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La volta che Berlinguer disse: non sono credente, ma i miei figli sono liberi di scegliere

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 12/06/19

35 anni moriva il leader del Pci. Ecco cosa disse della fede in un'intervista ad Enzo Biagi. Pubblichiamo anche la storica corrispondenza che ebbe con il vescovo di Ivrea

L’11 giugno 1984 moriva Enrico Berlinguer. Il leader del Pci venne colpito da un ictus durante un comizio a Padova, era il 7 giugno. Si accasciò in diretta televisiva, palesemente provato dal malore ma continuò il discorso, nonostante anche la folla, dopo i cori di sostegno, urlasse: “Basta Enrico!”.

Alla fine del comizio rientrò in albergo dove entrò in coma. Dopo il consulto con un medico, venne trasportato all’ospedale Giustinianeo e ricoverato in condizioni drammatiche. Morì l’11 giugno, a causa di un’emorragia cerebrale. Ai suoi funerali, il 13 giugno a Roma parteciparono due milioni di persone (Ansa, 11 giugno).

La Repubblica (11 giugno) ha rilanciato un articolo di Enzo Biagi dal titolo Enrico Berlinguer, un giorno gli chiesi: “Ma lei crede in Dio?”:

Mi ripetè un vecchio discorso, sulle dittature che si sono instaurate nell’ Est: “Non esiste nessun partito che, per definizione, sia alieno dal prendere tutto il potere. Noi chiediamo una leale intesa con gli altri, e non posso dire Dio sa che sono sincero”. Obiettai: “Perchè no?”. “Perchè non sono credente”. “Sua moglie lo è?”. “Sì, lei crede”. “E i suoi quattro figli sono battezzati?”. “Non mi va di parlare di loro, che devono restar fuori, devono poter fare, liberamente, le loro scelte, senza alcun pregiudizio“. Queste cose Enrico Berlinguer me le disse nell’ ottobre del 1972. Ha rispettato quei fatti e quelle parole. Non mi è capitato molte volte di riscontrarlo in altri.




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Che Berlinguer non credesse in Dio era cosa piuttosto nota, ma il suo distacco dalla fede, non ha avuto mai ripercussioni (almeno ufficiali) sull’adesione al Partito Comunista e essere, allo stesso tempo, credente e praticante. Interessante, in tal senso, è la ricostruzione di homolaicus.comdi una corrispondenza tra il leader del Pci e il vescovo di Ivrea:

In una lettera aperta scritta nel luglio del 1976 a Enrico Berlinguer, segretario generale del Pci, mons. Bettazzi, vescovo di Ivrea, mostrava d’avere un certo timore dell’ideologia comunista e delle conseguenze politiche ch’essa poteva determinare (il riferimento, in questo senso, andava a quei cattolici indipendenti nelle liste del Pc, i quali, secondo lui, si stavano lasciando ingannare dalle manovre strumentali di questo partito, sempre più intenzionato a non fare della “questione cattolica” un impedimento per la militanza dei credenti nelle proprie fila).

A questa lettera Berlinguer risponderà con una lunga lettera nell’ottobre dell’anno successivo, che susciterà immediate reazioni da parte dell'”Osservatore Romano“, che si chiedeva che cosa avrebbe fatto il Pci dell’art. 5 del proprio statuto, cioè come avrebbe conciliato il riconoscimento del valore della fede religiosa con l’ideologia marxista-leninista.

La successiva risposta di Berlinguer non si fece attendere: nel febbraio del ’78 affermò che la filosofia del Pc non era una filosofia atea. Il XV congresso comunista decise di modificare il suddetto art. 5 e presentò rilevanti novità con altre due tesi, la n. 16 e la n. 68: i militanti del Pc non erano più obbligati a riconoscere ed applicare il marxismo-leninismo. Il programma politico del partito era, in pratica, compatibile con la singola fede religiosa del militante.

Nella sua lettera a mons. Bettazzi, ispirata dal catto-comunista F. Rodano, Berlinguer cercò di rassicurare il prelato dimostrandogli che l’ideologia del Pc era diversa da quella che lui s’immaginava. Il Pc italiano infatti – secondo il segretario generale – non si caratterizzava affatto per il suo riferimento dogmatico al marx-leninismo. Anzi, esso aveva smesso da tempo d’essere un partito ideologico e quindi settario, preferendo di gran lunga una soluzione più laica e democratica.

genitori Enrico Berlinguer
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In pratica Berlinguer, pur osservando giustamente che il riferimento al marxismo non poteva avere alcunché di dogmatico, rinunciava a caratterizzare ideologicamente il proprio partito:

Cioè dopo aver distinto – com’è necessario fare – le questioni ideologiche da quelle politiche, aveva abbandonato definitivamente le prime, qualificando le seconde con l’appellativo di “laicità” e sostenendo che questa impostazione della strategia del partito esisteva già prima della sua segreteria.

In realtà Berlinguer aveva dato una formulazione di laicità del tutto inedita in seno al partito. Nella lettera veniva detto che il Pc non era un partito “né teista, né ateista, né antiteista”. Sino a Longo le cose non stavano così. Ideologicamente il partito era ateista, solo che politicamente non faceva di questo ateismo un argomento per selezionare i propri aderenti.

Anzi, sin dal 1945 Togliatti aveva introdotto una distinzione tra ideologia e politica, permettendo l’iscrizione al partito sulla base dell’adesione al programma politico, a prescindere dalle convinzione filosofiche o religiose dei singoli militanti.




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