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La scienziata che scoprì il gene dell’Alzheimer: niente fondi, il mio Centro chiude!

AMALIA BRUNI,

IAMU | YouTube

Silvia Lucchetti - pubblicato il 13/02/20

Alzheimer: quando l’eccellenza scientifica italiana rischia di morire. Il disperato grido di allarme della ricercatrice calabrese Amalia Bruni.

Come più volte sottolineato, la situazione dell’assistenza e della ricerca in ambito sanitario è molto diversa nelle varie aree del nostro paese, e il Sud continua a pagare lo scotto di gravi e perduranti difficoltà organizzative e gestionali. E, proprio a questo riguardo, non tutte le scienziate italiane nel capo biomedico hanno la fortuna di lavorare all’Istituto Spallanzani di Roma, dove recentemente tre ricercatrici (e un ricercatore!), Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti, hanno isolato il nuovo Coronavirus responsabile della epidemia internazionale attualmente in corso. Queste tre donne in camice bianco sono state addirittura invitate dalla Rai a partecipare al Festival di Sanremo, richiesta declinata a causa dei loro pressanti impegni in questo momento di emergenza sanitaria.


Spallanzani coronavirus

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Amalia Bruni

Contemporaneamente un’altra scienziata italiana è giunta in questi giorni alla ribalta della cronaca, ma ahimè per motivi ben diversi. Amalia Bruni, calabrese nativa di Girifalco, è conosciuta nel mondo scientifico internazionale perché è stata tra i primi, nel 1995, a scoprire uno dei geni alterati responsabili delle forme precoci della demenza di Alzheimer, in quanto essi incrementano la produzione delle cosiddette “preseniline”, proteine a effetto neurotossico. Scoperta tanto importante che Piero Angela aveva dedicato ad essa una puntata di Superquark. In un video del 2014 pubblicato sul canale IAMU spiegava con forza e ottimismo la sua scelta di rimanere a lavorare in Calabria e incoraggiava i giovani a restare in Italia.

Il Centro rischia di chiudere per mancanza di fondi

La neurologa venti anni fa ha fondato il Centro Regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro – tenuto a battesimo dal premio Nobel Rita Levi Montalcini – struttura a vocazione sia assistenziale che di ricerca per le malattie neurodegenerative. All’attivo 12.000 cartelle in archivio, 4.000 pazienti in carico, 30 nuovi casi accolti ogni settimana.

Ebbene il Centro ora rischia di chiudere i battenti, perché non ci sono più fondi neanche per pagare il personale, ed altre dieci figure professionali, oltre le 4 biologhe già andate via, tra cui infermieri, informatici, psicologi ed assistenti sociali, in servizio all’Associazione per la Ricerca Neurogenetica (ARN) che gestisce la struttura, hanno ricevuto le lettere di licenziamento e dal primo marzo prossimo resteranno a casa.

Tutto ciò accade tra l’indifferenza della politica regionale – afferma la scienziata nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera – dei Commissari prefettizi che guidano l’Azienda sanitaria di Lamezia Terme commissariata per mafia, e del Generale Saverio Cotticelli, Commissario ad Acta per l’attuazione del piano di rientro della Sanità in Calabria. C’è il rischio che il Centro di Neurogenetica diventi un ambulatorio sanitario, perché la spoliazione in atto porterà a questo.



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Qui si interrompe, negando ai pazienti anche la speranza

Per segnalare la gravità della situazione, sperando in una iniziativa a breve termine, la ricercatrice ha inviato lettere al Commissario ad Acta, al Ministro della Sanità Roberto Speranza e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ora i nostri studi sulla conoscenza della geografia delle malattie ereditarie trovano ostacoli che non ci permettono più di continuare nella ricerca – conclude la Bruni – proprio mentre negli Stati Uniti si procede con protocolli speciali su soggetti portatori della mutazione genetica. Negli Usa lo sanno che i farmaci sono alle porte, e la ricerca continua. Qui si interrompe, negando ai pazienti anche la speranza. (Il Sole 24 ore)

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