La nostra casa di Bethesda sorge a poche miglia dal Potomac, il fiume che attraversa Washington D.C. L’area è ricca di parchi al cui interno, circondati dagli alberi, ci si dimentica di essere in città. Quando sono arrivato, la scorsa estate, uno dei preti con cui vivo mi disse subito: “Devi andare nel bosco. Una volta ho persino visto un gufo”. Da quel momento, la speranza di vedere il gufo mi accompagnava ogni volta che uscivo per una passeggiata. Fino a che, dopo sei mesi in cui del gufo non si era vista traccia, ho cominciato a pensare che non esistesse o che, se mai fosse esistito, doveva essere volato via, in un altro bosco.
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Un giorno, dopo una mattinata trascorsa sui libri, esco di casa con un solo pensiero: oggi voglio vedere il gufo. Parto con il mio rosario e vado nel bosco. Mentre cammino, a destra del sentiero vedo un albero con una grossa cavità nel tronco. Sono lontano ma qualcosa mi attira: sembra una piccola faccia umana scavata nel legno. Mi avvicino, pensando che potrebbe essere il gufo. Intanto però subentra il dubbio: no, di certo è un’illusione ottica, è solo la corteccia. Il colore in effetti è identico, e soprattutto nulla si muove. Non ho niente da perdere – penso avvicinandomi -, al massimo torno indietro.Arrivo a pochi passi dal tronco quando, all’improvviso, ad un paio di metri sopra di me, la faccina mi punta gli occhi addosso: ci guardiamo per un secondo. Un brivido mi corre lungo la schiena. Poi il gufo apre le ali e vola sull’albero accanto, poco più in alto. A distanza di sicurezza, ma sempre vicinissimo. Non so dire per quanto tempo io sia rimasto là sotto, forse mezz’ora. Non riuscivo a staccare gli occhi. E lui continuava a guardare me.