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Ashley Judd ringrazia per l’aborto: così non devo essere genitore con il mio stupratore

ASHLEY JUDD 2012

Di Genevieve - Ashley Judd, CC BY 2.0,

Ashley Judd nel 2012

Paola Belletti - pubblicato il 10/05/19

Così l'attrice Ashley Judd spiega la sua opposizione alla proposta, che due giorni fa è diventata legge dello Stato della Georgia, di vietare l'aborto non appena sia percepibile il battito cardiaco del feto. Ma come può il male scacciare altro male?

Ashley Judd è discretamente nota come attrice e testimonial della bellezza femminile. Ora anche come alfiere della bandiera a difesa dell’aborto: non solo come diritto non negoziabile, ma come vero e proprio atto di liberazione da un male intollerabile. Quale? Non la vita del bambino, ma la “genitorialità” condivisa con lo stupratore (niente di personale, insomma, caro bambino. E la tragedia, infatti, sta tutta lì). Lo ha annunciato dai microfoni del Women in the World summit di New York giovedì 11 aprile.

Non è un male anche questo, di ritrovarsi ad avere meno fantasia, sospinti da una cultura che ripete ossessivamente sempre la stessa cosa, ridotti ad immaginarsi poche soluzioni e alla fine una sola? Punire lo stupratore uccidendo il figlio. Non c’erano davvero altre possibilità, cara Ahsley? Nessuno ha ascoltato sul serio il tuo dolore e accolto le tue paure?

Ecco cosa fa l’aborto, oltre ad uccidere. Ci fa pensare male e meno. Così fa l’aborto spacciato come esercizio di un diritto che invece non esiste; così funziona di fatto “l’aborto percepito” se restiamo nel mondo del sentire, del vissuto, del benessere inseguito freneticamente, della fuga dal dolore. E l’assenza di dolore è il minimo sindacale che deve essere garantito. Illusione nemmeno troppo pia, unita alla negazione corale di una realtà grande come una casa, vecchia come il mondo: quel bambino, a lasciarlo stare, nascerebbe e finirebbe per mostrarsi per quel che è sempre stato, un essere umano identico a noi – mi viene sempre più il sospetto che uccidere i bimbi sia il marcatore spirituale di un odio a noi stessi, non nostro ma satanico.




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E non è per l’appunto il male maggiore, questo di vedersi la mente rattrappita. Quelli più grandi sono altri due, sono le due morti. La morte immediata del bambino concepito e quella differita, come spiega genialmente la dottoressa Silvana de Mari, della madre. E da quelle morti non si esce vivi, se non con il perdono (quello vero, di Cristo. Non altri).

Attrice di discreto successo, tra le prime a denunciare gli abusi di Weinstein

Ashley Judd è una bellissima donna, un volto femminile hollywoodiano dai tratti quasi europei. L’ho pensato di primo acchito ma ora che ho letto la sua biografia scopro che il padre ha origini siciliane e che da giovanissima ha vissuto per un semestre universitario in Francia. Sembra averne importato lo charme. A dire il vero è passata anche per il regno del Sol Levante, tentando di sfondare nel mondo della moda, senza successo. I ruoli che le sono valsi la notorietà sono soprattutto quelli ricoperti in pellicole thriller. Da Wikipedia:

Dalla fine degli anni novanta, la Judd ha mostrato di avere successo come attrice protagonista, dopo i successi ottenuti con diversi thriller tra cui Il collezionista del 1997 e Colpevole d’innocenza del 1999. Altre sue pellicole come Qualcuno come te ed High Crimes, ricevettero critiche non entusiaste e scarsi incassi al botteghino nonostante abbia ricevuto i complimenti per la sua performance nella biografia di Cole Porter nel film De-Lovely ricevendo una nomination al Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia o musicale, e il suo collega sul set, Kevin Kline come miglior attore.

Più recente e noto al grande pubblico la trasposizione cinematografica del best seller Divergent, primo capitolo di una saga distopica che piace tanto alla categoria young adult.

Ha subito tre stupri: merita tutta la nostra comprensione. Ma il bambino?

