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«Per dare la libertà ai prigionieri». Gli oggetti religiosi in carcere

objets religieux

Thomas Belleil - pubblicato il 30/01/20

Tanto diversi quanto lo sono i significati loro attribuiti dai detenuti, talvolta quegli oggetti sono veri strumenti della Provvidenza che portano alla conversione, o che trattengono i carcerati dal commettere il peggio.

Bibbie, rosari, icone o medaglie: in prigione gli oggetti religiosi sono molto quotati. Quale che sia il senso loro attribuito dai detenuti – protezione, identità o segno della presenza di Dio – essi testimoniano spesso di una ricerca spirituale in un luogo in cui le questioni di senso si pongono con particolare intensità. È quanto ha constatato Philippe Gaudin, presidente dell’Institut Européen en Sciences Religieuses. Artefice nel 2011 di una grande inchiesta sul fatto religioso in prigione nella casa circondariale di Poissy (Yvelines), è stato colpito dalla spiritualità che vi ha trovato:

In prigione, siamo costretti a riflettere sul senso della nostra condizione. Molto chiaramente, si constata che le persone sono più religiose in prigione che fuori.

La Bibbia, l’oggetto più quotato in carcere

Questa religiosità a fior di pelle si manifesta in particolare con un legame peculiare con gli oggetti di pietà. Per procurarsene, i detenuti non hanno bisogno di ricorrere ai trafficanti: l’accesso ad essi è un diritto, poiché anche in prigione i cittadini conservano il diritto alla libertà di culto tutelata dalla legge.




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Ludovic, in carcere per un anno e mezzo nel penitenziario di Sainte Anne ad Avignone (Vaucluse) e oggi impegnato nella “Fraternité du bon larron”, spiega:

Gli oggetti religiosi non sono né censurati né perquisiti né controllati: si ha diritto ad averne.

Accessibili liberamente per ogni detenuto, gli oggetti religiosi passano nondimeno dalla mediazione del cappellano. Vero passe partout, quest’ultimo ha le chiavi di tutte le celle e dunque ha un accesso privilegiato a tutti i detenuti. Consigliere spirituale, talvolta psicologo, è anche quello che fornisce ai detenuti gli oggetti venuti da fuori, sia su loro richiesta sia proponendogliene. Frère Emmanuel, cappellano da un anno nel nord della Francia, spiega ad Aleteia:

Quando vedo gente condannata a lunghe detenzioni, propongo sempre una Bibbia.

Tra i simboli di pietà che si trovano in prigione, la Bibbia ha effettivamente uno statuto a parte: «La Parola di Dio è il grande desideratum dei detenuti», ci spiega padre Jean-François Penhouet, cappellano nazionale dal 2015. Questo particolare interesse per la Bibbia egli lo osserva concretamente nelle visite che effettua, due giorni a settimana, nella prigione di Fleury Mérogis. In prigione, il tempo può essere molto lungo, e la lettura della Parola di Dio può essere un conforto e anche di più… Ludovic ci racconta:

Cristo mi ha dato dei segni di sé, specialmente attraverso la Bibbia, che ho potuto leggere dall’inizio alla fine.

Se la Bibbia svetta in testa all’elenco degli oggetti religiosi in prigione, anche altri sono molto richiesti, ad esempio i rosarî. Padre Jean-François ricorda:

Possono servire da segno identitario, ma spesso rappresentano la preghiera del povero. In origine, le 150 Ave Maria rappresentavano i 150 salmi recitati dai monaci: siccome però i poveri non avevano modo di leggerli, pregavano l’Ave Maria.

Segni religiosi molto diversi

Oltre a Bibbie e rosarî, esiste di fatto una grandissima varietà di simboli cristiani in prigione: croci, messalini, libri di preghiera, immaginette, medaglie miracolose o ancora icone: «Le immagini di Maria toccano i detenuti», assicura frère Emmanuel:

Alcuni le attaccano sopra al letto, talvolta in mezzo alle immagini con membri della famiglia: si capisce l’intimità, la relazione particolare che esiste con Maria.

Queste immagini di pietà si trovano anche nelle celle, ma mai nei luoghi comuni, in nome della laicità. Philippe Gaudin spiega:

I segni e gli oggetti religiosi non possono essere esposti che nella cella o nel luogo di culto, una volta a settimana.

Non è permesso di prostrarsi su un tappeto nei luoghi comuni. La cella è dunque il luogo privilegiato in cui si trovano segni di pietà, ma eccezionalmente capita di trovarne anche all’esterno – spiega frère Emmanuel:

Sono generalmente gli oggetti liturgici, utilizzati nel contesto del luogo di culto, ma talvolta anche in altri contesti, ad esempio nei gruppi di studio biblico.

Nel quadro del culto, l’oggetto religioso può contribuire a ricreare un ambiente ecclesiale, comunitario e anche fraterno. Padre Jean-François ci racconta questo aneddoto:

Un anno, a Pasqua abbiamo avuto un’aspersione di acqua benedetta in cui i detenuti annaffiavano, letteralmente, i loro compagni.

