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Papà malato di lebbra e mamma con HIV, ma Ruthika è una meraviglia

INDIA, GIRL, DESERT

OlegD | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 21/06/19

Quello che i missionari del Pime hanno realizzato a Taloja in India è più di un ospedale per intoccabili: è la goccia silenziosa della speranza che scava la roccia.

È nata in un dispensario vicino a Mumbai, una struttura di assistenza pubblica dove gratuitamente vengono elargite cure mediche e accoglienza. La storia è stata diffusa dal sito AsiaNews. Ruthika è sana, ma i suoi genitori no e sono dalit, vale a dire paria o intoccabili. Di conseguenza lo è anche la loro piccola, la cultura delle caste genera ancora in India questa crudele emarginazione, uno svilimento della persona che solo la carità riesce ad abbracciare.


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Infatti il dispensario in questione è qualcosa in più di un semplice ospedale che si occupa di chi la società mette all’angolo. Si chiama Swarga Dwar – cioè “porta del cielo” – l’istituto che è stato casa per Ruthika dalla nascita e fondato dai missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere) a Taloja.

Il motto del centro è: “Il Regno di Dio è fondato sulla pietra scartata dai costruttori. Questo vuol dire che accogliamo tutti coloro che vengono scartati, emarginati, sono senza una luce di speranza nella propria vita”. (da Asia News)

Pietre scartate, anime vive

Il papà e la mamma di Ruthika si sono conosciuti nel dispensario del Pime, lui malato di lebbra e lei malata di HIV. Si sono innamorati, questo è già un trionfo così evidente, perché lo spettro del ghetto non ha prevalso.  Trovarsi accolti in un luogo in cui neppure la lebbra o l’HIV hanno l’ultima parola sulla persona ridesta anche in un uomo ferito il desiderio e il bisogno di amare. La porta del cielo è un messaggio di misericordia che vale sempre, ma che splende di più quando entra a gamba tesa nel bel mezzo dell’umano più svilito e umiliato.

Christian Persecution
Rafal Cichawa - Shutterstock

Nonostante i tentativi di dissuasione da parte dei medici, Mahesh e Ramya mettono al mondo una bambina che nasce sana, bellissima e la chiamano Rutikha. Oggi ha tre anni ed è comprensibile che i missionari del Pime la sentano un po’ come loro figlia.

Il superiore Pime denifisce Taloja una “espressione della carità cristiana e motore della misericordia”. In questo contesto si sono incontrati Mahesh e Ramya, genitori di Ruthika, “scartati dalla comunità. Il loro amore per la vita e il desiderio di donarsi l’uno all’altro è stato più grande del tentativo della società di togliere loro la dignità”. (da Asia News)

Non è la sola, a dire il vero. Ci sono 20 bambini a Swarga Dwar, figli di genitori lebbrosi, sieropositivi oppure orfani; 80 sono i minori che la scuola dei missionari ospita all’interno dell’istituto. L’anima di ciascuno è al centro di questa missione, una visione complessiva e buona dell’umano che non riduce la malattia a macchia inguardabile. Il corpo, la persona intera, fiorisce in questi luoghi cristiani d’accoglienza proprio in virtù del paradosso: la pietra scartata è divenuta pietra angolare. Mahesh, il papà di Ruthika, traduce su di sé questa buona novella dicendo: anche noi malati abbiamo il sorriso.

Ci sono zone del mondo che bramano ancora questa voce, e non è che qui – nella libera terra dell’Occidente – siamo così permeati da uno sguardo così accogliente nei confronti di chi non ha in dote la perfetta salute corporea vita naturale durante. Si ricorderà, forse, che noi siamo quelli che hanno creato il ghetto pietoso dell’eutanasia.




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Alla tavola di Dio

L’India è uno dei pochi paesi al mondo in cui la lebbra è ancora presente in modo significativo (su 215 mila casi al mondo, circa 125 mila sono ubicati nella penisola indiana), anche se non non è più considerato un’emergenza nazionale dalle autorità di governo, che spesso affidano le cure e la riabilitazione dei pazienti a forme di volontariato. Lo stigma su questa malattia è forte, altrettanto coraggiosa è la proposta che l’istituto dei missionari di Taloja rivolge a chi entra in contatto con loro:

L’obiettivo è mettere in contatto malati e sani per sconfiggere il tabù della lebbra e l’ostracismo contro i dalit. Nella nuova struttura manca la cucina. Malati e sani mangeranno insieme nel refettorio del lebbrosario. Lo stesso varrà per le gerarchie ecclesiastiche che verranno qui e tutti gli ospiti che accoglieremo, anche per il superiore regionale: se si dovesse decidere di trasferire qui la sede, egli non sarà solo un manager del Pime, ma un manager che vive in mezzo alla realtà. (Ibid)
INDIA
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Non dovrebbe essere una notizia il fatto che Ruthika sia nata sana, non la rende migliore o più degna. Ma è una cosa molto buona, di cui ringraziare. Vero è che la sua stessa presenza viva scardina la logica del pregiudizio e dell’emarginazione. Il fatto che non sia affetta dalla malattia che affligge la madre è, se vogliamo, una meraviglia alla nostra ottusità schiava delle classificazioni.


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Spesso il ghetto è lo schema quotidiano con cui affrontiamo la realtà, gli altri: le colpe dei padri ricadono sui figli, gli errori del passato restano addosso a chi li ha commessi, non può nascere lieta se i protagonisti sono disperati. Ogni tanto Dio ci dà un’evidente svegliata per ricordarci che ogni sua creatura è una faccenda tutta nuova, vincolata solo al suo disegno d’Amore. Allora sì, Ruthika è un messaggio di meraviglia recapitato alla nostra cultura sempre più schiava di diagnosi pre-natali che garantiscano a genitori sani di avere figli sani. Nel posto meno probabile del mondo, in mezzo a malati gravi emarginati da tutti, la Provvidenza di Dio ha scritto un copione inaspettato, quello davvero più adeguato al nostro bisogno:

“Se si ha la possibilità di vedere e toccare con mano la sofferenza, si inizia a comprendere di più anche il dolore della segregazione e dell’emarginazione. E questo è molto importante in India per superare la divisione delle caste. Speriamo che la gente inizierà a imitarci. Potremo essere la goccia silenziosa che scava la roccia”. (Ibid)

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