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“Il mio giorno non è dunque passato: l’ora più bella è di là dal muretto”

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Annalisa Teggi - pubblicato il 02/09/19

Due versi di Montale per accompagnare studenti, insegnanti e genitori all'inizio del nuovo anno scolastico: il presente non sfugge di mano, ci porta in dono l'ipotesi di una bellezza da raggiungere vivendo senza sconti anche gli ostacoli.

Ci siamo, più o meno. Chi prima chi dopo, chi dietro il banco e chi dietro la cattedra … siamo prossimi all’inizio di un nuovo anno scolastico. L’inizio riguarda tutti, studenti, insegnanti e genitori. Ognuno ha uno sguardo diverso sull’evento. L’insegnante fresco di nomina sarà pieno di grandi progetti e qualche tremante incertezza, come il bimbo che comincerà la primaria. La novità di un vero inizio ci dona l’entusiasmo autentico, che per essere tale si accompagna alla paura. Pensando a varcare di nuovo la porta della classe, l’insegnante con tanta esperienza alle spalle e gli studenti degli ultimi anni saranno più propensi al borbottio e al sospiro, realisticamente consapevoli del faticoso percorso quotidiano che è l’educazione.


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Eppure aprire un quaderno nuovo di zecca o scrivere la prima frase della canzone preferita sul diario è bello; e anche al docente tocca compilare il nuovo registro annotando uno a uno i nomi dei propri alunni. Almeno, immagino sia ancora così. Molti anni fa aiutavo mia madre in questa mansione; lei era insegnante di ginnastica, quindi aveva tantissime classi e tantissimi nomi da scrivere nel suo registro. Le davo una mano. Per ogni nome mi impegnavo nella grafia migliore. E non potevo fare a meno di immaginare i volti dietro i nomi. Più tardi scoprii che la lettura preferita di Chesterton erano gli elenchi, qualunque fossero: gli ricordavano il lieto fino di un naufragio, quando si fa memoria di ciò che ci resta accanto.

Cosa rimane?

Quest’anno da mamma l’ho già combinata grossa, ho sbagliato la data di inizio dell’inserimento della mia figlia più piccola e mi resta solo una manciata d’ore per assemblare alla meglio il suo corredo ed etichettarlo. Ai genitori le etichette, agli alunni i diari e agli insegnanti i registri; a ciascuno qualcosa da segnare e compilare. Scripta manent, sì ma cosa rimane?




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Credo che dovrebbe proprio rimanere l’avventura del presente. Ma non quello da bere in un sorso senza troppi pensieri, e neppure quello che sfugge di mano senza tornare mai più. C’è un’alternativa al carpe diem edonisticamente interpretato e al malessere del «tutto scorre, niente resta». Il presente è qualcosa di più simile allo scampato naufragio di Chesterton, allo sguardo stupito di chi si guarda attorno e si rende conto di tutto ciò che c’è. Si dice, infatti, «essere presenti a se stessi». Ci sono due versi di Eugenio Montale che amo da sempre e in cui mi sono provvidenzialmente imbattuta in questi ultimi giorni, possono aprirci un panorama interessante:

Il mio giorno non è dunque passato: l’ora più bella è di là dal muretto (da Gloria del disteso mezzogiorno)
CHILD, BACKPACK, SCHOOL
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Va per la maggiore dire che Montale sia un esponente della corrente ermetica, il che è di cattivo gusto visto che lui scrisse di suo pugno che una cosa come l’ermetismo non è mai esistita. Se vogliamo rimanere sulla lettera E, diciamo pure che fu il poeta dell’entusiasmo. Come notavo prima, l’entusiasmo cammina per mano con la paura, cioè con il senso del limite. In questi due versi il paradosso è l’attesa di una bellezza che s’innesca grazie a un muro. Ancora più paradossale è che Montale sia riuscito a dare un’immagine potente del presente parlando del passato (primo verso) e del futuro (secondo verso).

