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Fabiola, medico d’emergenza. “Quando riesce la rianimazione di una persona, dà una grande gioia”

EMERGENCY

Di LightField Studios - Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 27/01/20

Un lavoro degno come tutti ma tanto nobile perché ha a che fare con ciò che tutti abbiamo di più caro: la vita.

Si chiama Fabiola Fini e lavora a Fermo. Ferma lo è anche lei: ha sangue freddo, lucidità, forza fisica e sa tenere a bada le emozioni. Quando ci sono di mezzo le vite delle persone si è una specie di paradosso vivente: quanto più mi interessa la faccenda tanto meno mi devo fare coinvolgere. E così fa lei, medico per vocazione, con l’ospedale nello zaino.


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“Interveniamo in momenti drammatici, incidenti stradali, infortuni sul lavoro, malori gravi. Quando le persone hanno solo te come punto di riferimento. Nella gestione del soccorso un medico deve essere freddo per capire come affrontare la situazione, quando la rapidità dell’azione decide tra la vita e la morte. Ma questo non impedisce alle emozioni di farsi largo“. (Ansa)

Dice cose che possono sembrare romantiche e invece sono quelle che segretamente o meno ci si aspetta tutti quando si ha a che fare con un medico. Anche per una visita dermatologica di routine; persino dal dentista:

“questo lavoro l’ho abbracciato come la mia strada – dice – è una scelta di vita, lo faccio con entusiasmo e coinvolgimento perché posso dare risposte immediate a chi ha bisogno di cure. (…) Quando riesce la rianimazione di una persona, dà una grande gioia, è come ridare le gambe a chi le ha perse.” (Ibidem)

Per potersi godere le emozioni, positive, quando affronta l’emergenza le trattiene e le scansa per avere campo libero e così mettere tutta se stessa e tutte le sue competenze nel recuperare persone sull’orlo finale della propria vita, per dire che no, non è ancora ora.

Dopo, invece, alza le chiuse e l’onda arriva. Sia scura, se il suo impegno non è valso abbastanza, sia limpida quando il paziente stesso diventa una persona qualunque che potrà incontrare per strada un mese dopo.

Ma prestare soccorso non è un lavoro come gli altri. Gli avvenimenti inevitabilmente hanno un impatto emotivo anche su chi per mestiere deve restare lucido e concentrato. “Nella nostra professione ci viene richiesto di restare distaccati per poter agire al meglio. Quando intervengo cerco di attivare tutte le mie capacità: è una vita che va salvata. (Ib)

Le cose si fanno difficilissime quando ci sono di mezzo i bimbi. E’ naturale, succederebbe ad ogni persona umanamente integra.

Il bimbo è solo bimbo; è persona e basta. E’ solo l’amore che suscita e che gli altri provano per lui. Non è il famoso avvocato, la giovane manager, la promessa dello sport. Questo, ci commuove. Vediamo riflesso in lui, in lei il nostro viso più autentico e ci ricordiamo chi siamo, o almeno ci coglie un sospetto. Per questo davanti a loro anche Fabiola trema e deve alzare il livello di guardia. E quando le cose vanno male, umanamente parlando, quando il bimbo muore, allora le emozioni arrivano come uno tsunami e lasciano a lungo devastazione, detriti e brutti ricordi.

Penso ai casi in cui in un incidente sono coinvolti dei bambini, le emozioni si amplificano. Ricordo ancora il viso di un neonato che tentai di rianimare dopo uno scontro in strada avvenuto anni fa mentre la sua famiglia tornava in auto dalle vacanze. Aveva otto mesi, cercai in tutti i modi di far ripartire il suo cuore, non si salvò. Ci ho ripensato per anni”. (Ib)

Ridare la vita, o almeno farsi tramite perché questa forza misteriosa non fugga via ma resti avvinghiata al corpo che anima (non che abita!) è la cosa più bella che si possa provare. Lavoro difficile, lavoro nobile. Lavoro privilegiato, persino: a contatto con la materia più oscura e potente che si aggira per il vasto universo, la vita umana.

E fa impressione perché questo mistero è la faccenda più familiare che ci sia, sono le facce delle persone che si incontrano in paese, al supermercato, quello con cui si rischia di bisticciare per un parcheggio. Siamo noi.

Io vivo e lavoro in un piccolo centro, mi è successo tante volte di incontrare in giro, per strada, una persona che avevo rianimato anni prima per un arresto cardiaco o qualche altro motivo ed è una sensazione impagabile. Ti senti parte di un miracolo che è avvenuto”. “E poi ci sono i familiari – racconta – che ti vengono a ringraziare per tutto quello che hai fatto. (Ib)

Ha 58 anni e tante storie che grazie a lei e alla sua equipe si possono raccontare. Ha rinunciato alla normalità di tante notti di sonno e di tanti Natale. Ma erano tutti con lei, persino sua figlia da piccola.

Spesso ha sacrificato il calore della propria famiglia per assicurarlo a chi, coinvolto in un incidente o in un malore, si trovava solo, spaventato e privo proprio di quella risorsa: Fabiola e gli altri come lei, si improvvisano familiari di chi è colpito, non recitando, ma portando loro vicinanza e affetto, riconoscendo in quelle persone quelli che avevano lasciato a casa. E’ la magia della solidarietà umana; è più ancora dell’empatia. E’ il fatto che siamo un po’ tutti custodi l’uno per l’altro e in questi casi e in certi mestieri ce ne rendiamo conto di più e meglio.


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Ci sono momenti decisamente meno poetici dove le emozioni anche per i soccorritori sono di paura di fronte a pericoli reali: come dev’essere intervenire in una rissa? O essere aggrediti da baby gang come abbiamo sentito succedere purtroppo anche di recente?

Diventare in breve tempo la vittima da soccorrere non è un’eventualità così remota. Ma questi rischi non bastano a fiaccare certi animi. Di sicuro li avviliscono non poco. Eppure Fabiola, come tanti altri medici, continua il suo operato e si impegna come presidente della Fimeuc (Federazione italiana di medicina di emergenza urgenza e delle catastrofi) ad estendere in tutto il territorio nazionale la stessa capacità di intervento.

(…) l’impegno di Fabiola Fini non si ferma al lavoro di pronto soccorso: l’energia di questo medico “con l’ospedale sulle spalle” si esprime anche nell’attività sindacale, e in particolare nella battaglia per rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale il servizio di soccorso. “Dopo ben 27 anni dall’istituzione dell’emergenza-urgenza come livello essenziale di assistenza, il sistema funziona ancora a macchia di leopardo, con differenze di intervento territoriali macroscopiche. E’ fondamentale che il cittadino di Reggio Calabria venga soccorso allo stesso modo di chi vive nelle regioni cosiddette virtuose. Questa è una battaglia che bisogna vincere a tutti i costi”.

Sì, è una battaglia decisiva. Di più ancora lo è quella di impedire che sistemi legislativi sempre più progressisti e falsamente libertari facciano crollare le fondamenta su cui si regge la nostra convivenza e mestieri come questo di Fabiola: se una persona è in pericolo di vita faccio di tutto per salvarla. Senza leggere disposizioni anticipate di alcunché.

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