San Tommaso diceva che la temperanza è “il cocchiere delle virtù”, ossia che le raccoglie e riunifica, che le indirizza e guida, che le coordina e diversifica. Come si acquisisce però questa eccellentissima virtù?
Ecco una virtù messa parecchio male, nella nostra epoca che incessantemente c’invita a “concederci qualche piacere” e a “brillare”. Eppure per dei secoli, anzi dei millenni!, ben prima del cristianesimo, la temperanza fu riconosciuta e rispettata come un segno di sapienza e di giusta misura. I greci – in particolare Platone e Aristotele – coltivavano con cura questa virtù perché temevano il suo opposto, che è la smodatezza. Quest’ultima era vita a giusto titolo come la causa della decadenza e della caduta delle civiltà e dei regni. Alla temperanza di Sparta o della repubblica romana di Catone risponderà la smodatezza e la decadenza dei costumi dell’impero romano, il quale difatti sarebbe giunto alla propria fossa in poco tempo. Ogni popolo che non è capace di temperanza firma la propria condanna a morte.
Oggigiorno il dominio di sé, così centrale per la vita interiore cristiana, non gode di buona stampa, perché sono in voga piuttosto i piaceri dei sensi, illimitati e incontrollati, secondo l’umore e il desiderio, secondo la moda del momento. Eppure i popoli francesi sono stati per parecchie generazioni modelli esemplari di temperanza, anche se all’epoca gli uomini erano abitati da passioni identiche alle nostre. Gli eccessi e la dismisura non toccavano che un’infima frangia della popolazione, e sempre in quadri da non trasgredire. I francesi, generalmente inclini a tollerare qualche colpo di testa, lasciarono ad esempio ricordi contrastanti del re Luigi XV – peraltro uomo di fede – il quale da principio era “il [re] amatissimo”.
L’equilibrio della misura
Da molto tempo abbiamo accuratamente relegato questa virtù a un senso molto ristretto e particolare: la moderazione nel consumo di alcool… Se fosse questo, il contenuto della temperanza, sarebbero numerosi i suoi campioni! San Tommaso d’Aquino, riservando a questa virtù uno dei suoi trattati più sviluppati e più ricchi, insegna al contrario che la temperanza riguarda tutti i piaceri sensuali verso i quali l’uomo dirige incessantemente il proprio desiderio per soddisfare i due bisogni essenziali della sua natura: il nutrimento, necessario alla vita individuale, e l’unione carnale dei sessi, necessario alla vita della specie. Egli riprende le riflessioni di Aristotele nell’Etica Nicomachea, pur organizzandole secondo la struttura propria alla Summa Theologiæ ed aggiungendovi le conoscenze della scienza biologica del suo tempo. Evidentemente, questi riferimenti scientifici sono talvolta limitati dalla datazione, ma in nulla ciò inficia la sostanza delle sue dimostrazioni, che al contrario restano sempre attuali.