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Passaporti vaticani fittizi per fuggire dall’Italia: così monsignor O’Flaherty ha salvato 6500 prigionieri

FR HUGH O'FLAHERTY

Courtesy of Hugh O'Flaherty Memorial Society

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 28/05/19

Tra il 1943 e il 1944, in piena Seconda Guerra Mondiale, il prelato irlandese è stato un vero eroe. Il suo motto: "God has no country"

Si era guadagnato il soprannome di «primula rossa» del Vaticano e la sua storia era divenuta ancor più famosa nel 1983, grazie al film «The Scarlet and the Black» interpretato da Gregory Peck.

Oltre 6500 vite umane salvate dalla furia nazista. E’ l’incredibile frutto dell’opera silente e coraggiosa condotta negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale da monsignor Hugh O’Flaherty e dalla rete segreta da lui coordinata, la Rome Escape Line, costituita da uomini e donne che in incognito agevolarono la fuga, il nascondimento e la sopravvivenza di migliaia di prigionieri di guerra e civili.

THE SCARLET AND THE BLACK
ITC

Monsignor Hugh O'Flaherty, interpretato da Gregory Peck, Scarlatto e Nero (1983)Il film ambientato a Roma racconta la storia vera dell'affascinante sacerdote irlandese che salvò migliaia di ebrei durante la II Guerra Mondiale.

1938, Città del Vaticano

Irlandese, nato a Cahersiveen nel 1898, e divenuto sacerdote a Roma nel 1925, presto fu nominato vice-rettore del collegio di Propaganda Fide e quindi entrò nel servizio della diplomazia vaticana in Palestina, ad Haiti e Santo Domingo e infine in Cecoslovacchia. Dal 1938 prese servizio al Sant’Uffizio, abitando nel Collegio Teutonico, dentro lo Stato della Città del Vaticano: una posizione che agevolò lo svolgimento della sua preziosissima opera.




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I nomi dei prigionieri

«Tutto – ricorda Kieran Troy, membro della Hugh O’Flaherty Memorial Society – ebbe inizio quando, su mandato della Santa Sede, O’Flaherty andava a far visita nei luoghi in cui i nazisti detenevano i soldati alleati di lingua inglese. Ai prigionieri il prelato portava sempre libri, sigarette, cioccolato, un sorriso, una parola di conforto e soprattutto la speranza di ritrovare la libertà». Il sacerdote era solito prendere nota dei nomi dei detenuti su un foglio che poi consegnava alla Radio Vaticana affinchè li divulgasse allo scopo di raggiungere e confortare i loro parenti nei paesi di provenienza (Vatican News, 28 maggio).

La liberazione

Tra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la liberazione del 4 giugno 1944, migliaia di prigionieri inglesi e americani vennero liberati. Dopo l’occupazione tedesca, molti di essi cercarono rifugio a Roma e bussarono alle porte del Vaticano. O’Flaherty si metteva usciva quotidianamente davanti all’Arco delle Campane, per incontrare e aiutare chiunque avesse bisogno.


FATHER WILLIAM DOYLE

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Grazie all’aiuto del principe Filippo Andrea Doria Pamphilj, dell’ambasciatore Osborne, e di altri, il sacerdote irlandese riuscì a salvare la vita a oltre 6500 persone, inglesi, americani, appartenenti alla comunità ebraica, e di altre nazionalita. Amava ripetere: «God has no country», Dio non ha nazionalità. Alla fine della guerra padre O’Flaherty riceverà la gran croce dell’impero britannico e la medaglia d’onore del Congresso degli Stati Uniti.

Il “silenzio” del Papa

I suoi superiori conoscevano la sua attività, ed è difficile anche soltanto immaginare che il Papa Pio XII, Prefetto del Sant’Uffizio, non fosse a piena conoscenza di ciò che il sacerdote faceva, nascondendo persone nel Collegio Teutonico e stampando un gran numero di passaporti vaticani e di permessi di soggiorno per aiutare chi aveva bisogno di lasciapassare (La Stampa, 2012).

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