Non ha mai fatto mistero di essere stata vittima di violenza, ha infatti già raccontato in altre occasioni di avere subito stupri: addirittura tre. Come non darle atto di grande coraggio per questa sua testimonianza? E di avere dato con essa la forza ad altre vittime di denunciare o almeno di chiedere aiuto, di condividere con altri il peso di una tale prova? Chi lo sa.

Non ho esperienza diretta, grazie a Dio, di cosa significhi per una donna patire una violenza di questo tipo. Posso solo immedesimarmi, provando ad assumere in me l’umiliazione di essere così violate, di vedere il proprio corpo trasformato in oggetto e la propria anima, l’animo almeno, ridotto a straccio muto. Posso solo figurarmi nella mente gli esiti fisici e psichici di una brutalità tanto odiosa. Non esistono violenze gradevoli, certo, ma esiste una scala di gravità. E questo tipo di sopruso è gravissimo, tremendo e vigliacco.

Che dolore tuttavia pensare che abbia aggiunto alla sua vita e alla sua anima un peso ancora più grande di quello che le era stato imposto. Che colpa ha una persona che subisce uno stupro? Nessuna. NESSUNA. Ma chi invece volontariamente, ingannandosi, toglie la vita al figlio innocente che ha in gestazione? Ne ha eccome (con chissà quante attenuanti, questo lo sa Dio). Ne ha anche chi l’ha lasciata sola, chi ha taciuto, chi invece ha parlato ingannandola, illudendola che fosse una decisione che era suo diritto prendere. Ecco le sue parole:

“Come saprete tutti, dato che non l’ho mai nascosto, sono stata stuprata tre volte. In una delle tre occasioni sono rimasta incinta”, ha detto alla moderatrice dell’incontro, Katie Couric. “Per questo sono molto grata per aver avuto la possibilità di abortire in modo sicuro e legale. Perché il mio stupratore avrebbe avuto il diritto ad essere padre di quel bambino sia in Kentucky, dove lui vive, sia in Tennessee, dove vivo io. E così avrei dovuto avere come co-genitore del bambino la persona che mi aveva violentata“. “Per questo motivo avere la possibilità di abortire in maniera sicura è stato molto importante per me e, come ho già detto, la democrazia nasce sulla nostra pelle”, ha aggiunto l’attrice. “Non dovrebbero esserci regole imposte su ciò che si vuole fare con il proprio corpo”.



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L’adulto e la sua immaginazione al centro di tutto

In questa dichiarazione il solito armamentario di argomenti. Quelli che parlano della donna come padrona del proprio corpo e ignorano il bambino come soggetto. E così, la donna che crede di essere libera, si trova totalmente preda di sé stessa e sola. Semplicemente accudita e maneggiata il tempo necessario per separare il suo corpo da quello del figlio. E il bambino, da soggetto di pari valore come continua ostinatamente ad essere ad onta del nostro progresso, è ormai totalmente ridotto ad oggetto. Sembra una casa in multiproprietà  nella quale però non ci va più di passare la prima settimana di giugno, come gli altri anni; gli amici di un tempo sono diventati antipatici. Certo, avere a che fare con il proprio stupratore non è cosa che si possa desiderare, rendere piacevole, accogliere come opzione equivalente ad altre. Eppure, quante altre possibilità avrebbe potuto percorrere Ashley Judd e ritrovarsi ora con meno pubblico davanti ma più felice e in pace!


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Quello che l’ha convinta a farsi praticare un aborto è stato il pensiero terribile di condividere “la genitorialità” con una persona così.

Diritti, percezioni, vissuti. Tutto intorno ai desiderata sempre più contorti di adulti mai cresciuti. Ma più che con Ashley, che ha alle spalle tre violenze, tre!, e il peso di un aborto di cui si vanta (quante lacrime dovrà versare, le auguro di cuore di averne il tempo. Davvero!), meritano la nostra indignazione e la nostra intelligente opposizione tutti coloro che hanno costruito i fondamenti di questa cattedrale all’umanità desertificata.

