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Francia, Le Monde celebra la cattolica quasi-centenaria che ottenne la grazia all’aguzzino nazista

Noëlla Rouget

Giovanni Marcotullio

Noëlla Rouget con – rispettivamente a sinistra e a destra – l'aguzzino nazista Jacques Vasseur e il fidanzato ucciso Adrien Tigeot.

Domitille Farret d'Astiès - Giovanni Marcotullio - pubblicato il 15/10/19

Presto sarà centenaria, e Noëlla Rouget ha quasi attraversato il XX secolo da un capo all’altro. Partigiana nella Resistenza, poi deportata nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la sua vita è stata attraversata da grandi sconvolgimenti. Eppure, quando il suo aguzzino è stato condannato a morte, più di vent’anni dopo la fine del conflitto, fu lei a chiederne la grazia – tra lo stupore generale.

La scelta del suo nome non è stata casuale: Noëlla Rouget (nata Bossard), che quest’inverno festeggerà i suoi cento anni, è nata il 25 dicembre 1919. Il primo di molti segni, per una donna che si è lasciata guidare tutta la vita da una fede che la stessa sembra avere abbarbicata nel corpo. La sua incredibile storia, riportata da Le Monde, è una testimonianza preziosa e ci lascia insegnamenti di sostanza.




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La piccola Noëlla crebbe in una famiglia angevina dove ricevette «una fede cristiana profonda», nonché «dei principî di comportamento», così come ella stessa afferma. Ha un fratello, Georges, che negli anni ’30 venne ordinato prete. Nella primavera del 1940, mentre per la Francia risuonano i sordidi canti delle prime ore della Seconda Guerra Mondiale, Noëlla ha da poco compiuto vent’anni. Prestissimo, la giovane istitutrice si arruola nelle file della Resistenza, prima distribuendo qualche volantino, poi diventando agente di contatto. Non contenta di trasmettere messaggi, trasporta anche valigie e armi portandole in bicicletta.

«Sii felice»

È in quel contesto che fa la conoscenza di Adrien Tigeot, anch’egli entrato nella Resistenza. Comunista, s’interroga sulla fede, in preda al dubbio. I due giovani si piacciono e si fidanzano. Il 7 giugno 1943 Adrien viene arrestato. Due settimane più tardi, tocca a Noëlla. Imprigionata, venne affidata a Jacques Vasseur. Affascinato dall’ideologia nazista, questo giovanotto di buona famiglia aveva deciso di servirla dandovisi anima e corpo. Intelligente e perfettamente germanofono, mette le sue doti al servizio del nemico, diventando poco a poco un elemento importante della Gestapo di Angers.




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Torturato fino a finirne sfigurato, Adrien non sarebbe sopravvissuto alla propria detenzione. Noëlle non l’avrebbe rivisto che una volta sola prima della morte: egli le fece recapitare però una lettera (non le sarebbe pervenuta prima del ritorno dalla cattività), nella quale le raccomanda di essere felice e di ricordarsi di lui.

Poiché non sono più, bisogna che tu mi dimentichi, mia cara, che tu viva. Il nostro grande amore è finito, bisogna che tu guarisca la tua piaga, che tu ami ancora. Non contrarre un “matrimonio di ragione”, Noëlla mia adorata; ama tuo marito, sii felice, felicissima, fallo per me.

Una sorta di testamento che testimonia la grandezza che in circostanze eccezionali può abitare l’uomo. Il 31 gennaio 1944, la giovane donna fu deportata nel Lager di Ravensbrück, dal quale sarebbe stata liberata il 5 aprile 1945, pesando appena 32 chili. Fedele al voto di Adriano, Noëlla si gode la vita. Sposa André Rouget e con lui va a vivere a Ginevra. Dalla loro unione sarebbero nati due bambini.

«Liberarci dallo spirito di vendetta»

Se la storia di Noëlla è già così poco ordinaria, il seguito riserva alcune sorprese. Jacques Vasseur, che alla fine della guerra era fuggito andando a nascondersi a casa di sua madre, fu arrestato il 21 novembre 1962. Colpevole di svariate centinaia di arresti, di deportazioni e di assassinii, il suo processo domina nella cronaca mentre vittime e loro famigliari si avvicendano al banco dei testimoni. Mentre allora l’opinione pubblica s’indigna e chiede la morte, Noëlla prende la parola e offre un ragionamento completamente diverso.




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«Il diritto di morte, solo Dio lo possiede, non spetta agli uomini decidere», afferma con convinzione, lei che pure a causa di quell’uomo aveva perduto il suo fidanzato. E si spinse fino a scrivere al presidente del tribunale in pieno processo. Fatica sprecata, perché Jacques Vasseur venne ugualmente condannato alla ghigliottina.

Neppure a quel punto arresa, l’audace e determinata Noëlla s’indirizzò stavolta al generale De Gaulle in persona per domandargli di graziare il proprio aguzzino.

Sono entrata nelle fila di quanti pensano che, se bisogna combattere l’errore, non per questo abbiamo il diritto di disporre di colui che ha errato – gli scrive lei, giustificando la sua richiesta con le seguenti parole –: Poiché credo in Dio, nel quale riconosco l’unico signore assoluto della vita e della morte.

Alla fine Jacques Vasseur venne graziato dal generale, ma la posizione della sua salvatrice attira a questa numerose inimicizie, a cominciare da quelle degli altri parenti di vittime. In una lettera rivolta ad ex deportati, ella giuste allora ad esprimersi in questi termini:

Non pensate che sia giunto il tempo di liberarci dallo spirito di vendetta che ci tiene prigionieri di questo circolo di odio, a causa del quale abbiamo tanto sofferto e che c’impedisce di essere a disposizione di attitudini altrimenti costruttive? […] Dopo essere stati testimoni dell’odio portato al suo parossismo, diventiamo i promotori della comprensione tra gli uomini e del rispetto assoluto della vita.

Le sue parole potenti interpellano ancora oggi. Alla maniera dei Giusti tra le Nazioni, Noëlla Rouget ha osato alzare la voce e misurarsi mirabilmente col sublime esercizio del perdono.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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