Eppure, più che la dimensione comunitaria, è il significato personale e intimo che anche un semplice rosario può rivestire che nel carcere si vede:

In prigione – spiega Ludovic – si torna un poco bambini, ci si educa, veniamo chiamati a ore fisse. Con un rosario, si può avere una relazione quasi come quella che i bambini hanno con un giochino.

Da segno identitario a ricerca spirituale

Se gli oggetti religiosi hanno buona reputazione, in prigione, ciò non accade sempre per i motivi più mistici: in molti casi hanno invece un ruolo più terra-terra. Dal rosario portato come un amuleto alla croce ostentata come segno identitario contro i musulmani, passando per la Bibbia utilizzata per trarne cartine da sigaretta… il simbolo di pietà non risponde sempre alla sua vocazione prima. Per padre Jean-François, quest’utilizzo poco ortodosso di un rosario o di una croce può nondimeno sfociare in un vero cammino spirituale:

L’essenziale è andare incontro a Dio attraverso il nostro cammino, anche se non è il più puro o perfetto.

Un punto di vista condiviso da frère Emmanuel: l’utilizzo più prosaico del segno religioso può essere un accesso ad altro:

A prima vista, può esserci un aspetto di protezione, d’identità, ma la dimensione spirituale può seguire. I paesani e gli africani portano spesso oggetti religiosi, talvolta per superstizione, ma l’interesse che possono avere per una medaglia miracolosa li apre spesso al senso di questo segno.

Utilizzati in modo diverso dai detenuti, i segni religiosi rappresentano sempre per loro una realtà essenziale: la libertà. Evolvendo in un contesto in cui nulla è scelto, la religione è una delle poche cose che il detenuto può esercitare liberamente. Una Bibbia, in quanto testimonianza di questa libertà, può diventare allora un simbolo sovversivo, perfino provocatorio!




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Segni rivolti verso la presenza di Dio

Di questa libertà alcuni detenuti non esitano a fruire concretamente: è il caso di David, che ha passato 12 anni dietro le sbarre nella casa circondariale di Nanterre (Hauts-de-Seine). Egli non ha aspettato che gli oggetti di pietà gli venissero consegnati: se li è fabbricati! Aveva creato il proprio oratorio nella sua cella a partire da segni religiosi confezionati da lui stesso: foto, statue, icone, crocifisso… Il suo angolino di preghiera è così diventato il suo spazio di libertà. «È il solo posto che avevo per me – ci confida –: il mio spazio personale». Più che una libertà, l’icona o la statua possono diventare anche una presenza, un sostegno nelle prove. È ciò di cui Ludovic rende testimonianza: «In prigione ci si sente soli. Il segno religioso diventa fiducia, sostegno morale, un amico…». Per Ludovic, nessun dubbio sull’origine di questa presenza: è quella di Dio e del suo amore, di cui gli oggetti di pietà sono segni.




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Se un segno religioso può avere una tale importanza, per i detenuti cristiani come Ludovic, è anche perché il cristianesimo è una religione in cui l’amore di Dio si è incarnato concretamente:

Cristo ha avuto un corpo – spiega padre Jean-François –, siamo una religione dell’incarnazione. L’oggetto religioso è un simbolo che evoca la presenza di Dio.

Per frère Emmanuel, non si può ridurre l’esperienza religiosa allo spirituale:

La religione è talmente vasta che si presenta in diverse dimensioni della nostra vita. La nostra relazione con Dio passa mediante oggetti che sono la traccia di un’intimità con Dio.

Una spiritualità “delle periferie”

Protezione, sostegno nella prova, testimonianza della presenza di Dio: talvolta un simbolo religioso può diventare anche provvidenziale – grazie ad esso alcuni detenuti hanno evitato il peggio. Ludovic ci racconta:

Una sera nella sua cella un compagno che voleva suicidarsi ha chiesto una cartina da sigaretta: voleva fumarsene un’ultima prima di passare all’atto. Il compagno gli ha passato allora un messalina. Sulla pagina aperta gli si presentò la scritta “non è questa l’ora della tua morte”…

Il legame tra oggetti religiosi e detenuti non è cosa di ieri: fin dalla storia di santa Teresina e del condannato a morte che il giorno dell’esecuzione bacia il crocifisso, gli oggetti di pietà sembrano essere un mezzo privilegiato per il quale Dio tocca le persone lasciate alle periferie della società. Spiega padre Jean-François:

C’è un nesso tra la pietà popolare e gli oggetti religiosi: toccano i più poveri. Io vengo da un contesto popolare, l’attaccamento agli oggetti è forte.

Ludovic invita i cristiani ad essere attenti alla spiritualità delle periferie, talvolta disprezzata o considerata superstiziosa:

È in quei luoghi – le periferie – che si rivela la forza misericordiosa di Dio. Se il Signore ci ha messo un rosario o una Bibbia sul cammino, queste cose possono aiutarci: in quei luoghi in cui non ci si aspetta più niente e nulla si spera, attraverso quegli oggetti dei segni di Cristo incrociano la nostra strada. In prigione ci sono oggetti che possono salvarci la vita.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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