La Chiesa è ricca, ha un sacco di soldi, tanti beni. Perché non fa di più per i poveri? Quante volte vi è capitato di ascoltare persone che ragionano in questo modo.
In “I soldi della Chiesa. Ricchezze favolose e povertà evangelica” (Edizioni Paoline),Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire, risponde a queste provocazioni, e dice: la prima operazione da fare è chiarire il significato della parola “Chiesa”.
Confusioni e leggende
Nell’immaginario collettivo, schive Vuolo, questo termine è diventato una specie di calderone che contiene tutto: dalla cappellina di montagna alla basilica di San Pietro, dall’umile fraticello al prete di periferia fino al papa, dal convento storico alla chiesetta in ce- mento armato di recente costruzione.
Ma questa rappresentazione popolare, anzi popolaresca, oltre a essere gravemente imprecisa, finisce per creare confusioni e leggende. Ad esempio quella di una Chiesa ricca perché proprietaria di favolose ricchezze.
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“I soldi della Chiesa”
L’espressione «i soldi della Chiesa», comunemente usata a livello di sentire popolare, risulta così generica e fuorviante da risultare quasi del tutto priva di senso. Se davvero si vuole affrontare questo tema con intenti non pregiudizialmente denigratori (e al netto degli errori, delle infedeltà e dei comportamenti riprovevoli che pure macchiano la veste candida della Sposa di Cristo, a causa del peccato di singoli), occorre parlare di soldi della Sede Apostolica (o Santa Sede), di soldi delle Conferenze episcopali, di soldi delle diocesi, di soldi delle parrocchie e di soldi degli ordini e delle congregazioni religiose singolarmente considerati.
Differenziare i beni
Un discorso del genere, evidenzia Muolo, comporta, per ognuna delle articolazioni giuridico-territoriali un’attenta analisi delle entrate e delle uscite, soprattutto in riferimento alle finalità per le quali le risorse vengono impiegate.
Poi c’è da considerare che l’indipendenza amministrativa di ogni livello comporta l’impossibilità di sommare le risorse a disposizione dei singoli livelli. I beni di una parrocchia non possono essere sommati a quelli di una congregazione religiosa o a quelli del “Vaticano” (anche il termine “Vaticano” va chiarito).
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Come in una famiglia
Non sono escluse forme di collaborazione tra i vari livelli, precisa l’autore del libro, ma sono previste e disciplinate caso per caso dal diritto della Chiesa (diritto canonico) e comunque costituiscono una sorta di “eccezione” alla regola generale della distinzione dei flussi economici (in entrata e in uscita) e quindi dei bilanci.
Per rendere meglio l’idea, Muolo da un paragone calzante: quello di una famiglia: le risorse di padre e madre sono di solito distinte da quelle dei figli, soprattutto quando essi, raggiunta la maggiore età, siano andati a vivere da soli o si siano sposati e abbiano formato a loro volta una famiglia. Ma questo non significa che in determinate occasioni non ci si possa aiutare vicendevolmente, sia attraverso donazioni e prestiti sia attraverso l’uso comune di beni, che però risultano intestati all’uno o all’altro.