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Nonostante tutti i miei sforzi non raggiungo la santità, che fare?

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/11/19

Dio può cambiare il mio cuore malato, può svuotarmi di tante pretese e riempirmi della sua pace

Il cammino della santità si delinea sempre davanti ai miei occhi come un anelito, un desiderio profondo. Guardo i santi della Chiesa e vi vedo perfezioni e profondità che mi mancano. E penso che per me sia impossibile, e per altri magari no.

Potrò assomigliare a qualcuno di loro? Potrei arrivare a vivere la loro magnanimità, il loro modo di comprendere le avversità del cammino? Potrei arrivare ad avere l’intimità con Gesù che avevano loro?

A volte il vestito dei santi mi sta grande. Immenso, sproporzionato. Non riesco ad arrivare tanto in alto, tanto lontano, tanto in profondità.

Forse per questo mi interpellano le parole di Santa Teresina, che si sentiva tanto piccola nella sequela di Gesù:

“Ho sempre desiderato essere una santa, ma – ahimé – ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c’è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia oscura calpestato sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità. Diventare più grande mi è impossibile, devo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in cielo per una via ben dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova. Siamo in un secolo di invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch’io trovare un ascensore per salire la dura scala della perfezione”.

Ho letto troppo spesso che la santità è unita alla perfezione. Una vita senza macchia, senza errori, senza cadute, senza peccati.

Si può non peccare? Non credo. Conosco anime molto pure. E altre molto grandi. Cuori immensi che rinunciano per amore a quello che amano.


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So di vita generose che non accampano mai scuse al momento di donarsi. Vite che soffrono la malattia, l’assenza e la carenza con speranza e non perdono mai il sorriso. E soprattutto, fanno sì che la vita degli altri sia più gioiosa e felice.

E nonostante questo tutte peccano. Sicuramente meno di me, ma peccano. Arriverò all’altezza che vedo in loro? Credo che non sarà possibile arrivare lì neanche in ascensore.

La santità mi sembra piena di virtù e gratuità. Non sono santo a base di sforzi e successi. Credo piuttosto in quel cammino che mi ha delineato Maria pronunciando con umiltà, in ginocchio, il suo Fiat.

Si compia in me ciò che Dio desidera. Gesù ha pensato a un cammino di pienezza per me.

Ho una tentazione. Voglio creare la vita in base ai miei desideri. Voglio che i miei progetti diventino realtà. E quando non è così mi frustro, mi indigno e mi allontano da Dio.

Il giorno di Ognissanti la Chiesa ricorda chi gode già della pienezza del cielo. Non è necessario che siano stati canonizzati.

In quel giorno ricordo quanti sono già in cielo e hanno raggiunto la meta. Fanno parte di una Chiesa trionfante. E io nel frattempo cerco di arrivare a quel cielo sognato. Ma prima ho bisogno di riempire ogni giorno di vita.

Non importa quanti giorni mi restano da vivere. A volte mi sembrano lunghi. Quando non sono felice. Quando ho cercato la mia felicità in posti sbagliati. Quando sono diventato schiavo del mondo, delle passioni. Quando mi sono chiuso in me stesso pretendendo di essere felice.

Sono rimasto solo quando l’unica cosa che desideravo era essere amato da tutti, sempre e in modo incondizionato. La mia pretesa ossessiva che mi amino mi ha reso aggressivo per via della mia ferita. Sorge la violenza del mio cuore.

Dio mi aveva promesso una vita felice senza sofferenza. E il mio dolore e la mia infelicità lasciano senza valore Dio davanti ai miei occhi. Non lo perdono. Non lo amo. Non ne ho bisogno.


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Posso essere felice senza Dio, senza gli uomini, senza nessuno che mi aiuti. È la condanna in cui mi chiudo. Non sono capace di obbedire a Dio, che desidera che viva felice.

Non sembra ascoltare il mio cuore. Non mi ama. Perché soffro. E se mi amasse la mia vita sarebbe diversa. Vivo chiuso in un circolo vizioso.

Volevo essere santo. Per essere felice. Per essere di Dio. Il cammino non è quello che ho seguito. Voglio guardare Gesù e chiedergli di elevarmi fino al suo cuore ferito. Voglio supplicarlo di abbracciarmi e di rendere dolci i passi che faccio ora.

Egli può cambiare il mio cuore cuore malato. Può svuotarmi di tante pretese e riempirmi della sua pace. Lo guardo commosso. Voglio che mi prenda tra le mani e mi elevi. Voglio essere santo. Riflesso della sua presenza. Luce per i passi altrui.

Faccio mie le parole che mi diceva una persona malata: “Non so se vivrò o morirò. Non lo so. Ma nel cammino voglio rendere felici coloro che mi circondano”.

Sarà questo il cammino di santità che Dio mi propone? Forse non sono dove vorrei stare. O non vivo la vita che avevo sognato. O il mio lavoro non è quello che speravo.

Non sono in pace con il mio corpo, con i miei limiti. Non mi amano tanto come volevo. Non ho scuse. Dio vuole che continui a camminare con un sorriso lì dove mi trovo, rendendo la vita facile e felice a chi è con me.

Più do, più la mia anima sarà di Dio. Lo so. L’ho vissuto.


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