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Il digiuno non ci serve per testare noi stessi, ma per diventare noi stessi!

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slon1971|Shutterstock

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 28/02/20

Non un precetto sterile, una gara di resistenza fine a sé stessa, una mortificazione, ma uno strumento per "diventare". Il digiuno ci libera. ci permette di abitare i vuoti e le mancanze, di fare spazio alla relazione con Dio.

In quel tempo, si accostarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.

Matteo 9,14-15

Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?

La questione del digiuno credo che sia tra le cose più decisive per la vita del nostro cristianesimo attuale. In un mondo come il nostro che ha paura “della mancanza” e passa il tempo a riempire i vuoti, la testimonianza cristiana consiste proprio nel rendere possibile il vuoto, la mancanza, la fame. Solo quando si ha la libertà di abitare la fame, la mancanza, il vuoto senza sentirsi costretti a riempirli con qualunque cosa allora ci si può considerare abbastanza liberi da capire anche la voce di Dio che ci parla. Al contrario noi abbiamo lasciato nel dimenticatoio il digiuno, relegandolo a qualche pratica di benessere in vista dell’estate o a una reminiscenza bigotta da chiudere in qualche umido cassetto di sagrestia. Peggio ancora rischiamo come i discepoli di Giovanni di considerare il digiuno uno dei tanti schemi religiosi da vivere senza nemmeno ricordarci più per che cosa dovrebbe valerne la pena. Gesù lo spiega con un’immagine suggestiva:

Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.

Gesù, in pratica, sta dicendo loro che il digiuno ha senso solo dentro una relazione e non come gara con noi stessi per testare quanto siamo bravi. Solo in una fede come relazione la pratica religiosa assume significato. Senza una relazione la pratica religiosa è solo un modo per dimostrare qualcosa a noi stessi, agli altri e a Dio. Ma la fede non è dimostrare, la fede è diventare. In questo senso la mentalità farisaica si scontra continuamente con l’insegnamento di Gesù. Essa sembra aver dimenticato quasi completamente la logica della relazione per convincersi che ciò che conta è la semplice fedeltà ai precetti. Ma nessuno, a lungo andare, accetterebbe di fare una fatica se non se ne ricordasse anche un motivo valido per cui ne valga davvero la pena. E di solito i motivi validi sono sempre qualcuno, mai qualcosa.
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