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Cinzia e il suo nascituro terminale: riuscirà ad accoglierne la vita così com’è?

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Paola Bonzi - pubblicato il 29/05/19

Una mamma alla ventottesima settimana scopre che il bimbo tanto atteso è affetto da gravi malformazioni. Saprà lasciarsi ispirare da altre mamme come lei, che hanno accolto la vita di questi bimbi fino a dove essa poteva giungere, senza infliggere loro una morte ancora più prematura?

Ventotto settimane.
Che cosa sono a confronto del mistero del tempo?
Per me in questi giorni hanno avuto il significato di una vita intera.
Da 4 anni Cinzia aspettava con desiderio l’arrivo di un figlio e ora, dopo l’ecografia, sa che questo figlio lo perderà.
Dentro di sé l’ha già perso.
Si tratta infatti di un piccolo bimbo gravemente malformato: i polmoni sono troppo piccoli, il cuore ha gravi problemi, il fegato sembra non funzionare a dovere.
La cosa però che mi fa stare peggio di tutto è che gli mancano le manine e i piedini. Con una voce molto dura dice:

Chiuda la pratica. Io non verrò più.



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Faccio i conti, ma è evidente che i medici non praticheranno un’interruzione della gravidanza, visto che l’aborto terapeutico si può praticare solo sino alla 22esima settimana.
Cinzia è muta, non piange, non parla, sembra non esistere.
Questa sensazione di non vita prende anche me.
Che cosa succederà?
Lo immagino, ma non voglio saperlo.
E allora vengo assalita dai ricordi.
Bambini anencefali, che certo non sarebbero vissuti, ma che non sono stati abortiti.

Cecilia è morta nascendo, ma ha fatto in tempo a ricevere il battesimo dalle mani del suo papà.
Marta è vissuta esattamente 24 ore in cui la sua famiglia ha potuto stare con lei, accompagnandola.
Le cose dure della vita si possono vivere anche semplicemente lasciando fare alla natura.

Non mi sento di dire però queste cose a Cinzia, anche se sto disperatamente cercando un modo per fargliele arrivare.
Con molta delicatezza, tutta quella di cui sono capace, comincio a raccontarle la storia di una di queste altre due madri.

Le posso raccontare ciò che ho vissuto con mamme addolorate come lei?



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Mi fa segno di sì, e le parlo allora della mamma di Cecilia.
Mi diceva, nell’ultimo periodo di gravidanza:

La sento muovere, e se non mi avessero dato questa diagnosi infausta, la penserei come una bimba sana. Quando la sento, mi accarezzo la pancia, là dove arrivano i suoi colpetti e forse il calore della mia mano le fa percepire le caratteristiche dolci della maternità. Sembra che voglia rispondermi, perché insiste a farsi presente con i suoi movimenti proprio in quel punto preciso. E’ viva e, anche se con tanta fatica, me la immagino mentre fa capriole e nuota da una parte all’altra dello spazio che le è concesso. Ho passato quest’ultimo periodo di gravidanza come una qualunque mamma, che registrava i movimenti di un qualunque bambino. Poi è venuto il momento del parto e non ce l’ha fatta. Io, quando tutto è finito, mi sono sentita affranta ma serena. Ho accompagnato la mia bambina fino al limite della sua piccola vita, che mi ha fatto sperimentare la dimensione della maternità.

Dopo un mese Giulia e Marco hanno voluto celebrare una messa invitando tutti coloro che in qualche modo avevano vissuto con loro questo dramma.




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Sembrava quasi una festa; si pregava cantando e, quando ho abbracciato Giulia, le ho visto al collo una catenina con un ciondolo a forma di angioletto.
Lei me lo ha indicato e mi ha confidato:

Cecilia è sempre con me, a volte le sussurro qualche parola e poi sfioro questo ciondolo come per accarezzarla.” Il mio viso era forse troppo serio, perché Giulia mi ha detto: “Non essere triste Paola, perché lei è con me e io mi sento serena.”

Che cosa se ne farà Cinzia di questo mio racconto? Naturalmente non lo so, ma spero che la natura possa fare il suo corso, permettendo alla vita di questo piccolo di concludersi spontaneamente.

QUI IL LINK AL POST ORIGINALE PUBBLICATO SULLA PAGINA FACEBOOK DI PAOLA BONZI

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