzialmente devastanti degli smartphone sui bambini. Eppure la quasi totalità degli adolescenti ne possiede uno. Che cos’è che s’inceppa? La pressione sociale sembra così forte che soverchia il desiderio di proteggere i propri figli. Ma allora perché non tentare di fiaccare l’ingiunzione a fare “come tutti gli altri” organizzandosi tra genitori per dire di no, insieme, allo smartphone?

Sabato scorso, incontrando gli alunni del Liceo Visconti di Roma, Papa Francesco ha portato all’attenzione generale – fra gli altri (ha parlato ad esempio anche di pudore e fedeltà!) – un tema molto noto e altrettanto trascurato: la nefasta incidenza degli smartphone sulla formazione dei ragazzi. Così ha detto il Pontefice agli adolescenti:

Liberatevi dalla dipendenza dal telefonino, per favore! Voi sicuramente avete sentito parlare del dramma delle dipendenze. “Sicuro, sì, Padre”. Dipendenze dal chiasso: se non c’è chiasso io non mi sento bene…; e tante altre dipendenze. Ma questa del telefonino è molto sottile, molto sottile. Il telefonino è un grande aiuto, è un grande progresso; va usato, è bello che tutti sappiano usarlo. Ma quando tu diventi schiavo del telefonino, perdi la tua libertà. Il telefonino è per comunicare, per la comunicazione: è tanto bello comunicare tra noi. Ma state attenti, che c’è il pericolo che, quando il telefonino è droga, la comunicazione si riduca a semplici “contatti”. Ma la vita non è per “contattarsi”, è per comunicare! Ricordiamoci quello che scriveva S. Agostino: «in interiore homine habitat veritas» (De vera rel., 39, 72). Nell’interiorità della persona abita la verità. Bisogna cercarla. Vale per tutti, per chi crede e per chi non crede. L’interiorità, tutti l’abbiamo. Solo nel silenzio interiore si può cogliere la voce della coscienza e distinguerla dalle voci dell’egoismo e dell’edonismo, che sono voci diverse.

I bambini reclamano sempre prima degli smartphone col pretesto che «tutti ne hanno uno». Parallelamente medici, psicologi, psichiatri, concordano nel dire che la sovraesposizione agli schermi è nociva: disturbi dell’attenzione e del sonno, danni alla vita sociale, isolamento… I responsabili politici, in Francia, hanno proibito il telefono nelle scuole elementari e medie fin dal settembre 2018. I genitori sono informati dei rischi di dipendenza, di cyberbullismo, di esposizione alla pornografia e alla violenza. Eppure – colmo dei colmi – i figli sono sempre più equipaggiati, e sempre prima! Secondo lo studio “Junior Connect’ 2018” – inchiesta annuale realizzata da Ipsos sulla frequentazione dei media da parte dei minori di vent’anni – oggi in Francia l’84% dei teenager (dunque 13-19 anni) possiede uno smartphone, e la percentuale arriva al 24% nella fascia fra i 7 e i 12 anni.

Esiste una sola buona ragione perché un bambino possieda uno smartphone?

«Tutti sembrano contrari ma molti soccombono alla pressione sociale», constata Valérie Halfon, consigliera di bilancio, nel suo libro “Tout le monde en a un, sauf moi !” [“Ce l’hanno tutti tranne me!”, N.d.T.] (Albin Michel), per descrivere questo fenomeno paradossale. Come se gli effetti potenzialmente nefasti dello smartphone pesassero poco sulla bilancia, di fronte all’obbligo di fare “come tutti gli altri”. Non dimentichiamo che i creatori di queste tecnologie moderne sono i primi a diffidare del loro impatto sui propri figli. Da adolescenti, i figli di Steve Jobs non hanno mai utilizzato un iPad. Bill Gates ha atteso che i suoi figli avessero 14 anni per offrire loro uno smartphone. Mandano i loro rampolli in istituti come la Waldorf School della Peninsula, dove tablet e computer sono proscritti fino al diploma. Non è il segno che lo smartphone non è un oggetto per bambini?


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Stéphane Blocquaux, dottore in scienze dell’informazione e della comunicazione, conferenziere, esorta i genitori a interrogarsi: «Mi date una sola buona ragione perché un bambino possieda uno smartphone?». La maggioranza dei genitori addurrà il bisogno di comunicare coi loro figli, di sapere dove sono, se hanno problemi eccetera. Misura di sicurezza. In tal caso, perché non dar loro un telefonino basico, senza connessione all’Internet? L’altra ragione invocata è la paura dell’esclusione. «I genitori cedono spesso per paura dell’esclusione», rincara Valérie Halfon:

Non essere presenti sui social network o nelle partite di videogames online significherebbe la fine di ogni vita sociale degna di questo nome. Eppure è ora di smetterla di aver paura della differenza. È sviluppando la propria individualità che nostro figlio potrà avere fiducia in sé stesso, non seguendo ciecamente il gregge.

Verso una mobilitazione dei genitori?

Non sta che a noi far cambiare le cose. Infatti, se siamo in tanti a pensarla così, se siamo centinaia, migliaia di genitori che vogliono preservare l’infanzia dei nostri bambini, perché non accordarci all’inizio dell’anno scolastico e decidere insieme che quest’anno i nostri genitori non avranno lo smartphone?




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È la proposta di Valérie Halfon, ma è pure quel che da due anni fanno gli Americani. «Wait until 8th» (“aspetta fino all’ottava [classe]”, che corrisponde alla fine della scuola media in Italia) è un’iniziativa lanciata da una madre di famiglia, Brooke Shannon, convinta che un bambino si diverta di più giocando all’aperto, passando del tempo con la sua famiglia e coi suoi amici e leggendo che abbrutendosi dietro a uno smartphone. I genitori s’impegnano, firmando una “promessa” digitale, a non dare smartphone ai loro figli prima dei 14 anni. L’impegno diventa vincolante quando altre dieci famiglie della scuola s’iscrivono. Così l’argomento “ce l’hanno tutti” non regge più e i genitori serrano le fila.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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