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Manuela pensava al matrimonio, Fedele alla carriera. Sono diventate clarisse

teatro Clausura

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 14/11/19

"Questa non è assolutamente una vita tranquilla. Ci sono momenti di dubbio, di buio. Guai se non ci fossero veramente, sarebbe una vita falsa". Le "confessioni" di due monache del monastero di Città della Pieve

Perché si diventa monache di clausura? Cosa spinge a compiere questa scelta radicale. Walter Veltroni ha intervistato per il Corriere della Sera (14 novembre) le suore del monastero di Santa Lucia a Città della Pieve «per ascoltare la voce di donne che hanno compiuto» questa «scelta esistenziale».

Madre Badessa Manuela Corvini e suor Fedele hanno raccontato la loro vocazione, accomodate dietro una grata.

“Ero proiettata su matrimonio e insegnamento”

Madre Manuela è entrata in monastero a 27 anni. Prima di quella scelta studiava. «Ho fatto Lettere classiche, mi sono laureata al Raimondi a Bologna. Ero fidanzata, proiettata sul matrimonio e sull’insegnamento». Poi «è intervenuto il Signore».

«Ad un certo punto si è interrotto il rapporto con questo ragazzo, ma non perché ci fosse un’altra persona, né da parte mia né da parte sua. Per quello che riguarda me non mi bastava più questo rapporto. Avevo tutto, avevo l’affetto di un ragazzo, dei miei, prospettive sicure per il futuro, tutto quello che si vuole. L’impegno in parrocchia, tante cose gratificanti, però avvertivo un’insoddisfazione dentro, un senso di vuoto profondo a cui, in alcuni momenti, non sapevo dare il nome. Il nome l’ho messo dopo, a posteriori».

“Ho combattuto con il Signore”

Non c’è stato un momento particolare nel quale ha sentito questa chiamata. «Non sono stata buttata da cavallo come san Paolo. È stata una cosa lenta, graduale e, ripeto, ho combattuto con il Signore. Solo alla fine, quando ho detto va bene mi arrendo hai vinto tu, ho trovato la pace e una pace profonda. Come un mare: possono esserci tempeste in superficie, però le acque in basso sono calme».


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Amore radicale

Madre Manuela ha scelto la clausura nel monastero e non di un’altra forma di impegno per un motivo ben preciso:

«Al Signore ho detto: “Va bene ti faccio la suora, ma non la clausura” proprio perché mi attirava, questa scelta, ma allo stesso tempo mi angosciava. Solo che qualunque altra forma non mi restituiva la radicalità che io cercavo. Io cercavo un amore radicale per il Signore, per la Chiesa, e li ho trovati solo in clausura, perché se avessi scelto la forma di vita attiva, non avrei potuto essere contemporaneamente dove avrei dovuto. Se ero in una scuola non ero in Africa, se ero in Africa non ero in parrocchia… Mentre, è un paradosso come ce ne sono tanti nella nostra fede, questo è stato l’unico modo che mi ha permesso di raggiungere tutti».

Tempesta e pace

Madre Manuela ammette che ci sono stati momenti nei quali la sofferenza le ha fatto avere dei dubbi tanto radicali quanto la scelta compiuta.

«In superficie sì, questa non è assolutamente una vita tranquilla. No, c’è la fatica, ci sono momenti di dubbio, di buio. Guai se non ci fossero veramente, sarebbe una vita falsa. Ci può essere la tempesta, nel nostro mare, però nel profondo rimane la pace. Questo rapporto con il Signore è talmente profondo, che niente lo può mettere in discussione».


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Sorriso da “hostess”

Suor Fedele, invece, si è incamminata in questo percorso nel modo «opposto» alla Madre. Lei, che è di Tortona, provincia di Alessandria, è «entrata a 24 anni, dodici anni fa, nel 2007. Dopo gli anni di catechismo, finita la Cresima, ho fatto come tanti. Ho iniziato la mia vita, la scuola superiore. Non ci pensavo proprio più, alla chiesa. Poi nel 2006, sono venuta qui perché sapevo che c’era una suora della mia città. Era la mattina di Pasqua. Sono entrata in chiesa. Noi alla messa apriamo la grata, scorre e si apre. E mi sono emozionata a vedere le suore con quel sorriso vero, non stampato. Da hostess, come direbbe Papa Francesco».

A quel punto la futura monaca ha pensato:«Come fanno ad avere quel sorriso, stando rinchiuse lì dietro? Mentre loro sorridevano, io piangevo. Ed è iniziato così il travaglio interiore. Ho ripreso un cammino catechistico, avevo solo le nozioni di base. Ma mi ero innamorata di questo luogo, della loro vita e sarei entrata subito. Mi ricordo che questa sorella mi aveva detto: “Almeno impara quando si dice il Padre Nostro, nella messa”... Facevo pazzie per venire: finivo di lavorare alle sei di sera, dormivo qualche oretta, partivo verso l’una per essere qua alle Lodi».

monja clarisa de clausura – it
© Albertus teolog

Riscaldamento e discopub

Prima di diventare monaca di clausura, Suor Fedele di giorno lavorava con sua sorella che ha una ditta di riscaldamento e condizionamento. «L’aiutavo, curavo in particolare l’assistenza. Stabilivo gli interventi degli operai e di sera avevamo persino un discopub. Il periodo della mia conversione è stato l’anno boom del nostro lavoro. Ero all’apice della mia carriera. Mi andava bene la vita e lì è arrivato il Signore».


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“Ti fai suora?”

Quando è scattata la “scintilla” «l’ho detto a mia mamma. Mi ricordo, era proprio la festa della mamma. Lo aveva già capito perché è stata una conversione radicale: ho cambiato vita, alle sei uscivo di casa per andare a messa. Mi ricordo ancora la domenica mattina in cui le ho detto: “Mamma ti devo parlare”. Lei mi ha guardato: “Ti fai suora” e io le ho detto “sì”. “Fai tutto, ma non di clausura”. Mia mamma è invalida quindi avevo tanta paura. Invece il Signore le ha dato tanta grazia e non mi ha mai ostacolato».

La gravidanza della sorella “arrabbiata”

La sorella l’ha presa «male». «Tra l’altro io avevo chiesto un segno al Signore. Mia sorella ha otto anni più di me. Voleva avere un figlio e non riusciva. Questa suora aveva citato una frase di don Bosco, quando ero in cammino di discernimento, che dice: “Quando il Signore chiama a sé una giovane in una famiglia, manda sempre un angelo al suo posto”. E io davvero su questa frase ho gettato le reti. Ho pensato: “Allora fai rimanere incinta mia sorella”. È rimasta incinta».




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