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Quando mia moglie e il Piccolo Fiore hanno unito le forze e mi hanno donato un miracolo

SAINT THERESE

Pack-Shot | Shutterstock

Larry Peterson - pubblicato il 01/10/19

È impossibile sapere quanto i santi fanno per il nostro mondo. Di tanto in tanto, però, ne cogliamo un barlume...

A chi crede in Dio non serve alcuna spiegazione.
Per chi non crede non è possibile alcuna spiegazione.
San Tommaso d’Aquino

Loretta è stato il mio amore del liceo, e abbiamo iniziato a uscire insieme quando avevamo circa 15 anni. Molti anni più tardi, dopo che i miei genitori erano morti e anche se avevo tre fratelli più piccoli di cui prendermi cura, lei mi è stata accanto. La sua famiglia, soprattutto sua madre, era terrorizzata al pensiero che si coinvolgesse con un ragazzo con tutti quegli “extra”, e ha cercato di fare del suo meglio per impedirle di sposarmi.

Lei, però, mi è rimasta vicina, ci siamo sposati e siamo tornati a casa dalla luna di miele con solo due dei miei fratelli ad aspettarci. Il più giovane, Johnny, si era trasferito da mia sorella e da suo marito, Bob. Andava tutto bene, anche se non era certo una situazione tradizionale. Eravamo una famiglia e avevamo una casa.

Sono entrato alla Lathers and Reinforcing Iron Workers Union, uno dei migliori sindacati di New York City nel campo delle costruzioni. A 22 anni ho terminato l’apprendistato e avevo uno stipendio da operaio qualificato. Loretta ed io ci eravamo sposati quando avevamo entrambi 23 anni e ci eravamo trasferiti dal Bronx nel New Jersey. I miei fratelli andavano entrambi alle superiori, uno all’ultimo anno e l’altro al primo, e al di là del fatto di sentirmi del tutto fuori posto agli incontri tra genitori e insegnanti andava tutto bene.

Qualche anno dopo ho iniziato a inciampare e a perdere l’equilibrio. A volte sembrava che avessi bevuto. Poi il piede sinistro ha iniziato a muoversi come se non fosse mio. Me lo ricordo benissimo: a ogni passo il piede andava per conto suo, come se appartenesse a qualcun altro.

Sono stato ricoverato all’Istituto Neurologico del Columbia Presbyterian Hospital di New York. Dopo cinque giorni di test neurologici, incluso un mielogramma, è stato stabilito che “probabilmente” avevo la sclerosi multipla. Il mio medico mi ha detto che la situazione sarebbe peggiorata gradualmente, ma era molto imprevedibile e avrebbe potuto anche entrare in remissione. All’epoca era impossibile fornire una diagnosi precisa della malattia.

Non riuscivo più a lavorare nel campo dell’edilizia, ma per il resto me la cavavo bene. La terapia mi aveva aiutato a risolvere alcuni dei problemi al piede, anche se zoppicavo e lo trascinavo. Ho comprato un camioncino di seconda mano e ho avviato una piccola attività di consegna pacchi.

Sono riuscito a far quadrare i conti per un po’, ma poi la malattia è peggiorata rapidamente. Riuscivo a malapena a stare in piedi, e prima ancora di rendermene conto usavo le stampelle. Il mio medico mi ha consigliao di trasferirci in Florida: niente ghiaccio, niente neve e molta più facilità a camminare con dei sostegni.

La damigella d’onore e migliore amica di Loretta, Angie, si era trasferita in Florida vari anni prima e ci incoraggiava a trasferirci. I miei fratelli erano ormai giovani adulti e stavano per conto loro. Danny si era sposato, e Bobby lavorava come camionista. Eravamo solo Loretta, io e i bambini. Abbiamo venduto la nostra casetta e ci siamo spostati al Sud.

Angie ci ha aggiornati un po’ sulla zona e sulle scuole, e ci ha aiutati a trovare una casa. Sono riuscito a fare un po’ di soldi scrivendo curriculum ma stavo peggiorando, e il mio neurologo ci ha detto che sarei diventato cieco, incontinente e ridotto sulla sedia a rotelle nell’arco di un anno o due.

Era il Natale del 1980. Avevamo tre bambini piccoli, niente soldi e le cose si stavano mettendo male. Avevo ricevuto assistenza sanitaria dai Servizi Sociali della contea, buoni alimentari e prescrizioni (il nostro Billy, di 7 anni, era asmatico, e aveva bisogno di inalatori e altre cose che non ricordo; Loretta aveva il diabete e aveva bisogno di alcuni farmaci che la aiutassero a mantenere gli zuccheri nel sangue a livelli accettabili – l’insulina sarebbe arrivata solo qualche anno dopo).

E poi è arrivato il Piccolo Fiore.

Giovedì, 8 gennaio 1981, era il compleanno di Loretta. Avevo portati bambini a scuola, e tornando a casa avevo preso gli Egg McMuffins da McDonald’s. Loretta li adorava, ed era la sua festa. Mary aveva solo tre anni, e so di averle portato qualcosa, anche se non ricordo cosa fosse.

Quando sono tornato a casa, mia moglie era vicino al tavolo del soggiorno. Aveva le braccia tese e un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Stavo cercando di capire cosa stesse succedendo. “Beh”, ha detto lei, “cosa ne pensi?”

Non ho detto niente, ma sul tavolo c’erano tanti biglietti di auguri, tutti aperti e disposti uno vicino all’altro a formare un semicerchio. Lei ha indicato i biglitti e ha detto (ricordo le parole come se fosse ieri): “Oggi è il mio compleanno, e ho ricevuto l’unico regalo che volevo”.

“Dimmi cosa sta succedendo”, le ho detto. “Cosa mi sono perso?”

“Guarda i biglietti, guardali! Ciascuno è pieno di rose. Ho recitato una novena a Santa Teresa perché tu migliorassi e guarda! Non conosco nemmeno la metà delle persone che li hanno mandati, ma ogni biglietto ha sopra delle rose. Starai bene. Ce lo ha detto Santa Teresa. Starai bene”.

Non c’è stata una guarigione istantanea, ma quel giorno ho messo via le stampelle e ho iniziato a usare un bastone normale. Ho cominciato a fare riabilitazione e tre mesi dopo stavo molto meglio di quanto mi aspettassi. Dopo un po’ ho anche abbandonato il bastone. Se mi vedeste oggi non immaginereste mai che sia stato colpito dalla sclerosi multipla. L’urologo che ha curato il mio tumore alla prostata, un grande medico, mi dice: “Penso che abbiano commesso un errore. Non credo che tu abbia la sclerosi multipla”. La maggior parte dei miei amici non lo immagina nemmeno, solo qualcuno che mi conosceva già all’epoca.

Il nostro quarto figlio è morto quando Loretta era al sesto mese di gravidanza. Era una bambina, e l’abbiamo chiamata Therese. Sono così contento che l’abbiamo fatto.

Buona festa, Piccolo Fiore. Ti voglio bene. Grazie ancora.

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