L’aborto libero e legale impugnato contro la proposta dello Stato della Georgia. Che ora è legge

L’evento al quale anche la Judd ha parlato è arrivato alla sua decima edizione. Lo Woman in the World che si svolge a New York city. Diversi e numerosi gli interventi. Tra i nomi segnalati sul sito il suo è “relegato” al link attivo sotto many others. Sarebbe interessante approfondire e conoscere il contenuto anche degli altri interventi.

Il suo contributo si collocava come voce di protesta contro l’allora proposta di legge, ormai firmata dal governatore della Georgia, Brian Kemp il 7 maggio scorso e divenuta legge del suo stato: tale norma vieta l’aborto dal momento in cui è registrabile il battito cardiaco fetale, il che significa un divieto quasi assoluto poiché il battito fetale è rilevabile tra la quinta e la sesta settimana di gestazione, il momento in cui di solito ci si accorge di essere incinte.

Questo atto viene presentato come violento, ingiusto e contro le donne. Uccidere “in sicurezza” il proprio figlio invece resta nella top #5 della classifica “libertà ed emancipazione”. Poveri noi.

Piccola nota a proposito dell'”aborto legale e in sicurezza” così osannato e difeso: il Reproductive Health Act dello Stato di New York va esattamente nella direzione opposta alla tutela della salute femminile, uno dei paraventi più sdruciti della storia dell’umanità. Con il RHA l’aborto diventa praticabile da qualsiasi operatore vagamente sanitario. Ne abbiamo parlato anche noi. E la salute della donna va a farsi benedire (magari!)

Il governatore Kemp, da par suo, il giorno dopo la firma scriveva sul suo profilo Facebook:

I signed HB481 into law this morning to ensure that all Georgians have the opportunity to live, grow, learn, and prosper. Through the LIFE Act, we will allow precious babies to grow up and realize their full, God-given potential. Ho firmato l’HB481 perché diventi legge, per assicurare agli abitanti della Georgia di avere l’opportunità di vivere, crescere, e prosperare. Grazie al Life Act consentiremo a bambini preziosi di crescere e sviluppare il pieno potenziale che Dio ha dato loro. (Facebook)

La questione del rilevamento del battito cardiaco fetale più che una morsa alla libertà delle donne sarà una stretta alla loro, alla nostra gola (e a quella dei padri, magari. E dei medici?): “quello è un bambino, il mio bambino”. Potrebbero arrivare a pensarlo in tante e prima che sia troppo tardi.

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ABORTO, CORPO, DONNA

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All’evento, tra i nomi più noti, anche al di qua dell’Atlantico, Oprah Winfrey. Sua la domanda chiave in apertura dell’edizione di quest’anno

The Summit, to be held at Lincoln Center in New York City, will feature a keynote address from Winfrey offering her vision on this year’s imperative question: “Can women save the world?” Il summit, che si terrà al Lincoln center, includerà un discorso d’apertura di Winfrey basato sulla sua visione rispetto all’imperativo messo a tema qs anno: “La donna può salvare il mondo?”  

(WomanintheWorld)

Interessante (e pretenziosa) questione. Sono donna anche io, mi sento chiamata in causa, dunque rispondo.

Le donne, da sole, no, non lo possono salvare il mondo. Prima occorre che si torni ad un’alleanza profonda tra uomo e donna. E che si torni a comprendere cosa sia davvero la salvezza, a sentirne il bisogno, a bruciare d’arsura per il desiderio di essere, noi tutti, tratti in salvo. Prima bisogna capire che il tema non è salvare il pianeta dall’uomo, ma salvare l’uomo e con l’uomo anche il Creato. Prima bisogna di sicuro che le donne riscoprano la loro vera potenza (anche al convegno ne hanno parlato, di potenza femminile); che smettano di farsi riempire l’agenda da istanze profondamente misogine, che vedono nella maternità il fardello più pesante del quale dobbiamo liberarci. Ma se le donne non diventano madri, anche “solo” spiritualmente, che uomini mai potranno nascere? E chi ci sarà più da salvare?

Ecco perché questo è il tempo più mariano (ovvero materno al massimo grado) della storia.


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