Ogni inizio è una frontiera, coraggio

Perché devo fare tutte queste espressioni? – dice lo studente di mattina. Perché devo correggere tutti questi compiti? – dice l’insegnante di pomeriggio. Perché devo interrogarlo in storia e in inglese? – dice il genitore di sera. E potremmo andare avanti all’infinito con queste obiezioni. Forse Montale è stato molto clemente a definire «muretto» gli ostacoli. Cosa vuol dire che il bello è oltre l’ostacolo? È solo una pacca sulle spalle per farci vivere la fatica presente senza borbottii? Non direi. Innanzitutto in quel verso c’è l’evidenza che non possiamo vedere oltre. Vorremmo sempre sapere come va a finire o saltare a piè pari una circostanza, andare oltre. Invece ci appartiene una quotidiana permanenza in un recinto limitato, con una vista che si sente reclusa. Ma fu grazie a una siepe che Leopardi intuì l’infinito: il limite umano può essere occasione di slancio, se vissuto appieno. Leopardi non estirpò la siepe, la fissò e le intuizioni felici che ebbe nacquero da una relazione oggettiva con il non vedere oltre quel limite.


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Quando Montale nota che «l’ora più bella è di là dal muretto» non intende dire che non vede l’ora di aver tolto di mezzo il muretto (… cioè i compiti da fare o da correggere, eccetera) per potersi godere una bellezza priva di difficoltà. La sua è una grande provocazione alla nostra libertà umana, è come ci chiedesse: ora – mentre sei nel mezzo delle fatiche quotidiane – vivi pigro e sfiduciato oppure la presenza delle cose da fare sa accenderti la coscienza che la parte più grande di te è una costante attesa di pienezza?

L’educazione è piena di tanti spunti, non è una luce uniforme ma ha tutti i colori che rivela passando attraverso un prisma. Anche la matematica e la geografia spalancano finestre sull’infinito, mica solo Leopardi. Anche la musica e il disegno geometrico aprono ipotesi sul valore fecondo dei limiti. Ogni materia è un’occasione di entusiasmo e non di mera erudizione. Perché, in fondo, educare ha a che fare con l’aprire uno sguardo di piena coscienza sulla realtà e non c’è niente di più reale del nostro essere creature in attesa. Siamo ospiti di un corpo finito dotati di un’anima che ha il sigillo dell’eterno.

Immagino un’obiezione: e se di là dal muretto c’è un dolore, una malattia, una bocciatura, un qualunque genere di temporale? Sarà senz’altro così. Ma quel verso è sul presente, non sul futuro: non dice «andrà tutto bene»; dice invece che il presente ci dovrebbe rendere fiduciosi che ogni limite non sia la fine e afferma che l’ostacolo – l’esperienza negativa- ridesta in noi l’attesa di un tempo in cui ogni imperfezione sia sanata. Fossi un’insegnante chiederei ai miei alunni: come ve la immaginate l’ora più bella? Che è tutt’uno con il chiedere: qual è il tuo destino? In questo senso siamo tutti a scuola sempre, di fronte a tutto ciò che accade.

Alla luce del giorno

L’altra tentazione che ci accompagna quotidianamente è quella della noia o della sfiducia. Non tutti i giorni ospitano faccende straordinarie. Si finisce per rimuginare sul passato pensando che i giorni felici e migliori siano alle spalle. Ed, effettivamente, non c’è da recriminare nulla al povero studente che con la testa bassa sull’analisi logica rimpiangerà i giorni al mare in compagnia di quella ragazza così bella. Eppure, forse, proprio la memoria di quella ragazza allieterà il tempo passato su predicati e complementi da identificare. I ricordi vivono dentro al presente come stimolo (in positivo e in negativo), non come mero rifugio mentale. Montale fu il poeta dell’imprevisto come criterio di vita. Immaginiamo come sia apparsa quella ragazza al mare di fronte allo studente in vacanza lontano mille miglia dalla noia dell’analisi logica. L’avrà vista in mezzo a mille altre persone in spiaggia o in un locale, una figura ignota eppure subito attraente.


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Il presente è una feritoia che ci porta novità inattese, imprevisti appunto. Ricordare è tenere a mente, ed è anche tenere aperti gli occhi ora e qui: se è già accaduto in passato, allora in ogni momento può farmi visita una grande novità. Montale cercava le crepe, più che le finestre; anche dai pertugi più monotoni e brutti può introdursi un invito, un’occasione. Noi tendiamo ad affacciarci solo dalle finestre, ci aspettiamo la felicità secondo schemi prefissati. E non solo la felicità, anche le sfide. Cosa può farci dire: «il mio giorno non è dunque passato»? Anche questa è una domanda che farei volentieri ai miei ipotetici studenti. Cosa mi tiene vivo e all’erta qui, mentre cerco di ricordare le leggi della termodinamica o mentre correggo temi scritti con grafie incomprensibili? Ecco. Non scrivo qui una mia conclusione, tenere aperta questa domanda mi pare la scelta più sensata (anche per noi genitori).

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