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È meglio parlare o tacere?

MAN SITTING ON FLOOR

Space Amoeba | CC BY-NC-ND 2.0

padre Carlos Padilla - pubblicato il 03/07/19

Quando la vostra perfezione vi ossessiona, ricordate che non siete Dio

A volte non so se è meglio tacere o parlare. Alzare la voce e gridare perché mi ascoltino o rimanere in silenzio nascondendo ciò che penso, ciò che so, ciò che desidero.

Non so se parlando provocherò il rifiuto, il rancore o l’odio, o se tacendo otterrò l’ira di chi non mi ama e si aspetta qualche parola.

Non so se è più umile il mio silenzio o la mia parola, o se è possibile cambiare in qualche modo la mia vita e quella altrui.

Vedo Dio che tace e penso al suo silenzio. “Il silenzio di Dio dovrebbe insegnarci che spesso bisogna tacere”.

Forse allora, guardando Dio, dovrei imparare a tacere più. A parlare meno. Ad aspettare con pazienza.

Non essere precipitoso nelle mie decisioni. Avere calma e pace. Non vivere con la fretta. La vita si cucina a fuoco lento. Tra silenzi e attese. Imparo a tacere, senza parlare più del dovuto.


MAN CONFUSED WITH WORK

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Sono padrone dei miei silenzi. Schiavo delle mie parole. Accetto di sbagliarmi parlando più del dovuto. Taccio. Resto in silenzio. Aspetto.

Desidero una vita lunga per donare i miei passi. Per lasciar risuonare la mia voce o mettere a tacere il mio grido. Desidero che tutto passi e arrivi presto il cielo, il paradiso. Non come retribuzione per i miei meriti, ma come espressione dell’amore più grande che mi abbraccia e mi sostiene.

Voglio vivere qui e ora, e non nel futuro, né ancorato nel passato. Sogno un’eternità, e a volte vedo che l’attesa mi stanca.

Spesso non so se sto facendo la cosa corretta. Se la cosa corretta è quella morale, quella giusta o quella che vale. Non so se mi trovo al posto giusto o ce n’è qualcun altro più adeguato.

Non so se quello che vivo ora lo vivo al momento opportuno. Non so se sto facendo quello che devo fare o solo quello che mi piace.

Non lo so, vivo tra i dubbi.

E nei dubbi la mia anima si consuma con paure e desideri. Scelgo allora di lasciare che sia Dio a portare consolazione e pace all’anima una volta fatto il primo passo.

Posso fare una cosa o l’altra. Dire di sì o di no. Non è tanto grave. Quando scelgo, quanto opto, sogno però una pace benedetta che calmi la mia anima.

So che è Dio a guidare i miei passi e mi abbandono. Sono solo di passaggio su questa terra. È tutto tanto fugace…

Il vento di oggi è passeggero. E la pioggia e il sole. E il mio sorriso. E le mie parole. Sono passeggere. Oggi ci sono e domani in questo stesso spazio ci sarà un’altra vita, saranno altri i sogni, altre le voci, altri i silenzi.

Pensare in questo modo non mi inquieta. Al contrario, mi dà pace. I miei gesti hanno una trascendenza che non riesco a vedere.

E sono così piccoli che quando si misurano con l’eternità senza tempo tutto sembra insignificante.

Forse per questo non so se parlare o tacere. Se fare o rimanere tranquillo. Se sognare o adattarmi. Dubito se arrabbiarmi per quello che non ho o ringraziare per quello che ho nella vita o aspettare qualcosa di più grande.




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Dubito se riposare un po’ o continuare a lottare un altro giorno.

Come decidere sempre la cosa giusta?

La cosa corretta è cercare il sorriso di Dio in mezzo alle stelle, mentre resto tranquillo a guardare il cielo.

Tanto affanno per voler fare sempre la cosa giusta. Tanta lotta per non commettere alcun peccati. Tutto è vanità, così sento nell’anima.

È come voler essere Dio in abiti umani, come voler controllare tutte le variabili. E possedere un discernimento chiaro che elimini i dubbi.

Vivo pieno di limiti e fragilità. Mi spaventa il giorno successivo all’oggi che tocco e mi sembra sicuro.

Ma non permetto che mi tolga la pace il fatto di pensare al possibile fallimento, alla morte che arriverà un giorno. Lascio il timore attaccato alla mia barca e avanzo.

Sì, amando avanzo. Servendo navigo in mare aperto. Basta per rendere tutto diverso ogni mattina.

Non ho paura della notte. Scelgo la bontà, l’amore, la misericordia. Scelgo la vita piena, la generosità, la gentilezza.

“Essere gentili non è uno stile che un cristiano può scegliere o rifiutare. Come parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, ogni essere umano è obbligato ad essere affabile nei confronti di chi lo circonda”.

Mi piace pensare che la mia scelta metta al centro l’altro. Colui in cui Dio si rende presente. Gentile con chi non lo è. Misericordioso con chi nutre odio.

Dio mi chiede forse di vivere l’impossibile. Lo scelgo di nuovo. Sapendo che dando posso trovare il vuoto e amando posso ricevere il rifiuto.

Accetto il possibile fallimento delle mie imprese. Non ho paura della vita. Vale la pena di dare più di ciò che ho. Senza cercare i primi posti, né il potere che tanto mi abbaglia.

Rinuncio alla superbia. Metto da parte il mio orgoglio, il mio amor proprio. Mi stacco dalla maschera della mia fama che mi fa tanto male.

Ho venduto la mia immagine al mondo e la curo come se fosse la cosa più preziosa. Non è forse lo sguardo di Dio quello di cui mi importa di più?

Guardo il suo cuore di Padre e mi commuovo. Non ho paura della vita che passa fugacemente davanti ai miei occhi.

Confido nel rimanere in silenzio scegliendo sempre l’amore. Non evito di soffrire, perché soffrendo imparo le cose più preziose.

E quando amo so che una parte del mio cuore resta sepolta in terra feconda. Sorrido, taccio, aspetto. Non ho paura.

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